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Questo contenuto è tratto da un articolo di Oliver Fox per Celtics Blog, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


L’inizio della storia di questi Boston Celtics non risale certo all’arrivo di Jrue Holiday lo scorso 1 ottobre, e neppure all’aver messo in atto la trade che ha portato alla dura separazione da Marcus Smart, diretto verso i Memphis Grizzlies, per accogliere tra le fila bianco-verdi il lettone Kristaps Porzingis il 23 giugno 2023. Ma neppure il momento del rinnovo contrattuale di Jaylen Brown o il suo tentativo allo scadere di Gara 7 delle Eastern Conference Finals. Il corso e l’esito della Stagione 2023/24 dei Celtics, la loro ricerca di riscatto e di entrare nella storia vincendo il 18° Larry O’Brien Trophy risale a molto più indietro: precisamente, al 21 maggio 2017.


I Playoffs del 2017 sono stati lo spartiacque per i moderni e travolgenti Boston Celtics: capitanati dall’eroico Isaiah Thomas – alle prese con un fastidioso infortunio all’anca – i Celtics del 2016/17 hanno superato il First round dei Playoffs alle spese dei Chicago Bulls, annullando poi l’unica stagione buona dei Washington Wizards negli ultimi 50 anni grazie all’esplosione di Kelly Olynyk in Gara 2 di quella serie. Poi, purtroppo, l’infortunio all’anca di Thomas si è aggravato, mettendolo definitivamente k.o. e segnando le sorti ai Playoffs dei C’s. I bianco-verdi si sono trovati a dover fronteggiare i Cleveland Cavaliers, che contavano a roster ben 9 All-Star, ex e futuri Campioni NBA e probabili Hall of Famer. E nonostante ciò, i Celtics hanno dato prova di essere una delle migliori squadre viste in NBA negli ultimi anni. I tifosi bianco-verdi ricorderanno quella serie come una sconfitta subita, ma uscendo dal campo da “rispettati gentiluomini”. Il momento più alto, per i C’s, è ovviamente Gara 3, la loro unica vittoria e Cigno Nero a cui l’intera organizzazione aveva bisogno di assistere. Sono molti a ricordare quella sfida come The Avery Bradley Shot Game

I primi istanti di questa clip video sono molto significativi per quello che allora era il presente, e che poi sarebbe stato il futuro della NBA. Marcus Smart affronta LeBron James in palleggio, il quale dal suo canto pensava di avere la situazione sotto controllo – questo mindset, di solito, tuttavia finisce a far stravolgere le previsioni – e quella situazione di gioco parrebbe aver influito molto sulla carriera di Smart. Anche se, l’estate scorsa, è stato ceduto a malincuore. Infine, viene da stropicciarsi gli occhi a causa dell’illusione ottica causata da Jonas Jerebko nell’angolo, che uno sguardo rapido potrebbe confondere per Porzingis – se non altro per il taglio di capelli simile e lo stesso numero di maglia, l’8. Inoltre, Jerebko è paragonabile al rendimento di KP quest’anno proprio come una Fiat 500 può competere in rettilineo contro una Ferrari. 

C’era già in campo Al Horford, un elemento fondamentale all’interno del roster negli ultimi anni e, in generale, dell’intera storia dei Celtics. In panchina c’era anche Jaylen Brown, ai tempi rookie, sceso in campo per soli 12 minuti, durante i quali aveva sbagliato tutti e 3 i tentativi a canestro effettuati. Ma c’era, e proprio nessuno tra tifosi ed addetti ai lavori bianco-verdi avrebbe potuto predire ciò che sarebbe potuto diventare negli anni a venire. E accanto a Horford si trovava l’uomo del momento: Avery Bradley, il penultimo ad indossare la canotta n°0 a Boston. La sua maglietta è una delle più amate dai fan, che ancora la indossano alle partite casalinghe dei C’s. Confondere la “0” di Bradley con quella di Jayson Tatum è facile: solo un occhio esperto noterebbe il logo Adidas anziché quello della Nike. 

