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“Non cambia il rispetto che abbiamo delle loro capacità.”

Con questa frase Steve Kerr commentò l’infortunio di Ja Morant in Gara 3 delle Semifinali di Conference 2022. Il coach degli Warriors, con una sana dose di diplomazia da conferenza stampa, stava esprimendo un’opinione parecchio accreditata al tempo. Fino a quel momento, i Memphis Grizzlies avevano collezionato 20 vittorie e 5 sconfitte senza Morant in campo, convincendo i più della loro pericolosità anche privi di lui. Questi numeri, allora, fecero discutere un po’ tutti nel mondo NBA, e alcuni arrivarono addirittura ad affermare che Memphis fosse una squadra migliore senza la sua star. Questa narrazione, poi dimostratasi falsa, aveva un fondo di verità: i Grizzlies andavano rispettati, chiunque schierassero come point guard. Per questo in molti hanno pensato che i Grizzlies potessero quantomeno reggere per le prime 25 gare di questa stagione, durata della sospensione di Ja.

Quello che abbiamo visto finora dalle parti del Tennessee racconta, invece, una storia parecchio diversa, che parla di 6 vittorie in 23 partite e di prospettive ben diverse da quelle degli anni scorsi. È proprio questo, il resto della stagione dei Grizzlies, che preme allora re-immaginare quasi da capo in vista dell’imminente ritorno in campo di Morant, datato 19 dicembre. Il linguaggio del corpo in campo, la mancanza di fluidità offensiva, il calo difensivo rispetto agli scorsi anni, non sono tutti attribuibili alla sua mancanza, e c’è da chiedersi cosa ci si possa aspettare nei mesi a venire.


I cambiamenti a roster

Ma andiamo con calma, e partiamo da quello che è cambiato effettivamente nel roster. In estate, la dirigenza dei Grizzlies ha deciso di non rinnovare il contratto di Dillon Brooks, una scelta che al termine dello scorso anno era sembrata inevitabile. Senza entrare troppo nello specifico di una questione già satura, basti ricordare quando il canadese definì LeBron “un vecchio”, prima di perdere contro i suoi Lakers per 4 a 2. Ciò non toglie che l’assenza dell’attuale giocatore di Houston abbia avuto un impatto visibile su questa partenza falsa dei Grizzlies. Il linguaggio del corpo della squadra, la mancanza di una vera reazione emotiva alla situazione attuale, sono tutte cose che evidentemente passano anche dalla mancanza di leadership. E Brooks, a modo suo, occupava un ruolo centrale a livello di atteggiamento, di mentalità e di identità per la squadra. Essere il volto degli eccessi di Memphis, e contemporaneamente delle polemiche intorno alla squadra, significava anche assumersi un ruolo che, dalla sua partenza, è rimasto vacante. I Grizzlies traevano stimolo dal farsi dipingere come i “villain” della Lega, servendosene come motivazione extra per essere più intensi in campo, ed oggi è evidente che questo tipo di spinta manca nelle teste dei giocatori in campo.

La seconda e ultima operazione di alto profilo dell’estate è stata lo scambio Tyus JonesMarcus Smart. Il primo, leader silenzioso e giocatore dal valore spesso sottovalutato, era il vero equilibratore in casa Grizzlies, soprattutto senza Morant. La sua continuità e capacità di mantenere l’ordine in attacco sono caratteristiche ben diverse da quelle di Smart, più discontinuo e meno efficiente per caratteristiche. In più, a quest’ultimo viene richiesto di ricoprire un ruolo che assomiglia poco a quello in cui ha brillato a Boston nelle ultime 9 stagioni.

Molto di quello che si è detto su questo scambio si riflette negativamente sui numeri: confrontando la scorsa stagione di Jones con questa di Smart, salta all’occhio, oltre alla maggior incidenza sugli assist del primo rispetto al secondo (28,4% contro 24,2%), l’efficienza in termini di palle perse: da una parte Jones è una delle guardie con la minor percentuale di palle perse per possessi giocati (7,7%) e dall’altra Smart è la seconda peggior “combo guard” della lega in questi termini, con un pessimo 20%. Questo dei turnover, che è un vizio storico dell’ex Celtics, è evidentemente influenzato dal ruolo nel quale è stato costretto a giocare finora in stagione, che l’ha portato ad avere palla in mano più che mai, come segnalato dalla statistica dello Usage (23,2%, di gran lunga il massimo in carriera). Nella stagione con il massimo di minuti giocati in media, Smart ha registrato inoltre i suoi peggiori numeri “on/off” della carriera, un -2,2 che nasconde un impatto moderatamente positivo in difesa (-1,3), ma molto negativo in attacco (-3,5). A dirla tutta, solo Derrick Rose e Santi Aldama hanno numeri positivi in questo ambito tra i primi dieci per minuti giocati in stagione, quindi Smart non è certo da considerarsi un caso isolato. Sotto, possiamo osservare le doti da playmaker di Jones in situazioni di pick&roll, eseguito con un ordine che è raro vedere nei Grizzlies di oggi:

