Si chiude l’era Lavine, c’è la volontà di separarsi anche da Vucevic e White

Dopo 7 anni e mezzo, Zach Lavine saluta i Chicago Bulls per approdare a Sacramento; è la prima operazione rilevante di Arturas Karnisovas intorno alla deadline dopo tre anni di immobilismo. Senza rimpianti, da ambo le parti. Il tempismo in questa lega sa essere tutto, e la ricostruzione post Rose e Thibodeau nella città del vento è fallita non una, ma due volte. Andiamo con ordine.
In cambio di Lavine, e una scelta al secondo giro del 2028, i Bulls ottengono Kevin Huerter, tiratore dinamico ma in fase calante, l’affidabile (ma fragile) lungo Zach Collins e il play Tre Jones, oltre a una scelta al primo giro sulla quale torneremo. Per fare spazio, sono stati tagliati Torrey Craig e Chris Duarte. I primi due saranno free agent dopo la prossima stagione, aggiungendo al payroll 17 milioni di dollari ciascuno, mentre il fratello di Tyus è in scadenza a giugno. Ha tuttavia le carte in regola per essere un affidabile backup, anche se andrà convinto a prolungare in termini team-friendly.
Il nativo di Renton, WA arrivò ai Bulls insieme a Lauri Markkanen e Kris Dunn per Jimmy Butler. Ironia della sorte, la prima partita dei Bulls senza Lavine sarà contro i Miami Heat, per i quali il drama è ancora in onda: Butler non ci sarà, ponendo letteralmente e figurativamente la parola fine sulla trade di 7 anni fa. Trade che rappresenta molto bene lo status recente di Minnesota e Chicago: una che ipoteca la casa per una superstar la quale tradirà senza rimpianti, l’altra che si dimostra ontologicamente incapace di sviluppare giocatori. La scorsa stagione di Markkanen è solo l’ultima prova a riguardo.
Una run comunque da ricordare
In otto stagioni che qualche interruzione fisica l’hanno avuta, Zach Lavine si posiziona sesto per punti segnati con la canotta rossa: davanti ha una tribuna d’onore che annovera Micheal Jordan, Scottie Pippen, Bob Love, Luol Deng e Jerry Sloan. Il due volte campione dello slam-dunk contest è leader per triple segnate, si è guadagnato due apparizioni all’All-Star Game, è stato – quasi – l’unico vero punto di riferimento in un periodo più che buio, e i numeri sono dalla sua parte.
Eppure, il contesto ha fatto sì che il ricordo sarà sempre amaro. Sarà quello il primo pensiero tornando sugli anni di Flight 8 – copyright di Stacey King – nei quali si contano due apparizioni al play-in, due ai Playoffs e una solo vittoria in questi ultimi. Insieme a lui DeMar DeRozan, Coby White, Javonte Green, Nikola Vucevic. Quest’ultimo in retrospettiva tragicamente scambiato per Wagner, altra medaglia di questo front office, al quale non si può chiedere il senno di poi, ma una soluzione all’infortunio di Lonzo in due anni, forse, sì.
Nonostante i 182 milioni guadagnati, la campagna di Lavine con i Bulls lo lascia ancora con l’etichetta di stella da squadra perdente, per quanto come detto i numeri siano di difforme opinione. Non ha scelto decisamente lui di essere draftato a Minneapolis, non ha scelto lui di essere agli ordini del tragicomico Jim Boylen, e non ha scelto lui di finire ai Kings, la cui storia non sembra diversa da quella delle sue due franchigie precedenti. Va comunque ricordato che da restricted free agent, nel 2018, si vide recapitare un’offerta proprio da Sacramento, poi pareggiata dall’allora GM John Paxson.
Per quanto anche alla luce degli ultimi eventi Lavine si sia dimostrato molto più gestibile di Butler, il campo ha raccontato – con un campione tanto piccolo quanto ingeneroso – un’altra storia. Finale play-in 2023, Lavine tira 6/21 per 15 punti, 1 nell’ultimo periodo nel quale il prodotto di Marquette ne segna 13 dei suoi 31. Certo è che Butler ha avuto esponenzialmente più occasioni in post-season, paradossalmente anche a Chicago.
