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Quando a inizio febbraio sono stati annunciati i roster che avrebbero dovuto combattere all’All-Star Game, la mancanza di Domantas Sabonis tra le file della Western Conference ha fatto alzare più di un sopracciglio. Non considerare nemmeno un giocatore che fino a quel momento stava mettendo insieme 20 punti, 13 rimbalzi e 8 assist di media a partita, essendo per di più il fulcro dell’attacco della propria squadra, è stato visto come uno smacco evidente, come se gli analisti e i selezionatori si fossero persi gran parte delle partite dei Kings, oppure, peggio ancora, come se si fossero abituati al fatto che Sacramento, che ha fatto l’anno scorso i Playoffs per la prima volta in 17 stagioni, avrebbe tranquillamente raggiunto la post- stagione anche quest’anno, in una Western Conference competitiva come mai prima d’ora.

I Kings sono attualmente ottavi a ovest, in piena bagarre Play-In, a mezza partita di distanza dai Mavericks e dai Suns, con 12/13 partite ancora da giocare. Le medie stagionali sopra elencate sono simili a quelle attuali, 20 punti, 13.7 rimbalzi e 8.3 assist ad allacciata di scarpe: tuttavia, l’apporto di Sabonis all’attacco di Sacramento, unico nella lega, va molto oltre i numeri. Anche chi non ha costantemente sotto il radar le partite di Sac-Town capisce al volo che il loro attacco è sommariamente diverso da tutte le altre 29 squadre.

La parte preponderante sono gli hand-off: Sacramento ha 4 giocatori per passaggi ricevuti a partita tra i primi 15 della lega, Keegan Murray (1°), Kevin Heurter (3°), Malik Monk (7°) e De’Aaron Fox (15°), e tutti questi passaggi hanno un denominatore comune, Domantas Sabonis. Il lituano è la boa attorno a cui gravitano tutti i suoi compagni e può utilizzare questa situazione sia a inizio azione, per permettere al palleggiatore di guadagnare separazione dopo il passaggio consegnato e il blocco, che come punto di arrivo, per far sì che il tiratore esca dai blocchi e acquisisca un vantaggio a quel punto incolmabile per il difensore. Quest’azione spiega molto bene i benefici che i compagni traggono dal giocare con Sabonis:


Monk supera la metà campo in palleggio, consegna a Sabonis il pallone per poi riceverlo indietro: sembra una giocata tutto sommato inutile, ma questa gli consente di guadagnare mezzo passo su Dosunmu. Nel mentre, fondamentale, Lyles taglia in area (45 cut) per andare a posizionarsi nell’angolo. Proprio mentre avviene il taglio, Monk ritorna sul lato destro, gioca un pick&roll con Sabonis, Dosunmu rimane dietro costringendo a un’uscita forte Drummond (hedge) che obbliga Monk a scaricare ed a servire Sabonis sullo short roll. A quel punto il primo giocatore che il lituano si trova davanti è proprio Caruso, che non ha seguito completamente il taglio nell’angolo di Lyles, per questione di tempi e per evitare un roll profondo dell’attaccante. Sabonis non ha spazio per attaccare il canestro, quindi appena riceve palla guarda sul perimetro, scarica su Lyles, ora libero, per un comodo tiro dall’arco. Questi innumerevoli hand-off giocati a partita sono estremamente funzionali all’attacco dei Kings, che passa dal proprio lungo per sviluppare pressoché ogni azione, non a caso il numero di tocchi medi a gara del figlio di Arvydas è il secondo nella lega (92.6) dietro all’altro centro europeo con le mani da pianista, Nikola Jokic.

L’attacco di Sacramento si può considerare un “5-out”, ovvero tutti i giocatori spaziati sul perimetro lasciando l’area libera. Non è ovviamente una situazione nuova in NBA, ma è una delle prime volte che la vediamo attuata con un lungo non tiratore. Nonostante tiri con il 41.1% da tre punti, infatti, il volume di queste conclusioni prese da Sabonis a partita è molto basso, 1.1.

È il leitmotiv che abbiamo imparato a conoscere con i Golden State Warriors: se tiri tanto da tre punti (Sacramento è quarta nella lega per triple tentate) e anche discretamente bene, automaticamente il piano difensivo avversario è quello di “levarti” dall’arco, vista la tua produttività, mandandoti in area. Di conseguenza, si apre la possibilità di attaccare al ferro, dove i Kings convertono con il 66.5%, quinti nella lega, pur non avendo un lungo che giochi sopra al canestro per ricevere i lob – come hanno per esempio i Mavericks, quarti per percentuale al ferro, che utilizzano sia Lively che Gafford per sfruttare le alzate di Doncic.

