FOTO: Miami Herald

Manca una settimana al grande giorno, la trade deadline del 6 febbraio, quando ogni possibilità di scambio per la stagione in corso si chiuderà e i roster si aggiusteranno definitivamente (o quasi, in attesa del buyout market). Le storie da seguire sono svariate, e una componente drammatica è aggiunta dal nuovo Contratto Collettivo (CBA), che impone nuove regole molto stringenti per le squadre che spendono di più e soprattutto che lo fanno con poca progettualità. Per non perdersi, è necessaria una guida – sintetica, perché il tempo stringe – da consultare in questi giorni, quando le cose cominceranno a farsi serie tutte insieme, la quale riassuma sia le zone d’osservazione più calde ed esponga un paio di concetti chiave del mercato NBA.

Gli “apron” e le limitazioni

Gli “apron” non sono altro che tetti salariali al di sopra della luxury tax line, che possono essere superati dalle varie squadre ma non senza conseguenze. Il sistema finanziario NBA è basato su un soft cap, non esiste cioè una spesa massima, ma il nuovo CBA ha introdotto anche il cosiddetto “secondo tax apron”, una soglia che – se superata – porta a numerosi svantaggi sul mercato e situata a circa $10 milioni sopra il “primo tax apron”. Effettuando determinate manovre, una squadra può anche diventare “hard-capped” al primo o secondo apron, cioè impossibilitata a superare quelle esatte soglie di spesa, rendendo il sistema de facto un ibrido in base alle circostanze. Di seguito, un’occhiata alle limitazioni di primo e secondo apron e le squadre che ne sono colpite, con una menzione di quelle hard-capped:

  • primo apron:
    • restrizioni: il salary matching deve essere perfetto in una trade, esattamente il 100% di parità fra stipendi in entrata e in uscita; non si possono usare Traded-Player Exception create nella stagione precedente.
    • squadre sopra il primo apron ma sotto il secondo apron: New York Knicks (hard cap al secondo apron), Miami Heat, Los Angeles Lakers, Denver Nuggets (hard cap al secondo apron), Philadelphia 76ers
  • secondo apron:
    • restrizioni: non si possono aggregare più stipendi in uno scambio (es., cedere due giocatori per uno solo), a meno che a trade ultimata la squadra oltre il secondo apron non si ritrovi al di sotto; non si può mandare cash in uno scambio; non si può usare una trade exception creata tramite sign™ si può fare solo uno scambio dove un giocatore è ceduto e arriva pari stipendio (100%) o inferiore, anche se ad entrare sono 2+ giocatori; non si possono scambiare first-round pick previste a sette anni di distanza
    • squadre oltre il secondo apron: Phoenix Suns, Minnesota Timberwolves, Boston Celtics, Milwaukee Bucks
  • squadre sotto il primo e secondo apron: Warriors (hard cap al primo apron), Mavericks (hard cap), Nets (hard cap), Pelicans (hard cap), Cavaliers, Clippers (hard cap), Pacers (hard cap al secondo apron), Hawks (hard cap), Grizzlies (hard cap), Kings (hard cap), Blazers, Bulls (hard cap), Raptors (hard cap), Wizards (hard cap), Hornets (hard cap), Rockets (hard cap), Thunder (hard cap), Spurs, Magic, Jazz (hard cap), Pistons

Fra queste ultime, le squadre con meno margine di manovra in assoluto sono Golden State e Dallas, situate a 500.000 dollari o meno al di sotto della soglia del primo apron, e per di più con hard cap. Qualunque mossa dovrà avvenire con un salary matching quasi perfetto.

FOTO: @KeithSmithNBA (Spotrac)

Sette giorni dalla deadline, sette zone calde

Honorable mentions

Una piccola premessa: Cam Johnson non rientra fra le storie più “degne” di essere seguite entro il 6 febbraio, dal momento che si parla da tempo di uno scambio e le ultime sono QUI. Sono stati esclusi anche i soliti nomi in uscita come Kyle Kuzma (QUI il nostro ultimo pezzo) e John Collins – o i Jazz in generale. Squadra che si muoveranno per migliorare come Bucks e Timberwolves, con Bobby Portis e Julius Randle rispettivamente in prima fila, si trovano già menzionate all’interno dei seguenti paragrafi.

1. L’uscita di De’Aaron Fox

Nelle ultime ore, Shams Charania ha sganciato la bomba secondo la quale i Sacramento Kings starebbero attivamente cercando una nuova sistemazione per De’Aaron Fox, dal momento che il giocatore non ha intenzione di rinnovare e ha puntato una squadra segreta per il 2026, quando diventerà free agent. Stando a The Athletic, sarebbe stato il suo agente, Rich Paul di Klutch Sports, il più potente in NBA, ad avvisare i Kings di muovere il giocatore, in una squadra che piaccia o meno al suo cliente. Già a dicembre si era avuto un presagio, quando lo stesso Paul – sempre stando a The Athletic – si è presentato a una partita di Sacramento contro i Lakers non per seguire i clienti di punta, Anthony Davis e LeBron James, ma proprio Fox, confrontandosi prima della gara con il GM di Sacramento Monte McNair e l’assistente Wes Wilcox riguardo al futuro a lungo termine del giocatore. A quanto pare, per Swipa la cosa più importante è competere, come ha rivelato proprio a dicembre nel podcast di Draymond Green:

