Uno dei migliori tiratori dal mid-range della sua generazione, e non solo

Giovedì 15 aprile 2021, dopo la gara dei suoi Nets contro i Lakers, LaMarcus Aldridge si ritira dalla NBA a causa di un battito cardiaco irregolare, peggiorato nelle ore successive a quella che sembra destinata ad essere la sua ultima partita. Tutto appare già scritto, anche la lettera struggente che il giocatore lascia su Twitter, ma non è così.
Aldridge decide di tornare per un altro anno, un’ultima cavalcata prima della definitiva ritirata. Finirà così la sua carriera: un minimo salariale ai Brooklyn Nets, nemmeno un minuto in dei Playoffs di squadra che hanno avuto ben poco da raccontare, se non uno sweep subito dai Boston Celtics, ma oltre 22 minuti e quasi 13 punti di media, perlopiù in uscita dalla panchina. Tutto questo, prima di annunciare il suo secondo ritiro, questa volta, sì, definitivo.
Il texano non era nuovo a problematiche legate alla salute: nel 2007 gli fu diagnosticata la rarissima sindrome di Wolff-Parkinson-White, causa appunto di un battito cardiaco accelerato. Un intervento gli fece perdere le ultime nove partite di quella stagione, e gliene servì un altro nel 2011, durante il quale perse una settimana di training camp.
Quello della salute è sempre stato un tema molto delicato a casa Aldridge: nel 2010, al sua quarto anno di una carriera già sbocciata, a sua madre Georgia fu diagnosticato un cancro al seno, e LaMarcus ebbe la notizia soltanto qualche giorno prima del training camp. Decise, solido come una roccia a quanto dissero i suoi familiari, che la sua missione era quella di tenere alto il morale della madre, e lo fece bene almeno quanto bene ha rivestito il ruolo di franchise player dei Portland Trail Blazers.
A marzo 2021, dopo il buyout con i San Antonio Spurs, ha firmato con i Brooklyn Nets per inseguire l’unico pezzo mancante di una carriera stellare. Ci sono più di 19.000 punti uniti a più di 8.000 rimbalzi: prima di lui nella storia della Lega vi erano riusciti solo in 24. A ciò vanno aggiunti 7 All-Star Game e 5 apparizioni nei quintetti All-NBA. Il suo amore ancestrale per il tiro dalla media e la sua struttura fisica hanno creato una macchina offensiva efficiente come poche altre.
La sua legacy è complessa. Per quanto pieni di grandi ricordi e successi significativi, i suoi nove anni a Portland sono stati anche turbolenti. Non che non ci abbiano provato, a vincere. Il quintetto Lillard-Matthews-Batum-Aldridge-Lopez è tuttora molto rispettato tra gli addetti ai lavori, e alla fine tutti hanno avuto una lunga storia di ruoli di rilievo in svariate contender, qualcuno ancora oggi. Tuttavia, quando si presentò l’occasione di firmare per Gregg Popovich, Aldridge non ci pensò troppo.
Certamente fu parte della decisione il suo rapporto con Lillard, da lui spieagto così a Chris Mannix di Sports Illustrated:
“I problemi tra due persone molto competitive – tenute sullo stesso piano – vengono a crearsi quando nessuno dei due vuole uscire dal proprio modo di fare per creare una relazione”.
Era il 2015, gli Spurs avevano vinto appena un anno prima il titolo e difficilmente qualcuno avrebbe detto di no a una squadra che offriva il ruolo che fu di Tim Duncan, da portare avanti con un Kawhi Leonard appena sbocciato.
E’ passato comunque tanto tempo, Dame e LaMarcus hanno seppellito l’ascia di guerra e pare siano tornati buoni amici.

Il suo impatto in Oregon, dicevamo, verrà ricordato per molto, come traspare dalle recenti parole di coach Terry Stotts:
“Nel mio secondo e terzo anno, siamo andati molto oltre le aspettative, e il merito era di LaMarcus. Avevamo Oden e Roy, che combattevano con gli infortuni, e lì c’era Aldridge. Abbiamo draftato Lillard, e c’era Aldridge. Tra i grandi Blazers di tutti i tempi ci sono Dame, Drexler e poi sicuramente lui”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il sopracitato #0 da Oakland, che si è espresso in maniera a sua volta molto chiara, chiedendo il ritiro della maglia numero 12.
“LMA è uno dei più grandi ad aver giocato a Portland. Quando sono arrivato, era al picco della sua carriera. Se fosse rimasto, con lo sviluppo di CJ (McCollum, ndr) chissà come sarebbe finita…”
Difficile non pensarci. Ma poi la vita prende altre strade, e alle volte incontrano un ruvido georgiano che alle Conference Finals nel 2017 rompe la caviglia di un due volte MVP delle Finals e distrugge una cavalcata che, ancora una volta, avrebbe potuto essere trionfale. Sappiamo poi della saudade di Kawhi per Los Angeles, e quindi degli standard diversi sull’Alamo nonostante i 20 punti di media mantenuti nelle successive stagioni in silver&black.
In 15 anni, Aldridge ha messo insieme circa 200 milioni di career earnings, un ruolo da primo violino a Portland e uno da secondo a San Antonio, nove volte ai Playoffs, solo quattro volte ha vissuto stagioni perdenti, e soprattutto la porta della Hall of Fame potrebbe un giorno essergli aperta.
E’ andato via ai suoi termini, e non è un dettaglio da dimenticare. Come non sono da dimenticare quei movimenti in post, quelle schiacciate come gemme rare, quel buzzer beater nella sua Dallas, le sfide individuali vinte contro ogni big man dell’ultima epoca d’oro del ruolo.
Sua madre è guarita dal cancro. Ora Aldridge potrà concentrarsi sui suoi due figli, e chissà su un ritorno sul parquet in borghese. So Long, LaMarcus, enjoy every day.