Emerge però che, come conseguenza congiunta della mancanza di Morant e del deficit nell’ambito della creazione di gioco, Desmond Bane e Jaren Jackson Jr. sono stati costretti a prendersi più responsabilità che mai dal palleggio: entrambi ad oggi sono nettamente ai loro massimi in carriera in tiri presi “unassisted”, cioè senza l’ausilio di un assist. Bane, in particolare, figura come 3° tra tutte le ali per percentuale di tiri da 3 costruiti da sé. Jaren Jackson Jr. è invece tornato a faticare molto nelle percentuali di tiro, piazzandosi intorno al 50% in eFG%, dopo che l’anno scorso era sembrato in miglioramento sotto questo aspetto. È chiaro che entrambi abbiano subito l’imposizione, l’obbligo di crescere più in fretta di quanto fossero capaci, e l’attacco che hanno avuto sulle spalle, di conseguenza, è stato pressoché disastroso.

Lo stile “up-tempo” che aveva caratterizzato i Grizzlies delle ultime stagioni è stato dapprima forzato, poi abbandonato per mancanza di interpreti adatti. Si aspetta Morant per prossimi aggiornamenti su questo fronte. Nel frattempo, Memphis figura al terzultimo posto nella lega per efficienza offensiva.

Una difesa indifendibile

C’è poi da parlare del lato difensivo che, negli scorsi anni, era stato il vero elemento costitutivo dell’identità, della reputazione e del successo dei Grizzlies. Su questo fronte, dopo un inizio scoraggiante, si è visto qualche miglioramento, e ad oggi Memphis è tornata ad essere l’undicesima difesa della lega. Un modesto risultato, considerando il secondo posto a fine della scorsa stagione, e visto che ad oggi nel quintetto titolare figurano gli ultimi 2 “difensori dell’anno”, Smart e Jackson Jr.

Gli infortuni di Steven Adams e Brandon Clarke sono un fattore importante in questo senso, avendo indebolito una rotazione lunghi composta ora da Jaren Jackson, Biyombo, Santi Aldama e Xavier Tillman. Tutti questi, a parte Aldama, hanno un impatto negativo sulla difesa quando sono in campo nel ruolo di centro. Colpisce in particolare il dato riguardo a JJJ: quando è sul parquet come numero cinque, la squadra concede 7.9 punti in più su 100 possessi, contro i -3,6 punti concessi da ala grande. Jackson tende infatti ad andare in difficoltà, pur essendo un grande difensore in aiuto, quando è il principale lungo in campo, e non ha un centro “puro” a coprirgli le spalle.

Vediamo un piccolo approfondimento di quest’ultima questione nel montaggio qua sotto:

  • Clip 1: JJJ è abile nello sfruttare il corpo di Adams che rallenta il movimento di Embiid, concedendogli il tempo per ruotare e stopparlo.
  • Clip 2: in una situazione più dinamica, JJJ sfrutta le sue doti atletiche e di difensore in aiuto, grazie anche ad Adams che, occupando il centro dell’area, indirizza la penetrazione verso Jackson.
  • Clip n°3: In veste di centro, Jackson è coinvolto nel pick&roll, e senza un secondo corpo ad aiutarlo in area, fatica a prendere contatto con l’iper-atletico Sharpe, che vola senza troppo disturbo al ferro.
  • Clip n°4: di nuovo il problema è quello di riempire gli spazi. Jackson indietreggia fino all’ultimo e Doncic lo punisce con l’alley oop.

Negli anni precedenti, Jackson ha tratto più volte beneficio dal giocare fianco a fianco con un lungo come Adams, difensore di posizionamento e molto ingombrante al centro dell’area. Oggi si trova invece più in difficoltà senza questo aiuto, poiché il nuovo ruolo in difesa gli impedisce di esprimere le sue migliori qualità, ovvero la sua verticalità e l’aiuto dal lato debole.

La cosa davvero sorprendente, però, è che i Grizzlies siano in realtà i secondi migliori nel contenere le percentuali di tiro degli avversari sotto il ferro (60,5%), nonostante gli infortuni si concentrino nel reparto lunghi. È invece nelle percentuali da 3 che si vedono le difficoltà: Memphis è la squadra che concede l’efficienza al tiro dietro l’arco maggiore della lega (40,3%), nonostante abbia un defensive player of the year come Smart in guardia.

Sono numeri come questi ad indicare che i problemi di quest’anno non possono essere totalmente imputati a problemi di “personale” o di disponibilità. Al di là del talento, soprattutto offensivo, ciò che sembra mancare è la personalità dei Grizzlies, la loro energia, che li aveva resi una delle squadre più divertenti e, al contempo, più difficili da affrontare degli ultimi anni. È proprio questo il discorso a cui si accennava rispetto a Dillon Brooks, ed è proprio questo l’ambito in cui più di tutti Morant dovrà dimostrare di essere un vero trascinatore.