“Tutto ciò ha a che fare con la squadra e l’organizzazione. Qual è la direzione? Voglio assicurarmi che siamo in grado di provare a vincere in futuro, perché in definitiva è quello che voglio fare. So che guadagnerò abbastanza soldi indipendentemente da dove giocherò o da cosa farò, starò bene. Dio non voglia che si verifichi un infortunio che possa mettere a repentaglio la carriera. Ma a parte questo, sento di continuare a migliorare come giocatore ogni anno. Per me il punto è: ci sembra di continuare a migliorare anno dopo anno e di essere in grado di competere ad alti livelli? Se riusciamo a dimostrarlo quest’anno, firmerò subito un’estensione. In caso contrario, ovviamente ho ancora un altro anno, ma la mia mentalità è questa. A un certo punto, saremo in grado di competere per un titolo o di competere davvero ad alto livello per molto tempo? Questo è il mio punto di vista.”

“Amo la città. Amo stare qui e ho cresciuto qui la mia famiglia. Qui ci sono i nonni dei bambini. Mi piacerebbe stare qui e ritirarmi qui. Quante persone possono dire di aver giocato per una sola organizzazione per tutta la loro carriera? Voglio far parte di quel ristretto numero di persone, ma, alla fine, voglio anche vincere.”

“Sanno che darò il massimo, ma alla fine anche l’organizzazione deve dare il massimo. Questo è il punto in cui ci troviamo ora.”

– da QUESTO approfondimento

Il suo contratto è ancora tutto sommato favorevole, dato che guadagnerà $34.8 milioni in questa stagione e $37 milioni nella successiva, cifre che possono sembrare stratosferiche ma che non occupano più del 24/25% del salary cap. Per rendere l’idea di quelli che sono i contratti dopo il nuovo CBA e con la crescita finanziaria della Lega, se dovesse essere eletto All-NBA a fine stagione e restasse a Sacramento, Fox potrebbe ambire a un supermax da $345 milioni in 5 anni (azione che salterebbe in caso di trade, FYI), mentre, se non dovesse riuscirci, potrebbe comunque firmare dall’estate un quadriennale da $229 milioni. Cifre, tra l’altro, che scenderebbero se dovesse firmare con un’altra squadra arrivando alla free agency del 2026, per questo è in cerca di uno scambio immediato. Ma quali potrebbero essere le squadre realmente interessate e, soprattutto, credibili per un giocatore di questo calibro?

Sicuramente, le texane sono messe bene. Secondo John Gambadoro, insider specializzato sull’Arizona ma con una rete molto folta di informatori, avrebbe appena costruito una casa a Houston, facendo piombare l’attenzione sui Rockets, autori di una stagione straordinaria e hanno asset da vendere. Secondo Chris Mannix, in uno scambio verrebbero inclusi Fred VanVleet, alcuni giovani a piacimento e varie first-round pick – fino a 4 insieme, un pacchetto niente male, avendo anche svariate scelte dei Suns. Il solo problema? Houston sembra voler confermare il proprio modus operandi, mantenendo questo nucleo intatto – secondo Marc Stein, insider di punta – e rifiutando ogni accordo con giocatori dal contratto pesante, come è stato un paio di anni fa per James Harden e di recente per Jimmy Butler (ne abbiamo parlato QUI). Questo rende i San Antonio Spurs la primissima candidata, e per giunta la squadra preferita proprio da De’Aaron Fox, secondo quanto riportato da James Ham di ESPN, insider di Sacramento, e da Evan Sidery di Forbes (un po’ meno affidabile, ma comunque un’altra fonte autorevole). Tra le altre squadre menzionate, presenti anche Orlando Magic, Los Angeles Clippers e Miami Heat, mentre gli esclusi sono i Los Angeles Lakers, nonostante siano la squadra più seguita da Klutch Sports.

2. La saga di Jimmy Butler

Fra i Miami Heat e Jimmy Butler è ufficialmente finita. Il giocatore ha commesso il terzo strike, dopo essersene andato da un recente allenamento una volta saputo che Haywood Highsmith sarebbe stato titolare al posto suo, facendo scattare la sospensione a tempo indeterminato – non meno di cinque partite – da parte di Miami. Si tratta della terza nel giro di poche settimane: la prima, risalente al 4 gennaio, era dovuta ai commenti in conferenza stampa sul desiderio di essere scambiato (“Volete sapere cosa vorrei che succedesse? Voglio che mi torni la gioia di giocare a pallacanestro. Qui sono felice fuori dal campo, ma voglio tornare ad essere dominante, voglio aiutare la mia squadra a vincere, e adesso non lo sto facendo”. Quando gli è stato chiesto se sia possibile o meno che questo accada a Miami, ha risposto con un secco “no”.); la seconda, della durata di 2 gare, è stata provocata dal fatto che Butler abbia perso il volo verso un road trip, prima a Milwaukee e poi a Brooklyn. Prima della terza, dunque, 9 le gare totali di sospensione, per un ammontare in detrazioni di oltre 3 milioni di dollari, in aumento – quasi $350mila dollari a gara, 1/145 del suo stipendio. La destinazione di favore del giocatore, dopo aver fatto sapere apertamente ai Memphis Grizzlies di non provarci nemmeno, perché se ne andrebbe il prima possibile (player option a fine stagione), è rappresentata dai Phoenix Suns, ma le ultime dicono che i Miami Heat siano coinvolti su numerosi fronti, con più squadre allo stesso tempo, e che abbiano abbassato anche il prezzo del giocatore per cederlo prima della trade deadline. Fra le menzioni onorevoli ci sono:

