
Questo contenuto è tratto da un articolo di Mac Pham per The Lead SM, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.
La NBA si sta trovando costretta ad affrontare una nuova grana relativa all’arbitraggio, che sta influenzando parecchio la condotta della Regular Season 2023/24. Premessa: gli arbitri sono esseri umani, e come tali soggetti ad errore. Hanno commesso e commettono errori sin da quando si ha memoria dello sport con la palla a spicchi. E continueranno a farlo, proprio come ogni altro essere vivente. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, e in particolare in questa stagione, la qualità dell’arbitraggio è stata parecchio inconsistente, ed è un problema che Adam Silver ed i vertici NBA devono affrontare e risolvere al più presto.
Applicazione selettiva
Nel corso degli anni si sono consolidati i rapporti tra arbitri, giocatori e allenatori NBA – dopo aver trascorso tanto tempo insieme durante gli impegni stagionali. Uno dei problemi legati all’arbitraggio è rappresentato dal rapporto costruito tra le due parti, in particolare tra alcuni arbitri e giocatori.
Analizziamo l’esempio di Draymond Green: il veterano dei Golden State Warriors ha una lunga lista di precedenti di alcune sue giocate, ai limiti del fischio arbitrale, che invece sono passate inosservate. Se fossero state commesse da un qualsiasi altro giocatore, probabilmente la decisione sarebbe stata differente. In aggiunta, Green è noto per le frequenti proteste, anche a toni piuttosto elevati. Troppo spesso gli ufficiali di gara reagiscono con indulgenza, permettendogli di allontanarsi continuando con le sue polemiche. In altre situazioni, invece, chiunque si trovi a contestare una chiamata arbitrale finisce per essere richiamato con un tecnico.
Ciò è definito applicazione selettiva: a certi giocatori è consentito di passarla liscia più facilmente, specie dopo aver discusso e polemizzato con gli arbitri, a volte fino al punto di gridar loro in faccia. Ad altri giocatori non è concessa tanta clemenza. Ciò fa sorgere una domanda: perché, invece, non vengono premiati i giocatori più tranquilli e rispettosi? Sarebbe più logico, da parte dell’intera classe arbitrale, premiare chi in campo dimostra un comportamento corretto e rispettoso di regole, arbitri e avversari.
Più clemenza nei contatti: gli svantaggi della stazza
Troppo spesso i giocatori più dotati e prestanti fisicamente vengono puniti solo per via della loro stazza. In molte occasioni i centri vengono penalizzati, specie quando difendono il ferro da chi si trova ad attaccarlo con veemenza. In certi casi è comprensibile evitare la chiamata, se non altro per la spettacolarità delle giocate. Tuttavia, è un vero e proprio svantaggio subito dai giocatori di stazza maggiore posti in difesa del ferro.
Se una leggera spinta sulla schiena di una guardia più esile viene considerata fallosa, con chiamata arbitrale, allora è giusto redarguire anche le giocate più irruente attaccando il ferro, durante le quali vengono spesso travolti i centri e i giocatori di stazza. Con l’incremento delle chiamate arbitrali in questo senso, i centri andrebbero molto più frequentemente in lunetta, anziché rischiare di mandarci gli avversari con un and-one.
Concedendo alla classe arbitrale il beneficio del dubbio, è veritiero affermare che le decisioni arbitrali vadano spesso in favore dei simulatori alla ricerca del fallo, a prescindere dal giocatore coinvolto o dalla sua stazza. Ciò, tuttavia, porta a concedere molti più liberi ai simulatori piuttosto che a coloro che subiscono realmente dei falli. In questo caso analizziamo l’esempio di LeBron James.
Spesso LeBron è stato criticato per qualche simulazione di troppo, o per le sue frequenti lamentele con gli arbitri quando non riceve il fischio attaccando il ferro. Ma ancor più spesso il nativo di Akron subisce dei falli quando è lanciato a canestro. Questo dettaglio rende più tollerabili le proteste di James e le sue eventuali simulazioni. In definitiva, spesso i giocatori dal fisico più dotato subiscono dei falli non visti o non fischiati. Simulazioni e sceneggiate dovrebbero essere bandite dal Gioco, ma si dovrebbe essere più clementi con loro, dato il punto di vista precedentemente proposto ed affrontato?
Frequenti chiamate inesistenti
Può sembrare strano che gli arbitri tendano a fischiare facilmente fallo o che ne fischino di errati, poiché di norma sono abbastanza efficienti nelle situazioni più ardue e dubbiose. Quando un giocatore in fase di difesa, posizionato correttamente, protegge il canestro saltando in verticale per contestate un tiro, non viene mai fischiato fallo. Ma gli arbitri tendono a far sembrare certe decisioni più difficili da prendere rispetto a quanto realmente siano.
Con frequenza vengono concessi falli contro difensori che saltano in verticale. E sono queste le situazioni in cui sarebbe meglio che gli arbitri non usassero il fischietto. Molte volte sembra che i giocatori stiano protestando per un fallo fischiato o meno, in realtà stanno solo chiedendo perché, a parti invertite, siano state prese decisioni diverse. I cestisti NBA, rappresentando il top dei professionisti, pretendono efficienza.
Prendiamo come esempio una delle situazioni più ardue su cui dover decidere, ovvero quando due giocatori si ostacolano nel prendere un rimbalzo. Nella maggior parte dei casi ci sarà un arbitro con buona visuale da permettergli la giusta chiamata, anche senza dover andare alla review. Ma anche loro possono commettere errori. Da casa è concesso di rivedere le azioni più e più volte attraverso i replay, avendo la conferma o meno della correttezza (o meno) dei fischi arbitrali.
Ancora una volta, gli arbitri sono esseri umani: Errare humanum est. Sbagliare una decisione arbitrale è un errore tollerabile. Ma applicare un metro di giudizio differente per due squadre diverse nel corso di una partita è sinonimo d’inefficienza. E, come detto, in quanto professionisti ai massimi livelli, giocatori e coach NBA pretendono dagli arbitri un equivalente livello di efficienza.