
Questo articolo è una traduzione autorizzata. La versione originale è stata scritta da Huw Hopkins e pubblicata su The Basketball Writers, tradotto in italiano da Erika Annarumma per Around the Game.
Durante la stagione 1992/93, Michael Jordan portò i Chicago Bulls a vincere il titolo NBA per la terza volta di fila. Come raccontato nel quinto episodio della serie The Last Dance, la squadra stava uscendo a fatica da due campionati vinti consecutivamente e finì la stagione con 10 vittorie in meno della precedente; l’attenzione mediatica era fuori controllo e si era sparsa la voce che la fine dell’era fosse vicina. Tutto questo, però, non bastò per fermare Air Jordan. MJ chiuse con una media di 32.6 punti a partita quella stagione, il suo massimo dal 1989/90. Quell’anno John Paxson, giocatore importante in quel roster, giocò meno minuti, e la squadra dovette affidarsi ancora di più a Jordan in fase realizzativa, ancor più di quanto non avesse fatto dalla stagione 1986/87, prima dell’arrivo di Scottie Pippen e Horace Grant. Nell’episodio 5 di The Last Dance, Jordan ha detto: ”Quell’anno ero rimasto un po’ scioccato dal fatto che non avessi vinto io il titolo MVP, ma che lo avessero dato a Charles Barkley. Però ho pensato: va bene, hai vinto il premio, io vincerò il titolo”. Dando un’occhiata alle statistiche, si può capire il perché della reazione di Jordan all’assegnazione del premio:
- Michael Jordan – Punti: 32,6; Rimbalzi: 6,7; Assist: 5,5; Palle rubate: 2,8; Stoppate: 0,8; Percentuale dal campo: 49.5%; +/-: 11,2
- Charles Barkley – Punti: 25,6; Rimbalzi: 12,2; Assist: 5,1; Palle rubate: 1,6; Stoppate: 1,0; Percentuale dal campo: 52.0%; +/-: 7,8
Di tutta la squadra, Jordan era il più efficiente al ferro e aiutava i suoi compagni nell’esserlo a loro volta. Fu il giocatore a rubare più palle in stagione e ogni volta che metteva piede in campo il tabellone della sua squadra segnava 11 punti in più.
Chiaramente, non è che Barkley si desse meno da fare. Quell’anno i suoi 25,6 punti a partita lo fecero arrivare tra i primi cinque realizzatori in Regular Season, segnando il 22,5% dei punti dei Phoenix Suns. La media di 12,2 rimbalzi a partita fu un incredibile risultato per un giocatore della sua altezza, che si aggirava attorno a 1,96 m. E, sempre in quella stagione, registrò sei triple doppie.
Ma cosa più importante, quell’anno fece raggiungere ai Suns il miglior record in NBA.
Mentre Chicago aveva un gruppo con grande esperienza e un grande allenatore, Barkley vinse quel premio per una “statistica” che non può essere riportata nero su bianco, ma che a volte sembra surclassare tutte le altre quando si parla di corsa al titolo MVP: la narrativa.
A partire dalla stagione 1980/81, i media cominciarono a eleggere il vincitore del premio MVP: da lì, la narrativa ha iniziato ad avere una grande importanza per l’assegnazione. Questa è la ragione per cui LeBron James, Tim Duncan e James Harden hanno vinto meno titoli MVP di quanto meritassero, e forse anche la ragione per cui Steve Nash e Stephen Curry hanno lo hanno invece vinto per due stagioni consecutive.
Nel 1992/93 quella di Barkley era indubbiamente la storia più coinvolgente.
Era la prima stagione per lui a Phoenix. Aveva passato i suoi primi otto anni in NBA nei Philadelphia 76ers, passando dall’essere il più giovane di una squadra che stava invecchiando fino ad arrivare all’intero rifacimento a sua immagine della franchigia.
La sua parabola a Phila raggiunse l’apice nella stagione 1989/90. Alcuni passi falsi dei Sixers e degli infortuni (a cui si aggiunse qualche ritiro strada facendo) portarono il record di squadra a peggiorare sempre di più. Prima e durante la stagione 1991/92, tutti stavano cercavano un modo per andarsene (Barkley in prima fila).
Quando la franchigia decise definitivamente di resettare e ripartire da zero, Barkley venne ceduto a Phoenix.
Prima del suo arrivo, i Suns erano una buona squadra: per quattro stagioni di fila avevano ottenuto almeno 53 vittorie. La domanda che ci si poneva era se l’aggiunta di Barkley li avrebbe portati o meno tra le squadre più forti della Western Conference. Giusto o ingiusto che fosse, molti avevano cominciato a bollarlo come un giocatore che poteva solamente portare una squadra fino a quel punto.
Il passaggio a Phoenix avrebbe definito, oppure distrutto, la sua legacy.
Nella stagione 1992/93, i Suns riuscirono per la prima volta nella loro storia a superare le 60 vittorie in stagione regolare. Non riuscirono a ripetersi nel raggiungimento di questo traguardo fino a quando la franchigia non sfornò un altro MVP, Steve Nash, più di 20 anni dopo.
A fine anno, Phoenix aveva vinto nove vittorie in più della stagione precedente e Barkley aveva consolidato la sua reputazione come uno dei giocatori migliori della sue epoca, anche se non riuscì mai a diventare a mettersi un anello al dito.
Nel frattempo, la narrativa intorno alla figura di Jordan stava diventando “tossica”. The Last Dance è riuscito a riproporre in maniera molto veritiera non solo come i media seguissero ogni sua mossa, ma anche come avessero iniziato ad attaccarsi a qualsiasi aspetto negativo che trovavano su di lui.
Jordan era reduce da una campagna olimpica che aveva visto la sua fama raggiungere livelli internazionali che anche lui non si era mai immaginato; aveva già vinto il premio di MVP, sia nella stagione regolare che delle Finals. Fu lui stesso, “His Airness” Michael Jordan, il primo a dire (nel corso di un’intervista con Jackie MacMullan) che pensava che la lega si fosse “annoiata delle sue prestazioni”.
Mentre Jordan continuava sulla falsa riga degli anni precedenti a livello individuale, i Bulls vinsero 10 partite in meno, concludendo la Regular Season solamente con il terzo record.
Con una narrativa così forte che trainava la corsa di Sir Charles, si può capire per quale motivo i media alla fine abbiano nominato lui come MVP.
C’era un’aura attorno a quella squadra, che Barkley sentì fino alle Finals. Anche quando i suoi Suns erano sotto nella serie 3-1, la vittoria del titolo sembrava ancora alla portata:
In The Last Dance, Barkley ha ammesso di essere cambiato dopo aver incontrato i Bulls di Jordan: “In quell’occasione, per la prima volta nella mia vita, pensai che al mondo poteva esserci un giocatore di basket migliore di me”.
Il clamore e l’enfasi che si erano creati attorno ai Suns nel 1993, comunque, bastarono per far vincere a Barkley il titolo MVP. Oltre a Jordan, c’erano altre due possibile alternative: Hakeem Olajuwon e Patrick Ewing .
Con il senno del poi, guardando le statistiche, chi avrebbe dovuto vincere l’MVP quell’anno era indubbiamente MJ. I premi, però, non possono essere assegnati in maniera retroattiva, e la narrativa a volte può condizionare molto le votazioni.
Alla fine della stagione, in ogni caso, Michael aveva tra le mani anello e Finals MVP. Un buon modo di consolarsi.