  • i Golden State Warriors, voce diffusa da Kevin O’Connor, ora che il prezzo si è abbassato
  • i Philadelphia 76ers, che secondo Vince Goodwill potrebbero cedere Paul George – e comunque squadra da tempo menzionata per una potenziale réunion, visto il buon rapporto con Embiid
  • i Minnesota Timberwolves, che potrebbero scambiare Julius Randle dopo il calo di rendimento della squadra

Quanto allo scambio con i Suns, è complicato per varie ragioni, esposte per intero QUI, la prima delle quali risiede nel salary cap:

Gli Heat si trovano: $13.6 milioni sopra la soglia della luxury tax, $8.2 milioni oltre il primo apron, $1.6 millioni sotto il secondo apron. È importante notare che gli Heat non sono limitati (hard capped) né al primo né al secondo apron [livelli salariali che portano a restrizioni, il secondo figlio del nuovo CBA, ndr]. Ciò significa che Miami può aggregare giocatori in scambi, a patto che il risultato finale li veda rimanere sotto il secondo apron. Tuttavia, poiché gli Heat sono ben al di sopra del primo apron, in un affare non possono ricevere in stipendi più di quanto mandino, perché ciò farebbe scattare l’hard cap del primo apron. Questi fattori saranno cruciali da tenere a mente nel momento in cui si mettono insieme le possibili opzioni. La trattativa di Phoenix per Jimmy Butler è complicata perché i Suns sono talmente al di sopra del secondo apron che non riescono più a vederlo (31.5 milioni di dollari in più). Ciò significa che Phoenix non può ricevere in stipendi più di quanto ne spedisca e non può nemmeno aggregare stipendi in uno scambio. Ciò significa che qualsiasi scambio che porti Butler ai Suns deve mandare Bradley Beal, Devin Booker o Kevin Durant a Miami. Non c’è altro modo per far funzionare l’affare. I Suns non possono aggregare gli stipendi nelle trade, quindi devono mandare uno dei “Big Three” agli Heat. Tuttavia, ogni giocatore di questo trio guadagna più di Butler. Dato che gli Heat hanno già superato il primo apron, non possono riprendere nemmeno un dollaro in più di quanto guadagna Butler in un accordo diretto. Anche i Suns non possono riprendere più stipendio di quanto ne mandano, quindi anche solo un giocatore con lo stipendio minimo rende difficile l’operazione.

– Keith Smit, Spotrac

Quindi, come sarebbe possibile un affare? Smith propone uno scambio che vedrebbe Jimmy Butler approdare a Phoenix assieme a un minimo salariale come Josh Richardson o Alec Burks (meglio il primo per Miami, che si toglierebbe lo stipendio più alto); gli Heat, invece, riceverebbero Bradley Beal. Sebbene gli stipendi combinati in arrivo da Miami sarebbero pari a una cifra superiore a quella guadagnata dall’ex Wizards, rendendo l’operazione apparentemente impossibile per i Suns, Smith spiega che si tratterebbe di strutturare lo scambio sponda Phoenix come: trade Butler – Beal, legittima dato che il primo ha uno stipendio più basso del secondo; acquisto di un minimo salariale tramite la “minimum exception”, utilizzabile in scambi di questo tipo.

Il problema, però, è un altro: Jimmy Butler non offre garanzie a nessuno. Il potere della stella risiede nel possedere da contratto una player option da $52.4 milioni per la prossima stagione, che potrebbe rifiutare per testare il mercato dei free agent in estate; di conseguenza, diventa estremamente importante per le squadre poter avere quantomeno la certezza di poter collaborare con il giocatore per un rinnovo, in modo che non si tratti di un semplice noleggio per metà stagione. Una situazione simile, per rendere l’idea, a quella di Kyrie Irving dopo il passaggio dai Nets ai Mavericks, che ha portato nell’estate 2023 a una ri-firma con i Texani da parte del giocatore dopo aver esplorato la free agency. I Bird Rights davano garanzie ai Mavs, ma ovviamente nulla era dato per certo, e lo stesso vale per Jimmy Butler. Questa strategia rischia però di rivelarsi un’arma a doppio taglio anche per i Suns, dal momento che i primissimi report di Shams Charania accennavano al fatto che l’intenzione di Butler fosse quella di rinunciare in ogni caso alla player option per testare la free agency, indipendentemente dalla destinazione. Sebbene esperti come Windhorst abbiano dichiarato che Phoenix sarebbe disposta a offrirgli tutto quello che vuole per rimanere oltre, diciamo che lo storico di uscite turbolente di Butler dalle sue ultime franchigie (Minnesota Timberwolves, Philadelphia 76ers, ora Miami Heat) lo rende una mina vagante. Il suo contratto non offre garanzie, la sua recente condotta non offre garanzie, la sua età non offre garanzie e non lo fanno nemmeno le recenti prestazioni, dato che il suo rendimento nella passata stagione è stato a dir poco altalenante (a causa anche di problemi personali) e influenzato in questa dalla volontà di andarsene. Per quanto si leggano dichiarazioni d’amore, spiattellate ovunque dai numerosi insider NBA, da parte di Jimmy Butler per i Phoenix Suns, chi promette a questi ultimi che non perderanno comunque il giocatore a fine stagione? Magari perché ha voglia di chiudere la carriera a Houston, vicino casa, o perché Giannis Antetokounmpo lo ha invitato a firmare al minimo salariale promettendogli un titolo – con Damian Lillard, tra l’altro, vecchia fiamma di Butler e Miami. I Suns hanno lavorato anni per aprire questa finestra competitiva, per arrivare a Kevin Durant e a una terza stella, sacrificando tutti i propri asset, e, per quanto possa andare male, potrebbe finire perfino peggio se dovessero perdere Butler a 0 a fine stagione – da Beal, magari, con qualche scambio intricato si potrebbe ricavare qualche role player. Forse, anche per Phoenix, è meglio trovare prima qualche altra squadra per far funzionare una sign&trade, anziché prendersi un rischio così alto in una stagione che comunque sembra difficilmente raddrizzabile, Jimmy o non Jimmy.

