
Questo articolo è una traduzione autorizzata. La versione originale è stata scritta da Chris Fedor e pubblicata su Cleveland.com, tradotto in italiano da Marco Barone per Around the Game.
Donovan Mitchell ha concluso il suo cupo e temperato post-mortem di otto minuti, è sceso lentamente dal podio e ha preso a pugni la porta che conduce al media center. Il segno indelebile di questa stagione un tempo speciale è stata l’ammaccatura lasciata con il pugno destro. “Abbiamo fatto un passo nella giusta direzione, ma non abbiamo vinto un titolo e non abbiamo raggiunto l’obiettivo finale”, ha detto Mitchell: “Non ci sono vittorie morali. Semplicemente non abbiamo portato a termine il lavoro”.
I Cavaliers, testa di serie, hanno perso Gara 5 delle semifinali della Eastern Conference contro gli sfavoriti Pacers per 114-105, un punto esclamativo sul massacro avvenuto in cinque partite che ha mostrato quanto Cleveland debba ancora capire cosa sia il vero basket da playoffs. “Non siamo riusciti a raggiungere il livello che volevamo”, ha dichiarato Kenny Atkinson, allenatore dei Cavs: “Non siamo soddisfatti di questo. Non stiamo festeggiando la stagione. Onestamente mi aspettavo di più. È una delusione. Abbiamo molto lavoro da fare”.
Elaborare questo fallimento nei playoffs non sarà facile. Poco dopo il fischio finale, Mitchell, ancora vestito di tutto punto con l’uniforme intrisa di sudore, è tornato in campo e si è seduto da solo in panchina. Con la sua espressione immutabile, cercava di raccogliere i suoi pensieri, probabilmente chiedendosi che cosa ci vorrà per uccidere finalmente la mietitrice che arriva ogni anno nello stesso periodo: un ospite indesiderato che brandisce una falce, desideroso di strappare l’anima di Mitchell al primo o al secondo turno. È successo di nuovo. Otto anni di playoff. Sessantatré partite. Zero oltre il secondo turno.
“Non riuscivo a crederci. Non volevo crederci. Non volevo crederci. E ancora non voglio crederci. È dura. È difficile vincere questo titolo, bisogna dargliene atto. Non abbiamo fatto le cose necessarie. Mi piace giocare in quell’arena, con quell’energia, quel pubblico. Abbiamo fatto 0-3 in casa. Questo posto è speciale, davvero speciale, e non ce l’abbiamo fatta, soprattutto in casa. È questo che fa male. Ve l’avevo detto durante l’anno che saremmo stati giudicati per questo, quindi si parlerà molto, è quello che succede. Tutti ci criticheranno, anche se non è una cosa personale. Quindi, sì, abbiamo deluso la città, deluso noi stessi.”
– Donovan Mitchell
Questa uscita anticipata non si ripercuote su Mitchell. Un giocatore di indubbio valore per i playoffs, con un talento, un cuore e una durezza mentale da titolo, ‘unico Cavalier a giocare costantemente secondo i propri standard durante questo fallimento, realizzando almeno 33 punti in quattro delle cinque partite contro i Pacers ai Playoffs, comprese un paio di esplosioni da 40 punti.
Dopo la sconfitta, nello spogliatoio silenzioso, il veterano Tristan Thompson si è vestito e si è diretto verso l’angolo in cui era seduto Mitchell, fissando il nulla che rimaneva della stagione. Il saggio Thompson, leader della squadra, ha dato un ultimo consiglio.
“Quest’anno hai svoltato”, ha detto il sempre onesto TT, menzionando il sacrificio di Mitchell e la sua volontà di responsabilizzare i compagni di squadra: “Il tuo momento sta per arrivare. Gli dei del basket alla fine ti premieranno”. Questo è parte di ciò che rende questa brusca fine così crudele. Mitchell ha fatto quasi tutto bene. Anche l’organizzazione lo ha fatto.
Dopo la sconfitta nella semifinale di conference dello scorso anno contro Boston, campione in carica, il front office guidato da Koby Altman ha resistito alla tentazione di smontare il roster. Decisero invece di vedere come sarebbero stati i giocatori in un sistema diverso, con un allenatore diverso, prendendo la coraggiosa decisione di licenziare J.B. Bickerstaff nonostante le due partecipazioni ai playoffs. Dopo una lunga ricerca, hanno individuato Kenny Atkinson, l’eccentrico scienziato pazzo che ha collezionato tutti i più importanti premi come allenatore. È stato l’uomo giusto al momento giusto, anche se Rick Carlisle di Indiana ha avuto la meglio in questa partita a scacchi del secondo turno, arrivando allo scacco matto prima di quanto ci si aspettasse.