Lo spettro di un’altra ricostruzione vuota

Ha ricevuto molte critiche Arturas Karnisovas per un’altra – la terza – trade senza ricevere scelte al primo giro. In questa c’è, ma era una scelta ceduta dagli stessi Bulls agli Spurs per DeRozan; ed era importante riguadagnarne il controllo, dato che se non fosse stata ceduta prima del prossimo Draft – era protetta fino alle prime 10 – sarebbe stata protetta top 8 per le prossime due stagioni. Di sicuro votate al tanking selvaggio, o almeno sarebbe coerente (…).
Il ritorno è sicuramente basso, ma è difficile immaginare che ci fosse la fila, visto il quinquennale da $215 milioni firmato nel 2022. Il problema è che appena un anno dopo, entrambi si guardavano intorno per soluzioni alternative. Nella conferenza di presentazione di Karnisovas e del GM Marc Eversley si puntava sulla programmazione e sul lavoro del lituano in quel di Denver. Questa, ma anche molte altre situazioni, non sono in linea con quei proclami. E – parlando ancora di tempismo – probabilmente in passato ci sono state anche offerte più appetibili, prima dell’inizio della scorsa stagione, fattore fondamentale considerando come la presenza di Lavine abbia peggiorato le chance al draft dei Bulls.
La scorsa estate, lo stesso front office ha scambiato alla pari Alex Caruso per Josh Giddey, e tramite sign&trade DeRozan a Sacramento per due seconde, una al prossimo Draft e una del 2028. Ma dopo cinque anni di proclami su competitività e aggressività (!) in free agency, non c’è il capitale di scelte che ci si aspetterebbe da una squadra in piena ricostruzione.
Va anche ricordato che i Bulls avevano rifiutato offerte per le quali erano richiesti asset da cedere insieme al prodotto di UCLA. Nell’ultima stagione aveva messo insieme solo 25 partenze in quintetto a causa della frattura al piede destro, ma in questa stagione ha giocato in maniera coerente al suo contratto da 95 milioni nei prossimi due anni, con 25 punti, 5 rimbalzi e 5 assist di media tirando col 46% dall’arco e il 51% dal campo.
Tuttavia, liberandosi dal contratto dell’ex T’Wolves, i Bulls sono quantomeno in una posizione migliore nel caso il prossimo draft dovesse portare qualcuno in grado di cambiare un destino che già da tempo somiglia ad un quarantennale (a partire dai secondi saluti di MJ) pellegrinaggio nel deserto, partendo dall’infortunio non di Derrick Rose, ma dalla caduta in moto di Jay Williams. Oltre all’ovvio salary cap guadagnato, c’è anche una clamorosa trade exception da 26 milioni, che in futuro – entro il prossimo 2 febbraio – potrebbe tornare comoda.
Il lavoro non è assolutamente finito: Lonzo Ball, Coby White e soprattutto Nikola Vucevic non hanno cittadinanza in questa fase. Improbabile che per il prodotto di UCLA e il montengrino arrivino scelte al primo giro, nonostante prestazioni più che incoraggianti in questa stagione. Lonzo scade a fine anno, mentre l’ex Magic ha ancora un anno a 21 milioni. White invece ha un contratto sopportabile, 22 nei prossimi due anni, e i suoi numeri lo superano anche, ma andrà valutata attentamente la timeline.
Trovando una soluzione per questi impegni, rimarrebbero come pietre d’angolo Patrick Williams – sulla cui estensione rimangono parecchi dubbi e una certezza: ad oggi non è scambiabile – Ayo Donsumu e Matas Buzelis. Visti i tempi biblici della proprietà per effettuare cambiamenti nel front office, è lecito aspettarsi che una prima valutazione di Karnisovas andrà fatta su questi giocatori da lui scelti. E’ lo stesso che ha scelto Daniel Gafford, salvo poi scambiarlo per praticamente nulla.
Il piano è comunque chiaro: Capture the (Cooper) Flagg. Sempre non pescando un’altra 7 in lottery.