3. Le zavorre dei Phoenix Suns

I Phoenix Suns vogliono migliorare un roster che sembra destinato a non arrivare da nessuna parte, ma hanno due grossi problemi: Jusuf Nurkic e Bradley Beal. Le problematiche dell’inserire l’ex Wizards in uno scambio sono molteplici. La più grande, come si sarà capito, riguarda lo stipendio: $50 milioni in questa stagione, $53.6M in quella dopo e $57.1M in quella dopo ancora. Il che introduce alla seconda, legata alla produzione. A parte il fatto che si tratti di un 31enne con problemi cronici di infortuni, crollato fisicamente nelle ultime stagioni, la produzione è molto ridotta – 17 punti e 3 assist scarsi con il 58.1% di true shooting, media della Lega. Non proprio il rendimento che ti aspetti da un massimo salariale, il quale soprattutto è un minus ambulante nell’altra metà campo, tanto che il suo on/off net rating (differenza fra quando è in campo e fuori per 100 possessi) è il peggiore della squadra, ben -10.5. Nei 2196 possessi giocati dalle lineup senza di lui, i Suns sono +4.2 per 100 possessi, e il quintetto più usato (181 possessi) ha un net rating di +28.0, 90esimo percentile. Insomma, giocatore “anziano”, che gioca male e strapagato. Come se non bastasse, si tratta anche dell’unico della Lega assieme a LeBron James titolare di una “no-trade clause”, clausola contrattuale che permette di porre il veto su qualunque scambio. Nonostante John Gambadoro, autorevole insider di Phoenix, abbia parlato QUI di disponibilità da parte del giocatore di rinunciare alla clausola per destinazioni come Los Angeles, Miami o Denver, è arrivata la smentita dell’agente Marc Bartelstein, riportata da Brian Windhorst:

Bradley Beal e il suo agente non hanno parlato di rinuncia alla clausola di non scambio e il suo unico obiettivo è aiutare la squadra a uscire dalla recente crisi, ha dichiarato l’agente Mark Bartelstein a ESPN.

“Non ci sono state discussioni su scambi con i Suns o con altre squadre”, ha detto Bartelstein – “Bradley è totalmente concentrato sull’aiutare i Suns a risollevare le sorti della squadra”.

Bartelstein ha detto che Beal, che ha ancora due anni e 110 milioni di dollari nel suo contratto dopo questa stagione, non rinuncerebbe mai alla clausola che ha ottenuto quando ha firmato un contratto di cinque anni e 251 milioni di dollari con i Washington Wizards nel 2022.

Bartelstein non ha escluso la possibilità di rinunciare alla clausola per un accordo approvato, come fece Beal nel 2023 quando fu ceduto ai Suns, se si presentasse una situazione “perfetta”. Ma questa azione non è attualmente in esame, ha ribadito Bartelstein.

– FONTE: ESPN

Ma concentriamoci su un potenziale accordo con gli Heat: fonti autorevoli come il Miami Herald e molte altre riportano del mancato interesse da parte di Miami a ottenere Bradley Beal in uno scambio. Legittimo, se si esaminano soprattutto le cifre gargantuesche del suo contratto in relazione al rendimento, ma anche gli asset molto limitati a disposizione dei Suns. Questi ultimi hanno di recente ceduto la loro first-round pick 2031 per ottenerne tre di minor valore dai Jazz, nel tentativo di accumulare asset da usare magari in più trade separate. Ma non è niente di che. Considerando che Beal si pone come asset enormemente negativo al momento, che già di per sé per essere anche solo scaricato a qualche franchigia disposta ad assorbirne il contratto richiede l’inclusione di Draft capital, non è sicuramente abbastanza per convincere Miami o nessun altro. Non perché Butler abbia chissà che valore al momento – la player option a fine anno mette anche una certa fretta agli Heat, che potrebbero perderlo a 0 – ma perché qualunque pacchetto con più role player, o comunque contratti con il mix meno pesanti/più brevi, ha più valore di quello che hanno da offrire i Suns. La sola speranza consiste nell’arrivo di una terza squadra a facilitare ex machina, come potrebbero essere i Detroit Pistonssecondo quanto riportato vagamente e confusamente da Gambadoro, o nel potere esercitato dallo stesso Butler. Quanto al resto, sono stati menzionati i Chicago Bulls come potenziali facilitatori in uno scambio con Miami, disposti ad assorbire il contratto di Beal per far arrivare Butler in Arizona. The Athletic, però, chiarisce che il giocatore non rinunciare alla clausola di non scambio per un posto così… freddo, come Chicago – sì, questa è la situazione. I Suns sembrerebbero interessati anche a Zach Lavine come opzione di backup, ma questa mancanza di cooperazione da parte di Beal non sembra aiutare.

