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Questo contenuto è tratto da un articolo di John Voita per Bright Side Of The Sun, tradotto in italiano da Marco Barone per Around the Game.


La metà ufficiale della stagione è stata raggiunta dai Phoenix Suns: 41 partite giocate, 41 ancora da giocare. Cosa pensare di questa squadra finora? Scommetto che la maggior parte di voi risponderà “no” alla domanda se questa squadra sia quella che pensavamo fosse. Dopo le mosse in offseason che avrebbero dovuto tappare tutti i buchi evidenti dell’anno scorso, il risultato è stato, beh, a dir poco deludente. Nonostante questo, i Suns stanno giocando una pallacanestro migliore. Gli aggiustamenti di coach Budenholzer cominciano ad avere senso e il GM James Jones sta facendo delle mosse per rinforzare il roster. I Suns stanno lentamente ma inesorabilmente cambiando le cose, proprio mentre attraversano la parte più facile del loro calendario. Siamo a metà stagione e questo significa che è tempo di tirare fuori la penna rossa e dare qualche voto.

A questo punto è lecito essere critici. Se vi reputate tifosi dei Suns, almeno dal mio umile punto di vista, dovreste esserlo. Si sono visti abbastanza alti e bassi per sapere che stiamo ancora inseguendo l’inafferrabile titolo. L’anello è ancora fuori portata e non si è ancora provata quell’euforia da cardiopalma che solo la vittoria di un titolo può portare. Serve di più e, dannazione, Phoenix merita di più. Quindi, un respiro profondo e via con i voti. Quattro categorie. Un unico grande voto alla fine. E, attenzione, spoiler: i Suns non hanno portato al professore nessuna mela.

Scoring: 7-

  • Punti per partita: 113.2 (14°)
  • Offensive rating: 114.2 (10°)

In questa stagione i Suns non hanno esattamente stupito con il loro scoring. Una squadra che si pensava potesse avere una potenza offensiva pazzesca non si è ancora accesa. Con l’arrivo del nuovo attacco basato sul tiro da tre punti di Budenholzer, ci si aspettava che questa squadra si accendesse più degli Hawks di coach Reilly prima di dover rinunciare ad Adam Banks. I Suns sono stati inconsistenti, hanno faticato a mettere insieme quei 10 punti in fila che cambiano la partita, per poi tenersi stretti il vantaggio con la pura forza di volontà e la voglia di continuare a segnare. Certo, Devin Booker di recente sta facendo faville e Kevin Durant sarà sempre Kevin Durant. Se si guarda alle loro medie a metà stagione – 25.8 per Booker e 27.4 per Durant – sembra quasi un déjà vu, che ricorda in modo inquietante lo scorso anno. Booker e Durant avranno la loro parte, questa coppia è d’élite, ma la squadra che li circonda deve fare un salto di qualità. L’inconsistenza offensiva di Phoenix può essere attribuita a diversi fattori. Gli infortuni, ad esempio, hanno giocato un ruolo importante. I Suns hanno perso il maggior numero di partite a causa di infortuni di tutta la lega, e questo non ha certo aiutato le cose.

Bradley Beal ha giocato 29 delle prime 41 partite dei Suns, mentre Jusuf Nurkic, che ha iniziato la stagione come centro, ne ha disputate appena 25. Beal dovrebbe essere la terza opzione di scoring – e non un marcatore terziario qualsiasi, ma uno da 50 milioni di dollari l’anno. La sua assenza rappresenta innegabilmente una battuta d’arresto. Nonostante la forza delle stelle sulla carta, i Suns si sono dimostrati un attacco mediocre per tutta la prima metà della stagione. In base alle aspettative, dovrebbero segnare a un livello da 10, ma non toccano nemmeno il 7.

Difesa: 5+

  • punti per partita avversari: 114.3 (20°)
  • Defensive Rating: 115.3 (22°)

Non so da dove cominciare quando si parla della difesa dei Suns. L’ostacolo più grande è stata questa metà campo o, meglio, la mancanza di consistenza in essa. Certo, si concentrano per alcuni tratti, sembrando un muro che non si riesce a sfondare. Ma nel momento in cui perdono la concentrazione, anche solo per una frazione di secondo, vengono fatti a pezzi. Puntuale come un orologio, l’avversario si scatena, sfruttando ogni crepa nell’armatura. Un attimo prima i Suns sono ovunque, soffocano tutto ciò che vedono, e un attimo dopo sono solo una macchia, lasciando che le squadre si scatenino. Questo approccio alla difesa, o bianco o nero, è irritante. Ogni partita sembra una bomba a orologeria in attesa di esplodere, e quando succede non è mai bello.

