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Chi avrebbe puntato più di due cents a inizio stagione su questi Orlando Magic? Insomma, partiti fra mille dubbi e una scelta al Draft che sembrava un po’ controcorrente alla loro timeline, si ritrovano a poche partite dalla fine della Regular Season a lottare per un accesso ai Playoffs diretto, senza però aver allontanato il rischio Play-In. Fra i dubbi che accennavamo all’inizio e leggevamo a settembre rigiravano sempre gli stessi: la rotazione delle guardie, il ritorno di Jonathan Isaac, la costanza dei singoli come Wendell Carter Jr. e Paolo Banchero. Se il primo sta attraversando una stagione travagliata per via di alcuni guai muscolari, il secondo sta sicuramente facendo parlare più di sé come traghettatore offensivo di questa squadra e per la sua prima stagione da All-Star da sophomore, a testimonianza di una grandissima stagione personale.

Quanto di questo successo dei Magic dipende però da Banchero? Insomma, primo violino offensivo sì, ma di uno dei peggiori attacchi della lega in quasi tutte le metriche avanzate e nella maggior parte delle situazioni (metà campo e transizione). Cosa porta a pensare tutto ciò? Una sopravvalutazione della stagione di Paolo? Più complicato di così, possiamo provare a capirlo descrivendo un po’ la regular season da sophomore della giovane stella, del suo passaggio dalla stagione da rookie, dei dubbi che riguardano il suo gioco e di cosa porterebbe una possibile esperienza ai Playoffs.


(Quasi) un anno dopo, cosa è cambiato?

Facciamo un confronto proprio con quello che c’era, anche perché la prima cosa ad essere cambiata sono proprio i Magic: quest’anno Orlando non è proprio uno dei migliori attacchi della lega, a differenza dell’anno scorso, su dati quantomeno accettabili. Parliamo di un attacco molto stagnante di una squadra che gioca a un estremizzato basso pace – da 15esimi dell’anno scorso a 28esimi – e che va al ferro più di tutte le altre (da decimi per rim frequency a primi quest’anno con il 38% dei loro tiri), che limita molto i tiri dall’arco, anche perché nella maggior parte dei quintetti non è lo spacing a farne da padrone – per intenderci, la lineup con la maggiore frequenza di tiri perimetrali (44%) è quella composta da Suggs-Houstan-Okeke-Banchero-Bitadze, ovvero per 3/5 dalla panchina. Alla luce di questi dati, verrebbe da dire che questi Magic sono una squadra costruita ancora più su misura di Banchero, cercando la “pulizia” del ferro e dipendendo dalla lentezza degli attacchi che spesso cercano i post-up di Paolo dopo aver mosso la difesa.

Per quanto ciò possa far ben sperare, non c’è stato un grande upgrade nei numeri da parte di Banchero. Nonostante la squadra si sia messa più al suo passo affidandosi alle sue strepitose qualità atletiche e alla self creation, provando a valorizzare le sue migliori caratteristiche, i numeri non testimoniano miglioramenti: un 64% di conversione al ferro (30esimo percentile) rimane comunque basso per uno con quei volumi. Discorso che si amplia per quanto riguarda i midrange: Paolo è tra i percentili migliori per quanto riguarda frequenza di conclusioni in tutti gli spot di questo tipo di tiro, ma ancora nella conversione i dati calano, con un 41esimo percentile per gli short-mid e un più modesto 67esimo percentile per i long-mid. Diventa sicuramente un problema fondare un attacco su uno scorer totale e sui suoi punti forti se poi lui non riesce a concludere i tiri creatisi.

La difficoltà a variare

Nonostante la bassa efficienza statistica non si stia rivelando un grosso problema per i Magic, capaci di compensare un attacco non perfetto con una difesa tra le migliori in NBA, il grosso problema che sembra emergere per Banchero è uno: la difficoltà che ha nel crearsi tiri diversi dai suoi spot privilegiati. Nel concreto, abbiamo parlato dei midrange, abbiamo specificato i post-up, ma la dimensione di Paolo Banchero sembra restringersi ai tiri dal gomito alla sinistra del pitturato, come testimonia la sua shot chart:

Questo è un problema che molte squadre conoscono e al quale hanno saputo reagire di conseguenza, specie quelle dotate di una buona rim protection secondaria e veloci nei raddoppi, anche e soprattutto perché l’assenza di spacing (perfino statico) dei Magic fa in modo che lo stunt aggressivo per impedire una ricezione pulita o addirittura un blitz sul pick&roll per cercare l’isolamento siano strategie estreme ma molto funzionali per contrastare il gioco di Banchero.