Quanto a Jusuf Nurkic, si tratta di un asset estremamente negativo, una pillola che per essere indorata ha bisogno di un barattolo intero di first-round pick. Il lungo ha giocato solo 2 delle ultime 15 partite dei Suns, e si trova in un’assenza prolungata di 9 gare consecutive. Nelle due apparizioni, è stato in campo appena 14 e 19 minuti scarsi. Se vi doveste chiedere come mai, sappiate che è il 2° peggiore della squadra per on/off, dietro solo allo stesso Beal: -7.1 punti per 100 possessi di deficit di squadra fra quando è in campo e quando è fuori, con -5.8 punti per 100 possessi segnati in meno (peggiore della squadra) e +1.3 subiti in più (4° peggiore di squadra). La sua percentuale di palle perse quando gestisce un possesso è del 23.1%, la peggiore in carriera e valida per il 5° percentile nella Lega fra i pariruolo, 8° peggior dato dell’intera fra i giocatori con almeno 500 minuti in stagione. Aspetto, quest’ultimo, particolarmente grave, dal momento che la sua unica qualità offensiva consisteva nel fungere da connettore: conseguenza delle tante palle perse è infatti un crollo della percentuale dei tiri di squadra assistiti, passata dal 18.6% della scorsa stagione (89° percentile) all’11% (48° percentile), dato peggiore in carriera escludendo l’anno da rookie. Secondo HoopsHype, i Suns starebbero cercando di attaccare a Nurkic almeno una delle recenti first-round pick acquisite per arrivare a un giocatore di rotazione, ma non è facile trovare acquirenti per un contratto da $18 milioni in questa stagione e $19.4 milioni in quella successiva.

4. la separazione di Brandon Ingram e Zion Williamson

Il cambio di agente avvenuto di recente, passando all’arcinoto Klutch Sports Group, fa pensare a un grosso cambiamento in arrivo per Brandon Ingram. Considerando il brutto infortunio che potrebbe tenerlo fermo a lungo e le prestazioni di squadra, non sembra esserci margine per un rinnovo a cifre spropositate, ricordando che lo stipendio da $36 milioni del giocatore è in scadenza. Di conseguenza, la via della trade parrebbe la più plausibile e, secondo quanto riportato da Shams Charania su ESPN, i Pelicans ci avrebbero provato già alla fine della passata stagione, cercando di spedire Ingram a Minneapolis per acquisire Karl-Antony Towns – una mossa lampo, tentata prima che scattasse il primo anno del nuovo contratto di KAT. Stando alle ultime da Marc Stein, invece, una squadra interessata a Ingram sarebbero i Toronto Raptors, desiderosi di migliorare il roster attorno a Scottie Barnes. A New Orleans, come da tempo, ci si continua dunque a muovere su questo fronte, secondo questo report di dicembre:

“I Pelicans e Ingram hanno trattato sul prolungamento del contratto, oltre a sondare la lega per uno scambio. Secondo le fonti, la precedente rappresentanza di Ingram aveva chiesto un prolungamento del contratto di 50 milioni di dollari a stagione, una cifra vicina al suo massimo. Non c’è stato alcun accordo. I Pelicans, che hanno già superato la soglia della luxury tax in questa stagione, dovranno far fronte a un aumento delle penali legate al salary cap per gli anni a venire. L’executive vice president of basketball operations David Griffin ha adottato un approccio sostenibile alla costruzione del roster senza andare incontro alla tassa – New Orleans non è mai stata una squadra da luxury – ma firmare un’estensione costosa per Ingram spingerebbe i Pelicans non solo molto oltre la tassa, ma anche verso l’apron, limitando ulteriormente le possibilità di aggiunte a roster. L’acquisto in stagione di Dejounte Murray e il recente prolungamento di Trey Murphy III hanno spinto il monte salari dei Pelicans nella prossima stagione a 157 milioni di dollari, 31 milioni al di sotto della luxury tax. […] Ora, la nuova agenzia di Ingram sarà in costante dialogo con Griffin sul futuro del 27enne. A causa della loro situazione finanziaria, è improbabile che i Pelicans riescano a raggiungere l’attuale stipendio annuale di Ingram con un’estensione, rendendo la via dello scambio molto più probabile di un accordo a lungo termine, secondo quanto affermano fonti interne alla lega. New Orleans, tuttavia, apprezza molto Ingram e si prevede che terrà aperta la porta dell’estensione, sempre secondo le stesse fonti.”

