
Questo contenuto è tratto da un articolo di John Volta per Bright Side of the Sun, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.
Alcuni momenti, quando ci si sofferma a riflettere su di essi, si rivelano così profondamente drammatici da lasciare un marchio indelebile nella nostra mente. Le emozioni provate in quegli istanti sono state tanto intense e pure da riuscire a riportare vividamente con la mente nel passato ogni volta che quei ricordi vengono chiamati in causa. Si riesce quasi a sentire il profumo della stanza in cui ci si trovava, a sentirne i rumori e percepire l’esatto mix di speranza e illusione che riempivano l’atmosfera. Il frame storico odierno si può classificare come uno dei più grandi “oh no” della franchigia dei Phoenix Suns e dei loro tifosi. Si tratta di un momento in cui il battito cardiaco collettivo è stato messo in pausa, talmente mozzafiato da esser scolpito nella memoria di tutti coloro lo abbiano vissuto. La sua eco riverbera ancora nell’aria, riportando alla mente i picchi di speranza e la profondità della delusione successiva. Si tratta dell’infortunio subìto da Joe Johnson e delle conseguenza legate ad esso.
I Phoenix Suns della Stagione 2004/05
Cosa è già stato scritto riguardo questa squadra? Erano diversi. Erano rivoluzionari. Ci si aspettavano prestazioni migliori rispetto all’annata precedente, ma non si aveva la minima idea di ciò che il destino avesse in serbo prima che la stagione prendesse il via. Neppure la NBA poteva aspettarsi tutto ciò. L’Era dei Seven Seconds or Less era iniziata con lo stile e il ritmo rapido imposti dal “generale” Steve Nash, tornato a Phoenix via Free Agency durante l’estate. Questa squadra ha cambiato le regole e messo alla prova l’ordine stabilito delle cose in NBA. La lega, dominata da parecchio tempo da esuberanti big man come Shaquille O’Neal, non era ancora pronta per il radicale cambio di strategia dei Suns. Si tratta di un periodo in cui sfruttare i possessi in post era considerato fondamentale per la vittoria del Titolo – ma i Suns avevano altri progetti.
Sotto la leadership di Steve Nash i Suns hanno orchestrato offensive ad elevato numero di ottani, tanto spumeggianti quanto efficaci. Il ritmo elevato, la precisione nei passaggi e l’instancabile scoring hanno trasformato ogni partita in uno spettacolo. I Suns non giocavano soltanto a basket: lo avevano reinventato, trasformando ogni possesso in una gara contro il tempo e ridefinendo il concetto di lavoro di squadra sul parquet. Per molti, quella stagione è stata la miglior opportunità che i Suns abbiano mai avuto per vincere il Titolo NBA. Hanno preso alla sprovvista l’intera lega, sfruttando velocità e agilità per sopraffare le tradizionali fasi difensive avversarie. La Regular Season si è trasformata in uno show della loro bravura, riuscendo a raggiungere il franchise-record di 62 vittorie. Ogni partita è stata un testamento del genio e dell’impareggiabile visione di gioco di Steve Nash, che ha reso chiaro quanto quella squadra fosse speciale. Avanzando lungo la Regular Season, si pensava che il Fato fosse dalla loro parte. I Phoenix Suns non vincevano soltanto le sfide, ma le dominavano – lasciando entrambe le tifoserie in visibilio. Ogni vittoria è stata preceduta da un enorme hype nel prepartita, e il sogno di vittoria del Titolo si era reso davvero più tangibile che mai. Quei Suns non giocavano solo per vincere, ma per ridefinire l’idea dello sport stesso, e per una sola stagione sono riusciti ad avere molto più successo di quanto ogni sfrenata aspettativa potesse prevedere. Nash, che ha messo a referto 15.5 punti – con il 50.2% dal campo, il 43.1% da oltre l’arco e l’88.7% dalla lunetta – ha vinto il titolo di MVP per quanto dimostrato durante quella stagione.