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Il tiro di Bradley è perfetto, non tanto per la sua purezza e pulizia, quando per il suo tempismo: se avesse messo subito dentro un tiro, probabilmente i Cavs avrebbero avuto ancora tempo per provare a controbattere. Ma Bradley ha messo dentro il tiro al momento perfetto, con il cronometro giunto inesorabilmente ad un sarcastico 0.1. Quest’azione di gioco, come detto, racconta tanto dei successivi anni dei Boston Celtics e di come il Fato abbia spesso deciso d’intervenire nel corso della loro storia sportiva. Gli odierni Boston Celtics sono figli di quella squadra e di quel frangente, e della successiva serie di eventi che esso ha comportato fino ad oggi. 

Il sogno di allora di vincere il Titolo NBA oggi è più nitido che mai e, a prescindere dal risultato che riusciranno ad ottenere, al momento le loro chance sono considerate altissime. Può trasformarsi nella chance di una vita intera, la migliore che i giocatori possano avere per scrivere i loro nomi nella storia, oppure di uno dei più grandi fardelli da portare nel corso degli anni. Al momento potrebbe trattarsi di entrambe le cose, e dipende dalla squadra quale delle due diventerà realtà. Nel mentre, c’è abbastanza tempo per analizzare quanto accaduto nel corso del tempo e capire come potrebbe svilupparsi l’attuale edizione dei Playoffs dei Boston Celtics. 

Il Revenge tour

A seconda da chi lo si chieda, la Stagione 2023/24 potrebbe essere considerata una sorta di anno della giustizia o Revenge tour. Si potrebbe tranquillamente affermare che una squadra capace di vincere 64 partite in Regular Season ha ristabilito un po’ di equilibrio nell’universo. La stagione NBA ha avuto diversi colpi di scena, insieme a vari bizzarri cambi di coach in panchina, infortuni scioccanti e lotte per un seed ai Playoffs. Ma i bianco-verdi hanno mantenuto la situazione sotto controllo nella Eastern Conference, avviandosi tranquillamente al raggiungimento (parecchio anticipato) del 1° seed. 

Dopo aver vinto così tante partite in stagione, sembrerebbe quasi che davvero non sia rimasto molto da dimostrare. Ma l’intero mondo cestistico NBA sa bene che una vittoria in Regular Season ha poca rilevanza, e i tifosi bianco-verdi sanno che ci sia ben poco da festeggiare, almeno per ora. La metropoli del Massachussetts c’è, con la franchigia pronta a schierare il miglior quintetto dalla versione dei Golden State Warriors del 2018, con vari membri della second unit che continuano a performare ottimamente. Un risultato differente da un convincente 1° posto avrebbe fatto alzare ben più di un sopracciglio – se non entrambi.

Ciò non vuol dire che i tifosi non debbano godere neppure un minimo dei successi stagionali ottenuti dalla squadra. Ma dovrebbero farlo con moderatezza, comprendendo che i Boston Celtics sono comunque a rischio di essere a 192 minuti dalla loro eliminazione, a prescindere da quanto bene abbiano giocato fin qui in Regular Season. Si tratta di 3 ore e 12 minuti: la nave potrebbe navigare rapida e solcare i mari o dover affrontare il mare in burrasca. I “marinai” vorranno certamente mantenere la rotta il più possibile, a prescindere da possibili tempeste e uragani. Il che si tradurrebbe comunque in trovare acque più calme, nella speranza che gli avversari più temibili cedano il passo prima di incrociarlo con il destino dei Celtics: sperare in una buona sorte dal Play-In Tournament, possibilmente evitando Miami Heat e Philadelphia 76ers, provare a schivare i Milwaukee Bucks e infine che i Denver Nuggets non arrivino alle NBA Finals. Nulla di così semplice, ma certamente sono molti a sperare che accada. 

E ovviamente non bisogna tralasciare l’appellativo con cui molti si sono riferiti a quest’annata: Revenge tour. Trovare la strada spianata è spesso la via più semplice, ma può comportare anche un approccio sbagliato – che ha portato alle cocenti eliminazioni delle ultime stagioni. Probabilmente in passato sarebbe stato meglio sfidare apertamente le altre franchigie e cercare di alzare il livello per mantenere alto anche quello della concentrazione. Prima dell’inizio dei Playoffs dell’anno scorso il dubbio generale era su quale franchigia tra Sixers, Bucks e gli stessi Celtics potesse riuscire ad arrivare fino in fondo, ma pochi – o quasi nessuno – si sarebbero aspettati i Miami Heat fuori dal cilindro – specie dopo una Regular Season 2022/23 parecchio dietro le quinte. 