– fonte: Shams Charania (ESPN)

Quanto a Zion Williamson? Dopo essere stato fuori dal 6 novembre, è tornato, ma quel corpo è ancora troppo fragile. Siamo a 196 gare in 5 stagioni, fra le quali va conteggiato un rookie year da 24 presenze, il 2021/22 del tutto fuori e 29 presenze nel 2022/23. Al di là del campo, i problemi di Williamson rischiano di diventare anche e soprattutto economici, viste le clausole contrattuali e i recenti sviluppi con la propria agenzia, che lo ha scaricato a seguito dell’ennesimo infortunio. In QUESTO approfondimento è stato affrontato anche il problema delle tante assenze in relazione al contratto. I Pelicans però hanno già fatto sapere che non intendono scambiarlo, anche perché – se sano, un se enorme, ma tant’è – si parla di un potenziale top-10/15 NBA, ma un ridimensionamento delle cifre contrattuali sarà assolutamente necessario al netto dei problemi fisici cronici dimostrati da Zion in questi primi anni di carriera. E allora bisognerà stare attenti a eventuali frizioni, se mai ci saranno. Ma, per il momento, maggiore attenzione a Ingram.

Per i Pelicans, infine, attenziona a un potenziale scambio di CJ McCollum, con un contratto da ancora due anni – questo e il seguente – da oltre $30 milioni annui, non proprio il fit perfetto per una squadra come NOLA che sta faticando e avrà interesse a diminuire il monte ingaggi entro la trade deadline.

5. lo smantellamento dei Chicago Bulls

Ormai da un paio di stagioni, di Chicago Bulls si parla più per ragioni di mercato che di campo. La partenza di DeMar DeRozan in estate rischia di fare solo l’apripista di quello che potrebbe essere lo smantellamento di questo nucleo nell’imminente futuro, specificamente entro la trade deadline del 6 febbraio. E il motivo è un rendimento decisamente non all’altezza negli ultimi anni, nonostante un livello generale della Eastern Conference piuttosto baso. Nell’era di Artūras Karnišovas da Executive VP of Basketball Operations, quest’ultimo non esente da colpe: recordi di 31-41 nel 2020/21, nemmeno il Play-In; Playoffs diretti nel 2022, ma uscita al primo turno fra infortuni e discrepanza evidente rispetto ai Bucks; 2023 chiuso con un record di 40-42, valido per il decimo posto nella Eastern Conference, con conseguente eliminazione al Play-In per mano dei Miami Heat; infine, lo scorso anno, altro record negativo per 39-43 e altra eliminazione al Play-In, questa volta da 9° classificata, di nuovo contro Miami. Fra gli errori dell’executive solo accennati, col senno di poi è da citare sicuramente il pacchetto speso per Nikola Vucevic, composto di Wendell Carter Jr., Otto Porter Jr. e due first-round picks future, diventate per i Magic prima Franz Wagner, poi Jett Howard. Ma anche la gestione dell’estensione contrattuale di Zach LaVine, sul quale si è investito con un massimo da $215 milioni in 5 anni firmato a fine 2022, nonostante alcuni segnali di allarme a livello fisico già presenti, salvo poi andare a inserirlo sul mercato con richieste folli fino ad arrivare a oggi, momenti in cui il suo valore di mercato è ai minimi storici. Al netto di tutto questo, la situazione in casa Bulls delineata a dicembre da Marc Stein, una delle voci più autorevoli fra gli insider NBA, in collaborazione con Jake Fischer, è che tutti siano sul mercato, con la premessa da parte degli altri executive che, per ogni scambio di un contratto pesante, sia necessario “indorare la pillola” con Dalen Terry e Julian Phillips, rispettivamente first-round pick (18) al Draft 2022 e second-round pick al Draft 2023:

  • Zach LaVine

Secondo quanto riportato, la star e i suoi agenti hanno fatto un meeting a dicembre con i Bulls per discutere l’approccio che la franchigia intende tenere in ottica trade deadline. Secondo le fonti di Stein, il mercato per LaVine è però molto limitato al momento: i Golden State Warriors, che hanno fatto un’offerta in estate comprensiva di Andrew Wiggins, non sono più interessati; i Sacramento Kings, che già ci hanno provato alla passata deadline, sembrano da escludere; nemmeno i Detroit Pistons, che stanno facendo molto bene, sono un’opzione. Quando si è reduci da una stagione da sole 25 partite, uno stipendio annuale da oltre $43 milioni è complesso da muovere anche al netto delle ottime prestazioni. Difficile capire, perciò, chi potrebbe essere disposto ad accollarsi questo contratto fra squadre potenzialmente competitive. Lo scambio con i Phoenix Suns, a causa della mancanza di volontà di Beal di rinunciare alla no-trade clause per Chicago, difficilmente si farà; un altro affare, discusso con i Denver Nuggets, sta diventando col tempo sempre più improbabile, e già QUI avevamo spiegato come fosse complesso alla base; infine, nelle ultime ore, sembrerebbero essersi fatti avanti i Milwaukee Bucks, che però hanno asset limitati, richiedendo necessariamente l’inclusione di altre squadre. Tra l’altro, Zach LaVine sembrerebbe intenzionato a restare a Chicago, quindi qualche mossa entro la trade deadline si fa più complessa.