Finora tutto quello che è successo in estate, dai Playoffs alla sospensione di 25 partite, sembra aver contribuito alla situazione attuale generando nervosismo nell’ambiente, minandone la coesione. Il motivo per cui la squadra non è stata in grado di combattere in modo adeguato le difficoltà è comprensibile proprio in questi termini. Se negli anni precedenti Memphis era stata a più riprese costretta dalla cattiva sorte, ovvero dagli infortuni, ad affrontare l’assenza della propria point guard titolare, ora non è più il “destino” ad averli catapultati in questa situazione, ma piuttosto un colpevole ben chiaro, Morant stesso. Le sue “dirette armate” non rientrano in quelle avversità che si accettano come parte del gioco e che spingono chi è in campo a dare tutto sé stesso, perché sono azioni deliberate, che alimentano piuttosto la tensione negli spogliatoi, il puntarsi il dito, il nervosismo. Tutti questi fattori confluiscono in una mancanza di lucidità che è stata, finora, la vera caratteristica distintiva della Memphis di questa stagione, ed è la fonte di gesti come quello di Jaren Jackson jr, espulso contro i Jazz per proteste, come si può vedere nella clip qui sotto.

Conclusioni

Riprendendo, alla luce delle carte sul tavolo ora scoperte, la domanda iniziale, possiamo cercare di trarre risposte realistiche nei vari ambiti. Naturalmente è impossibile stabilire quali siano previsioni precise o quali no, ma certo qualcosa ce lo possiamo immaginare. In primis, in attacco, sarebbe un’utopia pensare che Morant arrivi e risolva tutti i problemi in termini di playmaking e di creazione di tiro, ed è giusto ricordare che la mancanza di Jones si farà sentire sotto questo aspetto. Allo stesso tempo, è ragionevole pensare che gli effetti benefici del suo ritorno si faranno sentire non poco. Bane e Jackson avranno presumibilmente più tiri aperti, meno raddoppi, più situazioni di vantaggio create dalle solite, immarcabili penetrazioni di Morant. Smart stesso dovrebbe essere più in condizione di ritrovare il sé di Boston, nel ruolo di playmaker secondario e stopper difensivo.

Al di là, però, dell’aumento delle energie che Smart potrebbe avere da spendere sulle guardie avversarie, è difficile pensare che il ritorno di Ja possa portare a un miglioramento in termini difensivi. Morant è un difensore mediocre e distratto, che nella maggior parte dei casi va “nascosto”, mettendolo sui giocatori meno pericolosi. L’impatto che ci si può aspettare è più legato al carisma del giocatore, alla sua capacità di trascinare pubblico e squadra con la sua energia straripante. Il punto di domanda resta la capacità di Morant di incanalare questo carattere nel giusto modo, invertendo il trend attuale culminato nella sospensione di quest’estate.

A livello di obiettivi generali, è chiaro che l’unica possibilità realistica sia quella di mirare al Play-In, e proporsi come “wild card” ad ovest. Attualmente, Memphis è platealmente fuori rotta, i numeri indicano che dovrebbe terminare con 27 vittorie circa e, come se non bastasse, il calendario da qui alla fine della stagione è stimato come il 4° più difficile della lega. L’anno scorso sono servite 40 vittorie a Bulls e Thunder per aggiudicarsi il decimo posto nelle rispettive conference. Calcolando un probabile periodo di riadattamento al ritorno di Morant, presumibilmente gli effetti di questo si potranno vedere in modo decisivo dopo una decina di partite, allargando la distanza con le altre squadre in corsa per un posto. Considerando l’insieme di questi fattori, una stima prodotta da ESPN analytics, affermava, prima dell’ultima sconfitta contro i Rockets, che i Grizzlies hanno lo 0,4% di probabilità di fare i Playoffs.

Di fatto, a Memphis serve una specie di miracolo, una risposta collettiva in termini di atteggiamento, di comunicazione in difesa, di ordine in attacco, di coesione intestina e soprattutto, una gran fortuna. Qualsiasi deviazione precluderebbe definitivamente l’ormai ambizioso obiettivo del Play-In.

Potrebbero sempre accontentarsi, però, di una stagione di transizione, essendo che a livello contrattuale lo scheletro della squadra è garantito per gli anni a venire, e mirare ad arrangiare un finale in crescita, all’insegna della serietà. La stessa serietà la cui mancanza ha portato i Grizzlies nella situazione attuale e la stessa che è necessaria per superare questa sorta di crisi adolescenziale e diventare finalmente squadra adulta e matura. È chiaro che molto di tutto questo pesi sulle spalle di Ja Morant, sulla sua capacità di riscattare la sua immagine dentro e fuori dal campo. Da un lato ovviamente si tratta di un test difficile, ma dall’altro, quale miglior possibilità di questa per dimostrarsi un vero vincente?