Gran parte delle loro difficoltà possono essere ricondotte al fatto che solo il 6 gennaio coach Bud ha deciso di modificare la sua formazione iniziale. Prima di allora, con Booker, Beal e Tyus Jones in campo, i Suns erano semplicemente troppo piccoli in difesa, qualsiasi squadra con un vantaggio fisico poteva dominarli e così è stato. L’inserimento del rookie Ryan Dunn in quintetto ha dato il via a una svolta difensiva per i Suns. Prima della mossa, la squadra titolare aveva un rating difensivo di 77.3, al 25° posto nella NBA. Dopo il cambiamento? I titolari di Phoenix hanno ora un rating difensivo di 66.1, il migliore della lega. Certo, la concorrenza non è stata proprio di primissimo livello, ma è una mossa che ha dato i suoi frutti e ha iniettato un po’ di energia necessaria nella retroguardia.

L’aggiunta di Ryan Dunn va oltre il semplice rafforzamento della difesa dei Suns. Inietta giovinezza in una formazione che ne aveva disperatamente bisogno. L’energia giovanile è esattamente ciò che è mancato a Phoenix per tutta la stagione. Gioventù è sinonimo di energia, ed energia è sinonimo di impegno. E diciamocelo, quest’anno i Suns hanno sempre avuto problemi di impegno. La loro difesa è stata a dir poco inconsistente, con errori che hanno permesso a squadre scarse di rimanere in partita e a squadre migliori di capitalizzare le lacune avversarie. Si possono accumulare punti quanto si vuole, ma se non si riesce a fermare l’altra squadra, che senso ha? È come guardare i Detroit Lions che hanno faticato a fermare Jayden Daniels e i Washington Commanders qualche sera fa. I Suns hanno avuto un aspetto molto simile, incapaci di ottenere stop in difesa. Cosa distingue squadre come Oklahoma City e Cleveland in questa stagione? La loro difesa.

Rimbalzo: 5

  • Rimbalzi offensivi: 9.3 (27°)
  • Rimbalzi difensivi: 33.2 (19°)
  • Rimbalzi generali: 42.5 (25°)

I rimbalzi dei Suns sono stati a dir poco atroci in questa stagione e sono il fulcro della crescente frustrazione nei confronti di Jusuf Nurkic. Questo dovrebbe essere il suo pane quotidiano, la sua area di dominio. È una di quelle cose che ti fanno scuotere la testa. Quando sei un lungo, dovresti essere il padrone di quel tabellone. Ma la mancanza di impegno di Nurk, la sua riluttanza a schiantarsi contro i tabelloni con tenacia, ha portato alla sua caduta. È come guardare un gigante che non si rende conto che dovrebbe essere lui a spingere il masso. Invece, si accontenta di guardarlo rotolare via.

Guardate la differenza tra lui e Nick Richards nella vittoria dei Suns contro i Pistons. Richards attacca la palla come un uomo in missione, mentre Nurkic? Aspetta che la palla arrivi a lui. È doloroso da guardare. Gli scarsi rimbalzi di Nurk – ha una media di 1.8 rimbalzi offensivi a partita (scioccante, vero?) – sono il motivo principale per cui è passato da centro titolare alla panchina. Se a questo si aggiunge il fatto che Kevin Durant non è esattamente noto per le sue doti di rimbalzista, si ottiene un’ala grande che non fa esattamente sfracelli. Cosa rimane? Una squadra come i Suns che è stata tristemente inetta a rimbalzo per tutta la stagione.

Tutto si riduce all’energia e all’impegno, non è vero? I rimbalzi non sono solo un’abilità, ma un’abilità guidata dal desiderio. Ed è qui che Nurkic ha fallito. La voglia sembra svanire ed è impossibile non chiedersi cosa ci riserverà dopo il rientro dalla malattia. Phoenix è al 21° posto per percentuale di rimbalzo e al 26° per percentuale di rimbalzo offensivo. Sono al 12° posto per numero di punti da seconda opportunità e al 9° per numero di punti nel pitturato. Per dirla senza mezzi termini, questa è una squadra che non eccelle in nessuna metrica chiave vicino a canestro. E se questo non cambierà nelle ultime 41 partite, la squadra rischia davvero di fallire. Ma per fortuna c’è Nick Richards. E lui è il salvatore.