  • Nikola Vucevic

Al meeting con i Bulls di dicembre hanno partecipato anche gli agenti del montenegrino, secondo quanto riportato da Stein. Per il lungo si parlerebbe anche di un prezzo definito, nello specifico due second-round pick. Il suo contratto da $20 milioni (14.2% del cap) quest’anno, $21.5 milioni il prossimo (13.9% cap), non è troppo appetibile per ragioni di rendimento difensivo inadatto per uno starter, ma nemmeno tremendo, e la sua stagione finora è molto buona. In un sistema eventualmente capace di coprirlo difensivamente e nel quale gli venga richiesta una produzione offensiva circoscritta a scoring, spacing e playmaking secondario, può essere una buona presa – probabilmente a qualcosa di più di due seconde. Non è un caso che interessi a Golden State Warriors e Los Angeles Lakers, squadre menzionate da Evan Sidery di Forbes, confermando anche il prezzo attorno a multiple second-round pick. L’interesse sembra un po’ calato con entrambe, ma attenzione a mosse dell’ultimo minuto.

  • Patrick Williams

Forse quello fra i nomi citati su cui ha più senso investire. I limiti offensivi di Pat Williams sono evidenti, non è un finisher di alto livello e il volume al tiro da 3 punti è troppo ridotto, nonostante tiri con percentuali oltre il 40% figlie di una pressione non proprio asfissiante riservatagli dalle difese. Però è un difensore molto versatile, abilissimo soprattutto lontano dalla palla e capace di marcare anche avversari più grossi di lui grazie a una certa stazza – oltre 200 centimetri e sui 100 chili. Si tratta di un 23enne sotto contratto per altri 5 anni a $18 milioni di stipendio fissi, cifra che nelle prossime stagioni andrà ad occupare il 9-12% del cap di una squadra, dunque legittima per un role player di questo tipo. I soli problemi derivano dal fatto che: è reduce da un infortunio al piede; secondo Stein, nessuno si starebbe strappando le vesti per ottenere il giocatore, nonostante l’interesse estivo di Raptors, Thunder e Hornets. I Bulls hanno comunque deciso di mettere attivamente Patrick Williams sul mercato, perciò attenzione a questa settimana.

  • Lonzo Ball

Il giocatore, reduce da 3 operazioni e un’assenza prolungata dal 14 gennaio 2022, sta attirando molte attenzioni in giro per la Lega, fra cui quelle dei Los Angeles Lakers, secondo Bleacher Report. Il suo contratto da $21.4 milioni, considerando la scadenza imminente a fine anno e le stagioni passate lontane dal parquet, è però un asset negativo al momento, pertanto resta difficile da capire cosa potrebbero ricavarne i Bulls. Questi casi solitamente prevedono l’aggiunta di una second-round pick da parte della squadra che cede, o qualcosa di simile, per ottenere una seconda potenzialmente migliore o per liberare spazio nell’immediato al fine di facilitare scambi collaterali, ma questo non sembra il caso di Chicago.

6. lo strano caso dei Toronto Raptors

Sebbene la squadra arrivi da assoluta “seller” (venditrice), nelle ultime ore SportsNet ha diffuso la voce secondo la quale i Toronto Raptors sarebbero interessati ad aggiungere un pezzo significativo accanto a Scottie Barnes. Il nome di Brandon Ingram è emerso nelle ultime ore, il che potrebbe essere un buon indizio per una potenziala trade “in entrata”.

Quanto al resto, la squadra è interessante per i molti pezzi che ha da cedere, su tutti Bruce Brown. Dopo essersene andato da Denver a seguito del titolo 2023 per ottenere un contratto più remunerativo, ha ottenuto un biennale da $45 milioni dagli Indiana Pacers, per un attuale stipendio stagionale di $23 milioni. Un contratto di valore almeno nell’immediato, se si pensa che è stato incluso da Indiana come contropartita per arrivare a Pascal Siakam, assieme a Jordan Nwora, Kira Lewis e 3 first-round pick. Dopo essere passato da una squadra competitiva a una in rebuilding, con un contratto in scadenza, Bruce Brown adesso ha ben poco a che fare con i Raptors, che probabilmente finirebbero per perderlo a 0 in estate se non riuscissero a scambiarlo entro la trade deadline. Non a caso, le notizie in arrivo da Jake Fischer e Marc Stein parlano proprio di Brown come uno dei nomi più caldi attualmente sul mercato, in uscita senza dubbio da Toronto – se non entro la deadline, addirittura con un buyout (taglio concordato con il giocatore dove le parti concordano su una cifra da lasciare sul piatto e una parte da mantenere concordata).

I Raptors sono molto motivati a muovere Bruce Brown e il suo stipendio di 23 milioni di dollari, secondo le fonti, nella speranza di aumentare il ritorno dalla cessione di Pascal Siakam a Indiana il 17 gennaio 2024. Brown è arrivato a Toronto come la componente salariale più importante di quell’accordo, insieme a tre future prime scelte, per far arrivare Siakam ai Pacers.

Se non si concretizzasse uno scambio con Bruce Brown, sarebbe sicuramente molto richiesto come candidato al buyout. I Lakers erano una delle principali destinazioni del giocatore due estati fa, secondo le fonti, prima che si assicurasse lo straordinario contratto biennale da 45 milioni di dollari con i Pacers. Un’altra squadra da tenere in considerazione per Brown sul mercato dei buyout – se si arrivasse a tanto – sarebbe Denver. I Nuggets, dicono le fonti, sarebbero felici di riunirsi con il veterano swingman affettuosamente conosciuto come Brucey B.