Ma poi Jimmy Butler ha lasciato il proprio corpo letteralmente in campo contro i Milwaukee Bucks, rispedendoli a casa a meditare sui propri errori. I Celtics hanno gioito nel vedersi contro gli Atlanta Hawks al First round, anche se si sono dimostrati più difficili da battere di quanto ci si attendesse. Successivamente hanno imbastito una battaglia contro i Philadelphia 76ers al Second round, riuscendo ad uscirne vincenti soltanto grazie all’eroiche gesta del “generale” Jayson Tatum. Ma i Bucks e Giannis Antetokounmpo erano stati eliminati, quindi il peggio doveva esser passato, no? In previsione della sfida contro gli Heat, i pronostici davano i Celtics vincenti con il 97% delle possibilità – un numero che era già apparso altre volte in passato nella storia dei C’s

Nessuno aveva comunque approcciato la serie di Eastern Conference Finals dando ai Miami Heat realmente così poche chance di superare il turno, anche se i Boston Celtics restavano i favoriti. E, purtroppo per loro, non sono stati dei favoriti travolgenti nei confronti degli avversari, bensì alquanto tiepidi. E alla fine sono usciti sconfitti, nonostante siano riusciti a rimontare parzialmente da una situazione di 3-0 per la squadra allenata da coach Erik Spoelstra, perdendo poi in Gara 7. Senza dubbio la distorsione alla caviglia di Tatum in avvio di partita ha influito, ma suona troppo di scusa. La Playoffs-run di quest’anno della squadra di coach Joe Mazzulla potrebbe essere davvero quella della vendetta, per ciò che sembrerebbe proprio una lezione biblica sulla pazienza. Ma anche da tutte quelle scuse, poiché quest’anno non sembrerebbero essercene. Avere tali aspettative addosso potrebbe essere tanto positivo quanto negativo.

Per gli ottimisti questa è un’occasione incredibile per vincere il 18° Banner ed esorcizzare tutti i demoni in una volta sola. Se ciò dovesse accadere i Celtics riuscirebbero finalmente a raccogliere i meritati frutti del loro lavoro. Giocatori, coaching staff e Brad Stevens saranno riusciti finalmente a scrivere il proprio nome nella storia, aprendosi porte che mai avrebbero immaginato prima. Inoltre, potrebbe porre fine ai quesiti sulla possibile divisione del core formato dai Jays. Chiunque, dai tifosi bianco-verdi ai semplici appassionati, vedrebbe il duo come una coppia di campioni, senza alcun riserbo o note di demerito. Probabilmente sarebbe il modo in cui tutto andrebbe avanti fino alla fine, coi favori del Fato. 

Vittoria o fallimento

Il Fato ha perseguitato i Boston Celtics nel corso degli ultimi anni. Hanno ottenuto una solidità mai riscontrata prima del 2017 ad oggi, nonostante negli ultimi 7 anni varie squadre meno favorite e blasonate abbiano avuto la meglio durante le Eastern Conference Finals a loro spese. La brutta annata di Kyrie Irving e il disastroso infortunio di Gordon Hayward sono due episodi, interpretabili in vario modo, anche se i Celtics hanno sempre provato a lottare, pur con la mascella rotta o un braccio legato dietro la schiena. 

In compenso, la maggior parte dei successi ai Playoffs ottenuti dai bianco-verdi nel passato è stato dato quasi per scontato, piuttosto che un naturale progresso della storia del basket NBA. Tatum e Brown erano poco più che ventenni per la maggior parte di quelle annate e, quando hanno finalmente raggiunto le NBA Finals nel 2022, sembrerebbe che abbiano dovuto sacrificare molto per arrivare fin lì. Quasi nessuno dava i Celtics per favoriti nella Stagione 2021/22, specie prima che riuscissero a mettere in atto una delle più grandi rimonte della storia, dal galleggiare attorno allo 0.500 fino al 2° seed nella Eastern Conference. Ma in molti davano credito a Giannis e ai Bucks, considerandoli avversari proibitivi. Altrimenti, subito dopo c’erano i Miami Heat, arrivati ai Playoffs col 1° seed. E infine la sempreverde minaccia costituita dai Brooklyn Nets di Kevin Durant e Kyrie Irving. 