I Phoenix Suns hanno abilmente surclassato i Memphis Grizzlies al First Round, con uno sweep ed il punteggio di 4-0 nella serie a mostrare tutto il loro dominio. La tappa successiva alle Western Conference Semifinals è stato uno showdown tra 2 delle principali accreditate alla vittoria finale, con i Suns ad affrontare i Dallas Mavericks, ex squadra dello stesso Nash. Nonostante la perdita di Captain Canada nell’estate precedente, i Mavs erano rimasti una formidabile avversaria. Guidati dall’indomito Dirk Nowitzki, Dallas vantava un roster ben costruito e compatto. Con Michael Finley, Jerry Stackhouse, Josh Howard, Jason Terry e Keith Van Horn tutti in doppia cifra durante la Regular Season, affrontare i Suns era più che nelle corde di quei Dallas Mavericks. Il solo Nowitzki rappresentava una forza della natura, con una media di 26.1 punti e 9.7 rimbalzi a partita, capace di motivare e spingere in alto la squadra con la sua stazza, le sue skills e la sua efficacia offensiva. I Suns hanno subito messo in chiaro le cose, giungendo ad un’enfatica vittoria col punteggio di 127-102 in Gara 1. Amar’e Stoudemire è stato inarrestabile, terminando la sfida con 40 punti e 16 rimbalzi, riuscendo a sopraffare la fase difensiva dei Mavs. Un vero e proprio esempio di vittoria, che ha sottolineato ancora una volta il dominio e la consapevolezza nei propri mezzi della franchigia dell’Arizona. Gara 2, tuttavia, è stata contraddistinta da un vero e proprio masterpiece di resilienza e strategia da parte dei Mavs, costituendo una battuta d’arresto che ha alterato il corso della storia dei Suns. Infatti, durante Gara 2 di quella serie – e nella storia della franchigia dei Suns – è avvenuta una delle pietre miliari, finita negli annali della rivalità con Dallas.
11 maggio 2005
Come affermato in precedenza, certe cose semplicemente non si possono dimenticare. L’esercito statunitense era di stanza in Corea del Sud, al grido di “Join the Army! See the world!”. Alcuni soldati sono stati mandati in congedo, con Fort Huachuca tra le possibili destinazioni – giusto a qualche ora dalla città di Phoenix, in Arizona. Il viavai dalla City è stato intenso durante la settimana, con i tifosi a organizzare la serata per assistere alla partita in TV in compagnia. Ma pochi si aspettavano che sarebbe stata l’unica sfida a cui assistere lì. L’eccitazione e l’hype del pomeriggio avevano aggiunto un ulteriore livello di intensità ed importanza a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco sul rettangolo di gioco.
I Phoenix Suns si sono ritrovati a +9 sul finire della prima metà della sfida, quando Joe Johnson ha spinto in transizione un’offensiva dei Suns. La precisione di Shawn Marion al passaggio ha trovato Johnson al passo, il quale con un exploit d’atletismo si era elevato per quella che sembrava una slam dunk da copertina di ogni quotidiano. Tuttavia, il Fato ha deciso di entrare in scena, sotto le vesti di Jerry Stackhouse il quale, con incredibile determinazione, ha tentato la chiusura difensiva per contestate il tiro. La sua presenza ha costretto Johnson ad apportare un aggiustamento in volo, per estendere la sua presa e raggiungere l’equilibro trovando il ferro. Ma, in quella frazione di secondo in cui è stata presa quella decisione, l’irreparabile ha preso vita: Johnson ha perso la presa dal ferro, scivolando al suolo tanto improvvisamente da cambiare il corso del match ed il suo ritmo. Il tempo si è istantaneamente bloccato. Il tonfo generato dall’impatto al suolo di Johnson è risuonato in tutta l’arena, insieme all’incredulo silenzio di tifosi e giocatori nell’assistere alla scena. La vista della rovinosa caduta al suolo di Johnson, e l’incredulità generata subito dopo, hanno sottolineato la fragilità e l’intensità provati dai presenti in quel momento. Quel momento di pausa, che ha lasciato l’intero mondo sospeso, ha ricordato quanto sia sottile la linea che separa il trionfo dall’avversità in un’arena cestistica.
L’infortunio subito da Joe Johnson in quel fatale momento ha lasciato un chiaro e indelebile segno, sia fisico che strategico, sul corso della Playoffs-run dei Phoenix Suns. La frattura dell’osso orbitale ha messo fuori causa Johnson per il resto della serie contro Dallas, lasciando un evidente buco nel quintetto dei Suns. Ma nonostante il passo falso, la franchigia dell’Arizona ha perseverato nell’affrontare le difficoltà, dimostrando resilienza nel portare avanti il corso della serie. Gara 2 contro i Mavs si è rivelata una pillola amara da inghiottire senza Johnson in campo, terminando con una sconfitta per i Suns. In compenso, sorretti dalla lunghezza delle rotazioni e dalla capacità di confidare nei propri mezzi, i Phoenix Suns hanno vinto la serie in 6 combattutissime sfide – anch’esse un chiaro segno della coesione e della forza di quella squadra.
Accedendo alle Western Conference Finals contro i San Antonio Spurs, l’assenza di Joe Johnson nelle prime 2 sfide è stata avvertita pesantemente. Quando finalmente Johnson è tornato a disposizione per Gara 3, i Phoenix Suns si trovavano in svantaggio per 0-2, dovendo affrontare una scalata durissima rappresentata da degli ottimi Spurs. Nonostante il ritorno di Johnson in quintetto, infatti, i Suns non sono mai riusciti a ritrovare il loro ritmo, venendo eliminati inesorabilmente in 5 partite. L’assenza di Johnson nelle prime 2 cruciali sfide ha sottolineato l’influenza del suo infortunio sulle aspirazioni al Titolo dei Suns. Si è trattato di un chiaro reminder su quanto gli infortuni possano alterare il corso delle dinamiche dei Playoffs, delineando le sorti delle franchigie e lasciando impronte importanti sulle rispettive legacy.