Concentriamoci sul potenziale ritorno ai Nuggets. A poco più di $5 milioni sopra il primo apron, i contratti papabili per alleggerire il payroll sarebbero quello di Dario Saric ($5.2 milioni) e lo stesso Zeke Nnaji ($8.9 milioni), ma resta da capire prima quali siano le intenzioni dei Nuggets e l’eventuale mercato. Tornando a Bruce Brown, sembra ovvio che i rapporti con i Raptors siano buoni e che dunque le due parti siano intenzionate a collaborare per la partenza del giocatore, presupposto necessario quando si tira in mezzo l’opzione di buyout. Dopo aver saltato le prime 31 partite della stagione per recuperare un intervento in artroscopia al ginocchio destro a fine settembre, Brown ha fatto il suo debutto stagionale con i Raptors il 29 dicembre, e sta girando a una media di 9.1 punti, 4.2 rimbalzi e 1.6 assist, tirando con il 46% dal campo e il 32% dalla lunga distanza. Tutt’altro che numeri entusiasmanti, ma che si addicono a un agonista da Playoffs inserito in un contesto perdente e senza stimoli: la definizione di “pesce fuor d’acqua”.

I Nuggets, insieme ai Los Angeles Clippers, ai New York Knicks e ad altre squadre, hanno espresso interesse anche per Chris Boucher, stando a HoopsHype. Occhio anche a nomi in uscita da Toronto come Jakob Poeltl, a lungo avvicinato ai Lakers ma sul quale non ci sono grossi aggiornamenti, o anche Davion Mitchell, Kelly Olynyk e Garrett Temple.

7. Myles Turner, Mitchell Robinson e i lunghi

Questa è la trade deadline dei lunghi. Abbiamo già menzionato Nikola Vucevic, Jakob Poeltl e Jusuf Nurkic, ma bisogna aggiungere molti altri nomi caldi alla conversazione:

  • Myles Turner: nelle ultimissime ore avvicinato ai Lakers, parlando di un pacchetto che comprenda Rui Hachimura e Draft pick al primo giro. Difficile a dirsi se sia fattibile, ma l’identikit è quello del lungo rim protector e che apra il campo che ormai da anni si vuole accanto a Anthony Davis, perciò potrebbe essere plausibile. Secondo Jovan Buha, insider per i Lakers, il giocatore – free agent a fine stagione – avrebbe richiesto ai Pacers uno stipendio da 30+ milioni di dollari, che Indiana non vuole pareggiare. Uno scambio entro la deadline impedirebbe di perderlo a 0.
  • Mitchell Robinson: il lungo dei New York Knicks deve ancora debuttare in stagione a causa di un infortunio al piede/caviglia. Avere $14 milioni di stipendio inutilizzati per una squadra appena sotto il primo apron è qualcosa di non sostenibile, perciò sarà il primo indiziato per qualche mossa che possa allungare una delle panchine più corte della Lega.
  • Bobby Portis: da includere nel discorso con Khris Middleton e Pat Connaughton, che i Bucks sarebbero aperti a scambiare. Il problema? Hanno solo la first-round pick 2031 da impacchetare, e per combinare più stipendi (second apron) devono tagliare oltre $6 milioni. Una situazione complessa.
  • Walker Kessler: anche lui accostato ai Lakers prima da Buha, poi da Pincus (Bleacher Report), che ha tirato anche il prezzo: “Ainge non darà facilmente Walker Kessler. Hanno anche la scelta dei Lakers in arrivo, quindi non vogliono che i Lakers siano migliori tra un paio d’anni, ma allo stesso tempo forse non credono in Kessler ed è per questo che vogliono scambiarlo. Penso che i Jazz vogliano una nuova first-round pick. E probabilmente vorranno che i Lakers tolgano la protezione da quella già dovuta del 2027.”
  • Jonas Valanciunas: Rischia di passare inosservato a causa dell’approdo nell’anonima DC, ma Valanciunas non solo è un solido potenziale lungo backup, ma anche il titolare di uno dei contratti migliori in NBA in relazione al rendimento che può offrire: $9.9 milioni quest’anno, appena il 7% del cap, e poi a scendere nelle prossime 2 stagioni prima a 6.72% e poi a 5.88%. Un quasi 33enne in una squadra in pieno rebuilding, con un buon contratto e un discreto rendimento: identikit da trade deadline, al quale i Lakers sono stati accostati a lungo.
  • Deandre Ayton e Robert Williams III: citati in coppia perché la loro situazione è abbastanza collegata e rischia di rivelarsi un aut aut. A Portland, al momento, si tanka, questo significa che gli obiettivi primari sono sviluppo dei giovani e accumulo di Draft picks/materiale futuribile. Donovan Clingan, scelta assoluta numero 7 al Draft 2024, sarà l’oggetto del focus del coaching staff e del front office per il prossimo futuro. Stando così le cose, i due lunghi over-25 a roster sono pienamente disponibili: nonostante entrambi abbiano manifestato svariati problemi legati agli infortuni, si tratta di nomi pregiati, nel caso di Ayton si parla di un potenziale titolare in una squadra Playoffs, se stimolato (un enorme “se), mentre Robert Williams è un rim protector elitario che vive nel pitturato. Secondo i rumors di questi mesi, l’ex Suns è quello dei due che i Blazers cederebbero più volentieri, ma il suo contratto da quasi $70 milioni nei prossimi 2 anni sembrerebbe indicare il contrario. Time Lord, in compenso, ne ha uno da poco più di $25 milioni in 2 anni, e $12.4 milioni di stipendio annuale sono più facili da scambiare.