Sabonis sopperisce al proprio scarso atletismo con un eccezionale gioco di piedi, una serie di movimenti fatti di piede perno, finte e uso assoluto del proprio corpo. Nell’azione sotto riesce a concludere contro le braccia interminabili di Wembanyama, cosa alquanto complicata:

Stessa giocata vista prima con Monk: boomerang di Sabonis a Murray che ritorna sul lato sinistro, gioca il pick&roll e serve il lituano sullo short roll – in regular season si predilige avere il lungo in drop dopo il blocco, per coprire maggiormente l’area e Popovich a maggior ragione mette in pratica questa usanza avendo il lungo rookie con 2.43m di apertura delle braccia. A questo punto Sabonis si mette in proprio, finge il tiro dalla media distanza facendo spostare il peso del corpo del francese e creandosi uno spazio per attaccare il ferro. Il resto lo fanno la finta e il bump sul corpo del giocatore degli Spurs.

I Kings sono ottavi per offensive rating da dopo l’All-Star Game anche per questo ventaglio di possibilità: hand-off, pick&roll e, a volte, isolamenti. Come detto, il centro rimane Sabonis e lo si vede dalle sue cifre. Non è un caso che contro Washington, nonostante la sconfitta (ci ritorniamo) abbia messo a referto la 52esima doppia-doppia consecutiva in stagione e che contro Toronto, nella partita precedente, sia arrivata la 24esima tripla-doppia stagionale, primo in questa categoria, anche davanti a maestri di quest’arte come Doncic e Jokic. A tutto tondo, il lituano impatta la partita. Il suo ball-handling, infine, è paragonabile nell’NBA attuale solamente a Nikola Jokic.

In quest’azione contro New York, dopo aver raccolto il rimbalzo difensivo (è primo in rimbalzi difensivi catturati, 10.8, secondo in quelli offensivi, 4.6, e primo in quelli totali, 15.4) vede che il suo marcatore designato, Hartenstein, è rimasto dietro di lui, quindi corre per il campo e finisce al ferro contro Anunoby, più piccolo e quindi per lui meno disturbante.

Se Sabonis dovesse chiudere con queste medie al termine delle 82 partite, sarebbe solamente il quarto nella storia della lega ad avere almeno 20 punti, 12 rimbalzi e 8 assist di media in una stagione, dopo Wilt Chamberlain, Oscar Robertson e, ovviamente, Nikola Jokic.

Cambiando lato del campo, i Sacramento Kings hanno fatto un grande passo avanti anche dal punto di vista difensivo. Se mettiamo a paragone lo stint dopo l’All-Star Game dell’anno scorso e quello di quest’anno, vediamo che i Kings nella passata stagione erano 24esimi per difensiva rating a 117.8 punti subiti su 100 possessi, mentre quest’anno sono 11esimi un concesso di 111,6 punti. Una differenza positiva di 6.2 punti su 100 possessi è un grande upgrade, dati soprattutto dai miglioramenti di Keegan Murray e Keon Ellis a livello individuale.

La difesa di squadra di Mike Brown, però, non eccelle in nessuna statistica, essendo 12esima per percentuali concesse al ferro ed addirittura penultima per percentuale da tre punti avversaria a 39.1% da dopo l’All-Star Game, meglio solamente degli Utah Jazz. Un campanello d’allarme, senza dubbio, quest’ultimo: a livello generale la difesa può anche essere migliorata, ma non lascia ben sperare per i prossimi incroci ai Playoffs e, ancora prima, al Play-in.

La discontinuità di risultati in stagione, poi, è difficile da spiegarsi. Nelle ultime 10 partite Sacramento è 6-4, con scalpi illustri come quelli di Milwaukee e dei Lakers, sia a Sacramento che a Los Angeles, ma 3 delle 4 sconfitte sono arrivate contro Chicago, Houston e Washington, squadre decisamente inferiori sulla carta ai Kings. Nella scorsa post-season i Kings hanno perso alla settima gara del primo turno contro i Golden State Warriors, più abituati a giocare partite di questo tipo, ma in quell’intricata matassa che è la Western Conference di quest’anno dal sesto al decimo posto, se non si trova subito il bandolo si rischia di rimanere indietro.

Sacramento è più esperta dell’anno scorso e può contare su un (quasi) All-Star come Sabonis nel suo anno di carriera. Qualche giorno fa ho letto una frase che diceva che Arvydas Sabonis è il giocatore più forte della storia di cui non avete sentito parlare (cioè sì, ne avete sentito parlare, ma poco, perché era meno al centro dell’attenzione). Trasponete quest’affermazione al figlio Domantas e avete capito la stagione clamorosa che sta facendo il numero #10, come il padre, lontano dai riflettori.