Playmaking: 8-

  • Assist: 27.4 (10°)
  • Assist-to-Turnover Ratio: 1.98 (8°)
  • Assist%: 19.8% (7°)

Questo è un settore in cui i Suns hanno fatto progressi dall’anno scorso. Le aggiunte di Tyus Jones e Monte Morris non sono nemmeno state sempre azzeccate per quanto riguarda il modo in cui si pensava dovessero essere utilizzate o il tipo di minuti previsti, ma hanno innegabilmente stabilizzato il playmaking di Phoenix. L’aggiunta di Tyus Jones non ha comunque dato i risultati sperati. Con una usage% di appena il 15.4%, è chiaro che Phoenix non stia facendo girare l’attacco attraverso di lui come ci siaspettava. È una decisione curiosa, se si considera che le aspettative erano quelle di un suo ruolo più centrale nel dirigere il flusso dell’attacco.

Ma non dimentichiamo Devin Booker, che ancora una volta sta dimostrando di essere più di un semplice realizzatore. Con 6.7 assist a partita, non solo è in testa alla squadra per numero di punti, ma ha anche un rapporto di 2.79 assist per turnover, il migliore della sua carriera. Quindi, anche lamentandosi di molte cose, il merito è tutto suo: il playmaking è stato migliore del previsto.

I Suns sono in testa alla classifica degli assist secondari, sapete… gli hockey assist. La media è di 5.0 a partita. C’è sempre spazio per i miglioramenti, ma se si confronta il playmaking di questa stagione con il disastro assoluto dell’anno scorso, i Suns sembrano molto migliorati. Soprattutto nel quarto periodo, dove la scorsa stagione sembravano crollare sotto pressione, quest’anno c’è stata una crescita notevole. Che si tratti della presa di responsabilità di Devin Booker o del supporto di Tyus Jones, il movimento della palla è più preciso, il processo decisionale è più accurato. Non è perfetto, ma è ben lontano dalle difficoltà viste nel crunch time della scorsa stagione. È un progresso, e per una squadra che sta ancora cercando di capire come funzioni, è qualcosa di cui rallegrarsi.

Voto generale: 6

A metà stagione, questa squadra è… nella media. Ha avuto i suoi momenti migliori, con un inizio da 8-1 che ha fatto sperare a tutti, e poi i momenti peggiori, con una striscia di sconfitte strazianti di cinque partite a novembre e un dicembre miserabile. Ora, dopo 41 partite, si trovano a 21-20, all’undicesimo posto a ovest (per ora, ma vedremo come andrà la prossima). Media. Nessuno trema quando vede Phoenix in calendario come all’inizio della stagione. La squadra più vecchia della lega non sa andare a rimbalzo, gioca a macchia d’olio in difesa e ha un motore simile a una Eagle Talon TSi del 1991: turbo, certo, ma sempre con problemi alla cinghia di distribuzione o alle candele. Il potenziale c’è, ma l’esecuzione? Non molto. È stata una squadra frustrante e stuzzicante allo stesso tempo, che ricorda costantemente il suo potenziale non sfruttato. Se si allarga ulteriormente la visuale, considerando il monte stipendi più alto di sempre dei Suns, unito alle restrizioni fiscali, la frustrazione non fa che aumentare. La disperazione si insinua.

Ma vincere? È l’unica via d’uscita. E proprio quando si pensava che la speranza stesse svanendo, si comincia a vederla di nuovo. Si comincia a vincere. Con cautela, si inizia a lasciare che quel barlume di speranza si insinui nei nostri cuori. Vengono fatti degli aggiustamenti. Proprio come Gordon Bombay che insegna a volare alle Mighty Ducks, Phoenix sta lentamente risorgendo dalle proprie ceneri. I Suns hanno ancora delle mosse da fare e, con 41 partite ancora da giocare, il viaggio è tutt’altro che finito. La domanda è: riusciranno finalmente a spiccare il volo?