Poi, alla trade deadline, i Cavaliers hanno preso un’altra decisione coraggiosa, mandando via i beniamini dello spogliatoio Georges Niang e Caris LeVert insieme a diverse future scelte al draft per il versatile swingman De’Andre Hunter – un pezzo di puzzle che si pensava mancasse con dimensioni, tiro, capacità di cambiare e un pedigree difensivo.
I Cavs hanno gestito con successo e in modo mirato i minuti durante la stagione regolare, assicurandosi che i giocatori fossero freschi e in salute – mentalmente e fisicamente – per i playoffs. Hanno reimmaginato l’attacco, creando un sistema moderno, vario, imprevedibile e adatto ai giocatori, che ha sbloccato il fenomeno Evan Mobley e fatto a pezzi gli avversari.
Entrando nel 2024/25 con aspirazioni da titolo, Cleveland ha trascorso la maggior parte della stagione con il miglior punteggio del campionato. Ha conquistato un posto nei playoffs a marzo e ha riscritto i libri dei record. Un sorprendente 15-0 iniziale – solo la quarta squadra di sempre ad aprire una stagione con una simile striscia. Sessantaquattro vittorie, 16 in più rispetto alla stagione precedente e la seconda nella storia della franchigia. Tre distinte strisce vincenti di almeno 12 partite. Un record di franchigia di 16 vittorie di fila a febbraio e marzo. Una cultura gioiosa, ilarità negli spogliatoi, rane danzanti, meme divertenti, vibes immacolate, cavalcate, otto mesi di divertimento, dominio e magnificenza. Questa Gara 5 rende tutto irrilevante.
I Cavaliers erano la testa di serie numero 1 della Eastern Conference. Lo hanno dimostrato al primo turno, schiacciando gli inermi Miami Heat con 122 punti di divario cumulativo, la vittoria più sbilanciata di tutti i tempi in una serie di playoffs. Avrebbero dovuto vincere anche questa, favoriti all’inizio e in tutte e cinque le partite.
Ma questa stagione non ha mai riguardato il viaggio, era una questione di destinazione. E sono arrivati allo stesso punto: un bivio organizzativo. Quanto è vicina Cleveland a vincere un titolo? Quanto hanno avuto peso gli infortuni in questa battuta d’arresto? La squadra ha i pezzi giusti intorno a Mitchell? Qual è il percorso di miglioramento?
Questa volta non è previsto un cambio di allenatore. Ma il rinnovamento del roster sarà preso in considerazione, anche se le regole del salary cap e dell’apron potrebbero renderlo più complicato. In ogni caso, il futuro dei Cavaliers con questo roster improvvisamente costoso è ora in discussione grazie al nuovo CBA che ha già costretto altre squadre di successo a difficili scelte di riduzione dei costi. I Cavaliers si trovano a circa 27 milioni di dollari al di sopra della soglia della luxury tax prevista per il 2026, con solo 10 giocatori sotto contratto. C’è la possibilità concreta di avere una squadra nuova tra qualche mese. Potrebbero anche esserci delle sottrazioni dolorose. Ma questo è un discorso per un altro giorno.
Nel match di martedì, l’All-Star Darius Garland – che ha giocato con una distorsione all’alluce che gli ha fatto cambiare le scarpe durante la partita e lo ha fatto camminare lentamente, zoppicando, fuori dall’arena poco dopo le 23.00 – ha chiuso con soli 11 punti con 4 su 16 dal campo, apparendo a tratti mentalmente fragile e visibilmente frustrato dall’incessante pressione sulla palla, dall’energia e dalla difesa asfissiante di Indiana.
Chiaramente non in sé, con ogni movimento brusco e doloroso, l’infortunio rende la valutazione difficile per Garland. Tuttavia, i numeri della serie non sono belli: Cleveland è stata migliore di quasi 19 punti ogni 100 possessi con la point guard titolare fuori dal campo. “Si vorrebbe essere al completo, ma non credo che questa sia una scusa”, ha detto Atkinson: “Non voglio dire ‘Oh, è questo il motivo, non è questo il motivo’. Loro sono stati la squadra migliore. Se lo sono meritato”.