Ma i Boston Celtics sono riusciti ad arrivare fino in fondo, cedendo il passo soltanto ai Golden State Warriors alle NBA Finals. La sensazione dopo che tutto è finito era semplice: i Celtics erano ancora una franchigia work-in-progress, mentre i Dubs erano un vero e proprio capolavoro. Nessuno si aspettava che questo roster si esponesse per salvare coach Ime Udoka dalla sospensione. Molti tifosi potranno dire che si tratti di “vittoria o fallimento” ogni anno, ma questa e la passata stagione possono essere considerate tali a tutti gli effetti.  Nel 2022 hanno avuto la prima chance di raggiungere l’obiettivo, adesso è giunto il momento di chiudere il cerchio. 

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Nel 2023 tutte le speranze sono precipitate nel tentativo n°5, con i Miami Heat a cambiare ogni legge della logica e della fisica e i Celtics a mettere in pratica una delle più improbabili medie realizzative del secolo. I C’s sono stati costretti a tornare a casa sconfitti ancora una volta, affrontando un percorso tortuoso di dubbi e quesiti di una squadra che costantemente sfiora il successo ma non riesce mai a farlo suo. Rimanere calmi o essere aggressivi? Può essere facile predicare cambi radicali, mentre arduo rimanere saldi in attesa di sorti meno infide. Ad esempio, anche con i bianco-verdi sotto 3-0 contro Miami, c’è stato chi ha mantenuto la mente fredda, comprendendo la situazione al meglio.

Subito dopo la terza sconfitta nella serie contro Butler e compagni, Ryan Russillo al Bills Simmons Podcast ha scommesso tutto sui Celtics per questa stagione, mantenendo coach Joe Mazzulla alla guida. E ha avuto pienamente ragione. Per quanto i Boston Celtics non abbiano ancora vinto nulla, i Bucks sembrano in balia di disordine generale, Miami è in ansia per le condizioni di Butler e in lotta per il Play-In Tournament, i Sixers hanno perso parecchio avendo scambiato James Harden. Se i Celtics avessero mantenuto Robert Williams III, Malcolm Brogdon e Marcus Smart sarebbero comunque tra le papabili franchigie vincitrici. 

Ma il President of Basketball Operations, Brad Stevens, ha impiegato soltanto 12 giorni a prendere questa decisone: prima che i Denver Nuggets alzassero il Titolo NBA al cielo, Stevens aveva spedito Brogdon ai Los Angeles Clippers in una trade a 3 franchigie per ottenere in cambio Kristaps Porzingis, che considerava il pezzo mancante nello scacchiere bianco-verde. Quella trade è svanita nel nulla, e Brad Stevens è stato costretto a inserire Marcus Smart anziché Brogdon, spezzando il cuore dei tifosi che vedevano Smart come uno dei pilastri del roster, oltre che dell’intera comunità bianco-verde. Ma il basket è principalmente un mondo d’affari, e Stevens ha finalmente ottenuto il suo obiettivo di mercato. 

“Si è trattato di un affare rischioso. Ma come mi diceva spesso anche Jay Larranaga: ‘Quando si smette di provare a migliorare si smette di essere forti’.”

Brad Stevens – ESPN

“Non vincere il Titolo sarebbe una catastrofe, ma il seguito sarebbe peggio”

Il successo non è mai scontato: questo semplice assunto può definire l’ultima decade dei Boston Celtics alla perfezione. La compiacenza è stata nemica dei progressi di squadra da quando il core vincente del 2008 ha smesso di giocare. E la famelica lotta contro la stagnazione a fondo classifica ha mantenuto i C’s sempre in alto, alla ricerca del Titolo. Questa volta, senza alcuna scusa accettabile. Brad Stevens ha ricevuto la pesantissima eredità di Danny Ainge, volato a sistemare la situazione agli Utah Jazz. Ainge è noto per la sua grinta e aggressività, affrontando passionalmente le situazioni più complesse – come la decisione di cedere leggende bianco-verdi come Paul Pierce e Kevin Garnett quand’era divenuto chiaro che fossero più dei pesi che dei vantaggi.

