La squadra che, grazie al “run and gun” di Mike D’Antoni, ha operato il più grande sconvolgimento della storia NBA moderna.

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Per comprendere le origini dei Phoenix Suns 2004/05 è necessario partire da lontano e precisamente dalla Milano di fine anni Settanta, dove nel 1977 arrivò un semisconosciuto playmaker di nome Mike D’Antoni.

Il play dell’Olimpia, in una telefonata al fratello nel 1979, spiegava come il numero di triple tentate a partita fosse correlato al posizionamento della squadra in campionato. D’Antoni, da quel momento, fece sua la concezione dell’attacco run and gun, precisandola nella regola dei “7 seconds or less” che contraddistinguerà tutte le squadre da lui allenate.

Il 2003/04 era stato l’anno peggiore dal 1988 per la franchigia dell’Arizona. La stagione aveva visto l’esonero di Frank Johnson dopo appena 21 partite ed era terminata con il record di 29-53. Il subentro di D’Antoni rappresentava una ventata d’aria fresca per la squadra e nell’estate del 2004 il suo progetto prendeva forma.

Il roster

I cambiamenti cominciano poche partite dopo l’insediamento del nuovo allenatore, quando a inizio gennaio 2004 il GM Bryan Colangelo scambia Stephon Marbury e Penny Hardaway per creare spazio salariale per la nuova stagione. Questa mossa consente di rivoluzionare completamente la squadra e di cucirla addosso a D’Antoni. Viene immediatamente riportato a casa, dopo sei stagioni a Dallas, Steve Nash, che era stato draftato proprio dai Suns nel 1996.

Il secondo colpo è Quentin Richardson, strappato ai Los Angeles Clippers grazie a un’offerta da 50 milioni in sei anni. Il resto della squadra vede Joe Johnson, Shawn Marion e Amar’e Stoudemire a completare il quintetto base. Dalla panchina Leandro Barbosa e Steven Hunter.

Come giocavano

L’attacco “run and gun” non è stato inventato da D’Antoni, ma nessuno quanto lui lo ha estremizzato. I Celtics di Bill Russell e i Lakers dello showtime usavano questo attacco, ma solo a tratti e non certo per 48 minuti come i Suns di Coach Mike.

D’Antoni impone poche semplici regole: correre (tanto e presto nell’azione), spaziare il campo e prendere il primo tiro buono. “7 seconds or less” è il concetto dietro a tutto. Bisogna arrivare al tiro entro i primi sette secondi dell’azione, e ciò porta ad avere molti più possessi e a segnare di più.

Phoenix diventa rapidamente la squadra più spettacolare della Lega.

Il tiro da tre viene valorizzato tantissimo in questo sistema e per questo motivo si assiste al primo downsizing dei ruoli, dove il 4 diventa 5 e il 3 diventa 4. In quintetto ci sono tre guardie (Nash, Johnson e Richardon), un’ala dotata di buon tiro da tre (Shawn Marion) e un centro atletico e rapido (Amar’e Stoudemire).

Il pick&roll centrale è la base di tutto il sistema e in questo attacco la prima soluzione è il tiro immediato di Nash dopo il blocco. Se il palleggiatore viene raddoppiato, l’aiuto viene immediatamente punito con uno scarico per il tiro da tre. Altrimenti si esplora il passaggio al rollante e se hai un rollante come Stat e un passatore come il canadese, i punti facili arrivano, eccome.

La Regular Season

La partenza è a dir poco incoraggiante, con quattro vittorie nelle prime quattro partite. E già dalla settima gara stagionale si capisce che questa stagione sarà speciale. In questa partita contro la sua ex squadra, Dallas, Nash regala 18 assist ai compagni. È la prima di nove vittorie in fila che portano il record a un incredibile 13-2. Dopo la sconfitta con Minnesota, poi, arrivano altre 11 vittorie consecutive.

FOTO: NBA.com

Il 2 gennaio, nella vittoria contro Portland, Amar’e segna 50 punti ad appena 22 anni. La marcia dei Suns non si ferma e l’11 dello stesso mese il record della passata stagione è già stato sorpassato, grazie alla vittoria contro Miami, che tuttavia porta in dote un infortunio a Nash.

Il canadese salta sei partite che coincidono con altrettante sconfitte, ma torna più in forma di prima e al rientro sigla l’allora career-high di 30 punti. Prima della trade deadline, Colangelo torna sul mercato e scambia il giovane Casey Jacobsen per il veterano Jim Jackson, per dare più esperienza a una squadra molto giovane in vista dei Playoffs.