L’impatto di Joe Johnson
La perdita di Joe Johnson non ha rappresentato solo una battuta d’arresto, ma un vero e proprio terremoto per i Phoenix Suns. Come anche le stagioni successive hanno rivelato, Steve Nash possedeva l’abilità di elevare lo status e le performance dei suoi compagni fino al calibro di All-Star. Joe Johnson ha incarnato questo tipo di evoluzione, dando il massimo attraverso il ritmo e lo stile di gioco dei Suns e traendo enormi benefici dalle opportunità generate dagli spazi creati da Nash. Durante la Stagione 2004/05 l’impatto di Joe Johnson sulla squadra è stato innegabile. Ha terminato la stagione con una media di 17.1 punti, dimostrando non solo le sue abilità realizzative, ma anche una straordinaria efficienza attraverso una percentuale incredibile di 47.8% dal perimetro. La sua capacità di allargare le difese grazie alla sua minaccia da oltre l’arco ha reso Johnson un punto chiave delle offensive dei Suns e della loro starting lineup.

Sliding Door
Le conseguenze dell’infortunio di Joe Johnson hanno avuto effetti su tutta l’organizzazione dei Phoenix Suns, ridefinendo il loro percorso e le dinamiche del roster in svariati modi. Nonostante il ruolo fondamentale di Johnson e le sue performance stellari nel corso dell’intera Regular Season 2004/05, la tensione è salita lentamente nel corso di tutta la offseason e le negoziazioni del contratto. Le alte sfere dirigenziali dei Suns, impelagate in una disputa finanziaria di qualche milione di dollari, non sono riuscite a comprendere il non-rimpiazzabile valore di Joe all’interno della squadra. Frustrato dal pugno di ferro messo in atto dalla dirigenza, Johnson ha optato per un trasferimento agli Atlanta Hawks. La sua partenza ha segnato un punto di volta nella storia dei Suns, spinti a rivalutare il roster e le sue strategie per costruire una squadra ancora competitiva. Hanno scioccato il roster cedendo Quentin Richardson per Kurt Thomas, nell’intento di pareggiare la presenza di centri dominanti come Tim Duncan nel pitturato. Infine, la decisione di cedere Richardson e Johnson ha alterato la capacità del roster di reagire alle pressioni esterne, che non è più riuscito ad ottimizzare gli sforzi per la futura decade. Ha sottolineato il sottile confine tra un adattamento strategico e rimanere fedeli a una formula vincente – una lezione imparata attraverso la partenza di Joe Johnson e gli effetti devastanti che essa ha avuto sulla storia cestistica dei Phoenix Suns. Se Joe Johnson fosse rimasto integro quella stagione, i Suns sarebbero stata una seria contender per il Titolo NBA. La sua assenza è stata sentita parecchio durante le Western Conference Finals contro i San Antonio Spurs dove Jim Jackson, per quanto capace, non è riuscito a replicare le prestazioni e il dinamico impatto di Johnson in quintetto. Un Titolo nel 2005 avrebbe elevato i Suns ad un livello superiore in NBA, riscrivendo la loro storia negli anni successivi. Invece, a parte alcune run terminate alle Western Conference Finals, i Phoenix Suns non sono mai riusciti a raggiungere le NBA Finals nel corso di quell’Era.
Quella stagione ha impersonato ciò che i fan dei Suns hanno spesso amato della franchigia. La compattezza di Raja Bell è stata parecchio apprezzata negli anni, ma la versatilità di Johnson, unita al suo skillset, hanno avuto risonanza per molto tempo. Poter osservare Steve Nash dirigere le offensive, affiancato da Johnson, Quentin Richardson, Shawn Marion ed Amar’e Stoudemire è stata una benedizione. La loro sinergia in campo era elettrizzante, apportando fast-break, tiri eccellenti e giocate altruiste. Poi è giunta quella fatale serata, che rimane un segno indelebile nella memoria dei tifosi. L’infortunio di Johnson non solo ha fatto deragliare quella che pareva una stagione da Cenerentola, ma ha inoltre prefigurato parecchio disappunto tra i tifosi. Questo è stato spesso il destino di un tifoso dei Suns: momenti brillanti messi all’ombra da crudeli scherzi del Fato. E nonostante i passi falsi, quel team dei Suns è rimasto nel cuore dei tifosi per via del loro eccitante stile di gioco e l’unione del roster che ha reso ogni loro sfida un incredibile show a cui assistere, anche in caso di sconfitta.