Quella trade, che ha permesso ai Celtics di mettere le mani su gran parte del roster dei Brooklyn Nets, ha assicurato il futuro della franchigia per i successivi 7 anni, con quelle Draft pick che hanno permesso di ottenere due talenti di livello All-NBA come Tatum e Brown. Va considerato inoltre che Tatum è oggi ai Celtics solamente grazie ad un’ulteriore trade con i Philadelphia 76ers, per scambiare la 1° con la 3° scelta. Il successo di Stevens come successore di Ainge passa da questo tipo di approccio, considerando anche il fatto che Stevens conosce personalmente Tatum e Brown, avendoli allenati. Considerando la struttura del Salary Cap NBA è un gran vantaggio riuscire ad ottenere un core vincente direttamente dal roster, potendo poi prolungare i loro contratti con i Bird rights e ottenendo maggior flessibilità economica per costruire il resto. 

Per molte franchigie mantenere un approccio aggressivo vuol dire dar via tutte le Draft pick in cambio di vari All-Star da attorniare ad un talento casalingo. Ciò ricorda l’operato dei Lakers nel 2020, quando hanno scambiato gran parte dei loro giovani per ottenere Anthony Davis e poi vincere il titolo. Ma lo stesso approccio ha portato i Brooklyn Nets nel limbo della parte medio-bassa della classifica, rimasti senza top player né proprie scelte al Draft fino al 2028. Grazie all’arrivo di Tatum e Brown in successione, i Celtics non hanno dovuto smantellare il loro core o dovuto cedere tutte le loro scelte al First round del Draft per costruire annualmente il roster. Le Ere di Kyrie Irving e Kemba Walker sono terminate esattamente com’erano iniziate, ma i C’s hanno mantenuto il loro bagaglio di talento senza rischiare di cederlo per nomi più altisonanti. Poiché a prescindere dalle buone prestazioni di Irving, Hayward e Walker, i Celtics sapevano che nulla sarebbe stato più solido per il loro futuro rispetto al giovane duo. E, dopo aver raggiunto le NBA Finals nel 2022, questa certezza è divenuta reale. Questo è ciò che ha postato Marcus Smart.

Subito dopo quella Playoffs-run, Brad Stevens ha inserito Malcolm Brogdon come 6° Uomo e upgrade all’interno di quella che era diventata a tutti gli effetti una famiglia. Ma la sconfitta contro gli Heat ha messo in risalto i difetti di quella struttura, forse semplicemente arrivata al suo limite. Il patron dei Celtics, Wyc Grousbeck, ne aveva avuto la sensazione proprio nel corso di Gara 7 di quella serie. 

“Sono rimasto seduto probabilmente per tutta la seconda parte della sfida pensandoci. Poi mi sono preso due giorni per lasciare sbollire tutto, dopodiché mi sono recato da Brad Stevens e Joe Mazzulla. Ho soltanto detto loro: ‘Non ripartiremo con lo stesso roster’.”

Wyc Grousbeck

In realtà non si sa quanto fosse coinvolto Gousbeck nelle cessioni di Marcus Smart, Robert Williams III e Malcolm Brogdon, ma è chiaro che sia lui che Stevens avessero ben compreso ciò che l’intero mondo cestistico stava sussurrando ai Celtics: non si può dare per scontato che il successo continui da sé. Basta pensare agli Oklahoma City Thunder nel 2012, quando erano riusciti a mettere a roster in contemporanea Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden. Hanno perso le NBA Finals 2012 contro LeBron James e il super-team dei Miami Heat, ma sembrava a tutti che OKC avrebbe regnato per anni nella Western Conference.

Poi il corso degli eventi ha iniziato a turbinare più velocemente di quanto in Oklahoma potessero aspettarsi, con il giocattolo perfetto che ha iniziato a sgretolarsi con le negoziazioni del contratto di The Beard finite a rotoli: Harden è stato scambiato con gli Houston Rockets, dove si è affermato come uno dei migliori scorer della lega, vincendo il Titolo MVP nel 2018. OKC ha mancato l’approdo alle NBA Finals e non avrebbe mai potuto aspettarsi che la dynasty dei Golden State Warriors avrebbe rubato il loro destino, oltre che KD. Purtroppo non si può mai sapere quando la buona stella smetterà di brillare. Ma gli astri a volte possono rimanere apatici alle richieste, perciò Stevens si è rimboccato le maniche, portando a termine alcune mosse di mercato iper-aggressive che hanno portato i Celtics tra i primi candidati alla vittoria del Titolo. Senza rendersi conto di essere stati fin troppo vicini alla loro fine.