Dopo l’All-Star Weekend, in cui Richardson vince la gara del tiro da tre, i Suns perdono solo sette partite chiudendo con il miglior record della Lega e pareggiando il record di franchigia. Phoenix diventa la prima squadra nella storia della NBA a far registrare un record da oltre 60 vittorie dopo una stagione da almeno 50 sconfitte (la seconda squadra sarà Boston nel 2008). Steve Nash vince l’MVP e Mike D’Antoni il Coach of the Year Award. I Suns stabiliscono il record per il maggior numero di triple realizzate in una stagione e Quentin Richardson stabilisce il record di franchigia per triple realizzate in una stagione (226), piazzandosi anche al primo posto della classifica NBA a pari merito con Kyle Korver.

I Playoffs

Al primo turno arrivano i Memphis Grizzlies di Pau Gasol. Sulla carta Memphis non ha una chance e infatti così è. In Gara 1 Nash registra una doppia-doppia da 11 punti e 13 assist, Richardson ne segna 22 e Marion aggiunge 26 punti e 13 rimbalzi. 114-103 Suns.

Gara 2 è più combattuta ma alla fine la squadra dell’Arizona si impone grazie ai 34 punti e 10 rimbalzi di Stat. Tutti gli uomini del quintetto base vanno in doppia cifra e vantaggio di 2-0 nella serie.

In Gara 3 non c’è storia. 110-90 il finale e terza vittoria in fila. Gara 4 è solo una formalità e Phoenix chiude la serie. Il primo scoglio è stato superato senza problemi dalla squadra di D’Antoni, nonostante le rotazioni ultracorte e l’assenza di centri di ruolo in campo.

Al secondo turno arriva un cliente ben più scomodo, nonché vecchia conoscenza di Nash. Si tratta dei Dallas Mavericks, che hanno sconfitto in sette gare gli Houston Rockets.

In Gara 1 i Mavs non trovano una soluzione al gioco di D’Antoni e si schiantano contro una solidissima Phoenix, perdendo 127-102. Amar’e ne mette 40 e 16, mentre tutti gli altri del quintetto vanno in doppia cifra. Tutti in quel momento pensano che Nowitzki e compagni non abbiano una possibilità, ma in Gara 2 i texani stupiscono tutti e vincono di due punti grazie a un jumpshot del tedesco a 6 secondi dalla fine.

Serie in parità. Si vola in Texas, e da qui in poi sarà Nash ad alzare il livello per guidare la squadra.

In Gara 3, grazie ai 27 punti e 17 assist dell’ex giocatore di Santa Clara e ai 37 e 14 rimbalzi di Stoudemire, vincono i Suns 119-102. Gara 4 vede Nash ritoccare pesantemente il suo career-high, segnando 48 punti; tuttavia la vittoria va alla squadra di Mark Cuban. 2-2 nella serie e rottura dello zigomo per Joe Johnson.

G5 è cruciale perché le già corte rotazioni di D’Antoni vengono messe a dura prova dall’assenza di Iso-Joe. Jim Jackson trova posto in quintetto, con Barbosa a racimolare minuti dalla panchina. Nash comprende che serve una prestazione maiuscola, altrimenti c’è il rischio di essere eliminati. Il numero 13 non delude e manda a referto una tripla doppia da 34 punti, 12 assist e 13 rimbalzi.

3-2 nella serie.

In Gara 6 i Mavs vogliono assolutamente far valere il fattore campo e si portano in vantaggio di 16 punti. Nash non ci sta e, segnando 8 punti nell’ultimo minuto, porta i suoi all’overtime. Il canadese e Stoudemire finiscono rispettivamente con 39 e 38 punti, guidano i Suns alla vittoria nella serie e portandoli alle Western Conference Finals.

Ad attenderli i San Antonio Spurs, che hanno fatto fuori senza troppi patemi Nuggets e Sonics.

La serie si mette subito male e i Suns perdono le prime due gare. In Gara 3 rientra Joe Johnson, ma non è abbastanza per fermare Duncan, Parker e Ginobili. I Suns battono un colpo in Gara 4 ma la serie si chiuderà 4-1 per gli Spurs, che poi vinceranno il titolo.

Stoudemire registra 37 punti di media in questa serie e si afferma come uno dei migliori centri in circolazione. Ma la corsa dei Suns non raggiunge il grande obiettivo, le NBA Finals.

Questa squadra non è solo stata protagonista di uno dei più incredibili “comeback” di sempre rispetto alla stagione precedente, ma ha influenzato il modo di giocare e di pensare il basket, segnando un cambiamento che avrebbe visto dare i suoi frutti dieci anni dopo con i Golden State Warriors.

La NBA moderna è nata precisamente con questi Phoenix Suns. Una squadra che, nonostante non abbia raggiunto il titolo, ha meritato di entrare nella storia di questo sport.