FOTO: Celtics Blog

Questo contenuto è tratto da un articolo di Rich Jensen per Celtics Blog, tradotto in italiano da Edoardo Viglione per Around the Game.


”Ricordo il ragazzo alto, con i capelli color fragola, che stava seduto sulla panchina dei Boston Celtics. Mio padre mi spiegò che non poteva giocare per un problema alla caviglia e mi disse che era uno dei giocatori più incredibili che avesse mai visto. Era il 1987, quindi non potevamo recuperare dei suoi video di quando giocava ad UCLA, ma ora possiamo.”


Bill Walton era tanto spettacolare quanto il suo corpo gli permetteva di esserlo. Ci sono delle persone che sembrano avere i geni sbagliati quando si tratta delle loro ossa e delle loro articolazioni, Walton sembrava rientrare in questa categoria. Ha avuto una media di sole 47 partite a stagione e il suo apice l’ha raggiunto a Boston nell’anno in cui ha vinto l’anello, 1986, quando giocava da sesto uomo e con un carico ridotto ha disputato ben 80 partite.

Walton amava tutto ciò, lo amava tanto che diventò quasi uno scherzo per gruppi di fan cinici che non riuscivano a percepire il divertimento di Bill nel suo ruolo da commentatore. Per loro era un buffone, un ragazzo con difetti di pronuncia che faceva commenti tanto folli da risultare involontariamente divertenti. Non riuscivano a vedere la gioia di un ragazzo che era lì e che faceva parte di ciò che amava. Un gioco che, però, non ricambiava il suo amore, almeno non per quanto riguardava il suo corpo. Il dolore che Walton ha dovuto subire da ciò che amava era di un altro livello e per un periodo l’ha portato a pensare al suicidio. Eppure la gioia che riuscivamo a percepire ogni volta che Walton commentava non era una maschera, era reale. Era una gioia genuina di una persona che soffriva sinceramente, questo dice di più su Bill Walton come persona di qualsiasi cosa che abbia mai fatto in campo. Walton poteva criticare le giocate e i giocatori, ma nessuno se ne sarebbe mai ricordato perché è una cosa che fanno tutti, ma di lui ci si ricorda il suo essere positivo, aveva cose generose da dire su tutti. Se una persona ti dice “questa è la miglior tazza di caffè che abbia mai bevuto” capisci che è uno scherzo o un commento piacevole a seconda del tono di voce, ma se te lo dice Bill Walton è così. Quel sincero godimento della vita sembra così fuori posto oggi.

Qui ha paragonato Nikola Jokic a Mandela e Gandhi. Non voleva sminuire loro due o esagerare i complimenti verso il giocatore serbo, ma voleva solo far capire che quest’ultimo è in grado di vedere cosa vuole fare in campo per poi farlo con successo. Nel bel mezzo di questo confronto, inoltre, parla di happiness, un argomento sempre tanto caro a Bill. Era una persona che non era definita dal dolore, la sua gioia era contagiosa ed è quella che viene menzionata nei tributi dalle persone che lo conoscevano, non parlano del dolore. Aveva 71 anni, ma la sua gioia per la vita lo rendeva molto più giovane della sua età, molto più giovane anche del corpo che alla fine l’ha abbandonato. Se fosse vissuto fino a cento anni sarebbe stato ancora giovane allo stesso modo.