Molti pensano che questa sia la normale evoluzione del gioco, altri che la NBA sia giunta di fronte ad una corazzata imbattibile. La franchigia del Massachussetts è stata una squadra ben gestita ed organizzata sin dai primi anni 2000, ma la carenza di vittorie e titoli negli ultimi anni ha reso il processo un po’ stantio. Prima che possano essere scritti libri e trattati sull’efficienza del Front Office bostoniano occorre che i bianco-verdi riscrivano il corso del proprio “libro”: la conta dei titoli vinti si è fermata e, per quanto non possa piacere, bisogna prenderne atto. Storicamente, nessun tifoso prende mai sul serio la propria squadra fino a quando non mette in bacheca almeno un trofeo, e ciò da credito al consunto: Non raggiungere e vincere le NBA Finals sarebbe un fallimento, ma il seguito sarebbe anche peggio.

Le perplessità sul futuro

L’azione combinata di Pressione e Tempo può dar vita ai diamanti, ma può creare una combo di eventi tanto fatale da causare l’estinzione di specie. Poche squadre hanno avuto addosso tanta pressione per vincere quanto i Boston Celtics: forse, solo i Phoenix Suns e i Los Angeles Clippers hanno sacrificato tante risorse al Draft per provare a vincere, non riuscendo ancora a raggiungere il successo ottenuto, ad esempio, da Lakers e Bucks. Ma la pressione deriva dalla qualità del roster e dalle aspettative che esso ha, non solo dalla quantità di denaro impiegata per costruirlo. I Celtics hanno pochi asset futuri all’interno di questo roster, un testamento circa la loro abilità organizzativa e competenza. 

Ovviamente, ciò rende ancor più urgente la necessità di portare a casa il Larry O’Brien Trophy. Nonostante le aspettative, nessuno si aspetta che i Clippers abbiano la meglio su Nikola Jokic e compagni, mentre i Suns sono a malapena riusciti a interpretare il ruolo di contender negli ultimi mesi. I Celtics, d’altro canto, hanno dato solamente conferme sulla qualità del lavoro svolto in estate 2023, con le statistiche a confermare che siano tra le migliori squadre viste in Regular Season nella storia della NBA. Ci si aspetta che vincano il Titolo e, nonostante non possiedano tante Draft pick appetibili nel futuro, la mole dell’investimento fatto è parecchio evidente. Se i Celtics dovessero fallire ancora sembra difficile che i discorsi estivi possano essere gli stessi di un anno fa. L’onta e la delusione, inoltre, riecheggerebbero per anni.

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Le cose stanno così: spesso una squadra che può annoverare un intero quintetto di livello All-Star continua a bussare alla porta per anni e anni, senza mai riuscire a portare a termine il compito. Dopodiché le cose cominciano a cambiare prospettiva: non si tratta più delle semplice stagione precedente o della successiva, ma dell’eternità. Probabilmente non ci saranno più pre-season con approfondimenti giornalistici di Stephen A. Smith su quanto i Celtics siano attrezzati per vincere il Titolo, o le domande di Charles Barkley circa l’abilità di Tatum di portare avanti la baracca. O ancora le liste dei peggiori contratti sottoscritti, delle quali sono entrati spesso a far parte i rinnovi di Brown e Holiday. Infine, le ipotetiche trade che coinvolgono Kristaps Porzingis o Derrick White, con addirittura approfondimenti sull’eventuale rebuilding della franchigia.

Bisogna fermarsi un attimo e riflettere. Si tratta solo di generale isteria dovuta alle aspettative e al fatto che la pressione pre-Playoffs sia divenuta enorme. Essa fa perdere di vista la realtà: pur non vincendo il Titolo, i Boston Celtics rimarrebbero ben assestate nella Eastern Conference, sempre tra le favorite, a prescindere dall’esito di questa stagione. Ma, ovviamente, l’entusiasmo andrebbe scemando. Come ogni anno, ci saranno momenti felici e tristi, ma mentre un’uscita di scena al First round contro gli Heat sarebbe una catastrofe, una sconfitta alle Finals in 7 sfide contro i Nuggets verrebbe digerita differentemente, evitando il rimuginare sul futuro della squadra. 