L’ala piccola Max Strus, affettuosamente conosciuto come “Heat Culture” e una delle autorità della squadra per i playoffs, che ha inviato messaggi di incoraggiamento alla chat di gruppo per tutta la durata della serie, è rimasto senza punti in 26 minuti non efficaci, mentre veniva cercato in ogni cambio sui post-up. Jarrett Allen non è stato un fattore.
Ty Jerome, dopo essersi classificato terzo come Sesto Uomo dell’anno NBA, martedì è stato messo in panchina per l’intero primo tempo. In cinque partite contro Indiana, Jerome è sembrato sopraffatto, sfruttando la sua mancanza di velocità di piedi, rapidità e atletismo, con una media di 8.0 punti con il 30% al tiro e il 25% da tre punti, oltre a 2.6 assist contro 1.8 palle perse.
Isaac Okoro è rimasto un peso offensivo ingiocabile che raramente ha anche solo guardato il canestro. Hunter, che ha subito una lussazione del pollice nel quarto periodo di gara 1, ha avuto bisogno di 12 tiri per ottenere i suoi 12 punti. La riserva chiave Sam Merrill ha saltato gara 5 per un fastidio al collo. Dean Wade non ha fornito abbastanza energia dalla panchina.
Mobley, alle prese con una distorsione alla caviglia, ha fatto faville all’inizio e poi si è affievolito: un tema preoccupante e costante. In otto partite di playoffs, non ha mai tentato più di 13 tiri. “Mi passano per la testa un sacco di cose. Devo solo prendere momento per momento”, ha detto Mobley – “Volevamo fare il salto, il passo successivo. Dobbiamo migliorare in questa offseason ed essere più preparati, mentalmente e fisicamente”.
Cleveland, l’attacco più prolifico della lega e il gruppo di bombardieri dalla lunga distanza, ha realizzato solo nove triple e assistito 10 dei 35 canestri effettuati in gara 5 – un cambiamento drastico rispetto al modo in cui ha giocato nelle prime 86 partite, in cui la fisicità e le dimensioni sul point-of-attack di Indiana hanno giocato il ruolo principale. Con l’avanzare della serie, i Cavaliers si sono fatti prendere dal panico e hanno perso la loro identità. O, forse, Indiana l’ha distrutta.
Molteplici vantaggi in doppia cifra sono svaniti in un batter d’occhio, sul parquet di casa. La tanto sbandierata panchina è stata superata di 38 punti totali. La difesa sui cambi non ha funzionato, la zona è stata esposta. Atkinson ha commesso alcuni errori. “Frustrazione”, ha detto Hunter alla domanda sul finale di stagione, “Non credo che abbiamo mai giocato all’altezza delle nostre capacità in questa serie”. “Volevamo vincere un titolo e non eravamo pronti”, ha aggiunto Jerome, “loro erano una squadra migliore, onestamente. Erano più uniti, più composti. Noi non eravamo in noi. C’è molta delusione”.
L’estate è ufficialmente iniziata. I Cavaliers sanno cosa sta per succedere. Verranno usati aggettivi pungenti. Soft. Immaturi. Fraudolenti. Non hanno fatto nulla per cambiare questa reputazione, semmai l’hanno perpetuata. Un’altra post-season umiliante. Un altro maggio in cui sono stati sopraffatti – e questa volta contro una quarta testa di serie che li ha superati in gioco, lotta, esecuzione e forza fisica per cinque partite. È la stessa storia. È diventata una tradizione di primavera. Le luci sono ancora troppo scintillanti.
“Ci sono già passati. Sento che questa è una lezione. Abbiamo fatto un passo,non ne abbiamo fatti due. E se veniamo sconfitti in questo modo, tutti scriveranno qualche cazzata su di noi. E questo sarà il carburante. Sono stato qui, quindi capisco. Lo capiamo e ora dobbiamo usarlo come carburante per il prossimo anno. Siamo una buona squadra. E per cinque, quattro, tre partite non abbiamo mostrato ciò di cui siamo capaci. In definitiva, è su questo che verremo giudicati. Quindi, bisogna andare in palestra, in sala pesi, in nutrizione, qualunque cosa serva, e tornate a lavorare, perché tutti voi ne scriverete di ogni sul nostro conto. Ma torneremo. Torneremo”.
– Donovan Mitchell
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