Prendiamo come esempio concreto una partita in particolare, contro una delle squadre che anche in regular season è capace di mostrare quanto siano efficaci alcune strategie difensive, ovvero la partita contro i Miami Heat del 12 gennaio, persa di 3 punti da Orlando, con Paolo che mette a referto 25 punti con 10/26 al tiro, 6 assist e 3 turnover. Vediamo alcune soluzioni nello specifico.

La prima, basilare, con una specie di box-and-one degli Heat con Adebayo al centro, lo scarico mette Banchero proprio nel suo spot ma con più di un problema: l’ottima difesa in post di Jaquez, la posizione di Robinson che evita a Banchero di raggiungere il pieno gomito per via di un raddoppio, Bam in roaming che è bravo a proteggere il ferro. Qui l’errore, oltre al tiro, è quella della poca visione e capacità di creare per i compagni, vedendo anche la posizione di Houstan libero per un tiro ad altissima percentuale. Un problema che ritornerà frequentemente.

Altra situazione: Banchero questa volta parte palla in mano e cerca lui di arrivare a un pull-up sempre sul lato destro del gomito. Gli Heat rispondo con una hard drop di Love che poi subito lascia di nuovo Highsmith sull’attaccante dei Magic il quale, non trovando spazio e alternative, prova a inventarsi un difficile fade-away. Anche qui gli errori sono due: non essere stato aggressivo su Love e la grossa difficoltà a trovare il ferro in una situazione nettamente a favore di Paolo, oltre che l’errore nel non sapere rigirare l’azione in favore dei compagni, quando la sua gravity aveva attirato più di un avversario a sé. Ancora problemi di playmaking.

Di seguito Banchero svolge un doppio ruolo: passivo per il pin down di Fultz (non servito da Bitadze) e attivo quando deve essere lui a innescare. Guardate quanto sia profonda la posizione di Adebayo in questa situazione e quanto estremizzi la posizione di roaming per non concedergli il ferro, facendo capire che agli Heat la soluzione del pull-up non dal suo “tassello” piace, la vogliono. Anche qui errore sul playmaking, con addirittura non uno, ma due tiratori in spot sul lato debole pronti a essere serviti che non riceveranno mai il pallone.

Come visto per gli Heat, ci sono tante squadre contro cui Paolo Banchero ha avuto lo stesso problema, anche per motivi diversi: contro i Knicks, ad esempio, è stato messo in crisi da un difensore dalle lunghe leve come OG Anounoby e dal pre-switch effettuato dai Knicks, facendo fatica nello sfruttare il pick&roll e altre situazioni dinamiche che lo potessero mettere nei suoi spot.

Le soluzioni

Questo tipo di problemi non è una novità per una superstar alla quale viene chiesto di trascinare l’offensiva dei suoi (ogni riferimento a Jayson Tatum è puramente casuale) ma, nel caso di Banchero, le possibili soluzioni sono sotto gli occhi di tutti: la prima sarebbe quella di allargare il range di tiro anche per quanto riguarda la self creation – delle 96 triple tentate in stagione, 65 sono assistite – e quindi diventare una minaccia su tre livelli, che aumenterebbe di certo la possibilità del suo gioco. Altra soluzione, come accennato più su, consiste nello sfruttare le abilità di playmaking: per quanto i Magic e la composizione del roster spesso non aiutino, l’essere un eccellente scorer ma con pochissime possibilità di avvantaggiare i compagni grazie alla propria gravity potrebbe rivelarsi una cosa bella da vedere ma inutile, nel senso che le soluzioni aggressive della difesa e la sua incapacità di variare potrebbero risultare più che dannose all’attacco, arrivati ad un certo punto.

Per quanto sia brutto fare paragoni, basti anche guardare la traiettoria avuta da Julius Randle nelle sue campagne Playoffs con i Knicks e come la sua incapacità di rivelarsi anche un buon creator per gli altri sia stata fondamentale nel non successo e nei brutti numeri offensivi dell’attacco Knicks. Come lui, però, è anche il dato della chiusura al ferro a preoccupare, poiché alzare quel numero migliorando non solo nelle occasioni “individuali”, create da sé, ma anche dare la possibilità di agire come play finisher sarebbe un grande upgrade per l’attacco Magic, attualmente privo di questa possibilità per quanto riguarda i giochi a due uomini.

Il personale parere di chi scrive è che una campagna (anche breve) ai Playoffs potrà solo aiutare Paolo Banchero, magari contro squadre dell’Est che vanno ad esaltare questi difetti (proprio gli Heat o i Knicks, ma anche i Celtics), per dare un piccolo senso d’urgenza a un ragazzo che, seppur giovanissimo, ha tutto in regola per poter anche scalare quel range dei top NBA in cui si trova ora e che potrebbe essere molto più capace a guidare un attacco di quanto non abbia già fatto vedere.