I tifosi della città di Boston sono abituati all’attesa. I Red Sox ci hanno messo ben 86 anni e, quando i tifosi hanno iniziato a chiedersi semmai la loro squadra avrebbe mai vinto di nuovo qualcosa, le cose hanno contemporaneamente avviato a peggiorare. Indubbiamente, se i Celtics non dovessero arrivare quantomeno alle NBA Finals, la prossima sarà un’estate dura. Ma è il tipo di rischio che va accettato quando una squadra ha a disposizione così tanto talento. Non avere possibili scuse può far paura, ma significa anche che il lavoro svolto fin qui è stato di ottima fattura. I C’s devono convivere con le scelte fatte in passato – che, almeno finora, si sono rivelate azzeccate.

La versione dei Boston Celtics del 2023/24 ha il miglior Offensive Rating e il 3° miglior Net Rating nella storia della NBA, con un record di 37-4 al TD Garden. Hanno vinto la classifica della Eastern Conference con 14 gare di anticipo, riportando più vittorie con vantaggio superiore ai 30 punti che sconfitte con meno di 10. Non hanno mai perso 3 partite di fila quest’anno. Sono riusciti a mantenere un ritmo elevatissimo per 82 partite, senza particolari battute d’arresto o periodi in cui la loro leadership è stata messa in discussione. Ad ogni sconfitta hanno risposto con una repentina vittoria. Questa squadra non ha mai perso il controllo, non ha perso tempo ed energie in rivalità o egocentrismo ed è riuscita a tener lontani gli infortuni dalla prima all’ultima partita in calendario. In definitiva, rischiano una delle più grandi debacle della storia, proprio perché quest’anno sono stati così impeccabili. Ma un tiepido ottimismo non sarebbe generoso e non renderebbe omaggio al lavoro svolto dagli uomini di coach Mazzulla. Hanno a disposizione tutti i mezzi e dimostrato a più riprese di meritare la vittoria del 18° Titolo NBA.

Perciò, alla fine, ce la faranno i Boston Celtics a vincere? Chiedendo agli statistici, la risposta probabilmente sarebbe affermativa. I Celtics sono primi nella ESPN Basketball Power Index con enorme margine sugli inseguitori, con quello che sembrerebbe il percorso più semplice verso le NBA Finals. Ciò viene suggerito da 2 ulteriori pronostici e calcoli: quello di Basketball Reference, che li da vincenti con il 59.4% delle possibilità, e addirittura l’NBA Odds di The Ringer, che sale fino al 63%. Nel pianeta delle scommesse non esiste bookmaker che non dia i Boston Celtics come favoriti, senza almeno il 60% di possibilità di vittoria. 

Ma il basket non viene giocato con fogli e calcolatrici: numeri e calcoli saranno spazzati via una volta scesi in campo. Nel corso della settimana che ha portato ai Playoffs, essi sono diventati roventi, tanto da poter illudere i tifosi che la vittoria sia prossima. Aver fede è una cosa difficile da portare avanti, specie se non si hanno prove tangibili: è come se Charlie Brown calciasse ancora e ancora la palla, nella speranza che stavolta sia quella buona in cui Lucy non gliela porta via. O come strisciare in fondo a un tunnel di cui non si conosce la lunghezza né si vede la fine, anche se tutti dicono sia la direzione giusta. Ma aver fede è anche un modo per esprimere la propria gratitudine, e questi Celtics si sono meritati tutto ciò. La fiducia, tuttavia, è dura da guadagnare e facile da perdere. Questa squadra ha lasciato pochi spazi ai dubbi: sono l’evoluzione definitiva di ciò che è iniziato 7 anni fa con The Avery Bradley Shot. Ha svolto un cammino lungo e tortuoso per potersi giocare le proprie chance di vittoria, e finalmente poter mettere la parola “Fine” sulla storia. In effetti, le premesse affinché questo sia il capitolo finale sono tante. E forse, affinché sia anche il primo di una nuova, brillante saga. Crederci adesso, altrimenti quando?