Prima un prospetto generazionale, poi un “bust” e infine un titolare all’All-Star Game: il percorso a tappe di Wiggins verso una qualificazione comunque controversa-

FOTO: SPORTINGNEWS.com

Se ci svegliassimo dal coma oggi dopo due anni, leggere Andrew Wiggins tra i nomi dei titolari dell’All-Star Game 2022 ci sembrerebbe uno scherzo, qualcosa di impossibile. Anche allo stato attuale delle cose è stata una sorpresa per tutti, e ha trovato molti in disaccordo, ma è sicuramente più giustificabile.

Questo perché Wiggins, dopo essere rimasto grossomodo lo stesso giocatore per tutti i primi anni della sua carriera, ora non è più il giocatore di due anni fa. E, ad essere precisi, non è nemmeno più lo stesso rispetto a un anno fa.

Il canadese ha in qualche modo trovato la sua dimensione smettendo di provare a giocare come un All-Star e iniziando a giocare come un role player in un contesto vincente e funzionale e, ironia della sorte, in questo modo è diventato davvero un All-Star.


Ma andiamo con ordine.

Da “Maple Jordan” a “bust”, i 6 anni grigi a Minnesota

Andrew Wiggins entrò nella lega dalla porta principale, preso alla prima scelta assoluta del Draft 2014 dai Cleveland Cavaliers e poi spedito ai Minnesota Timberwolves nello scambio che portò Kevin Love in Ohio.

Il paragone, che chiamare “pesante” sarebbe un eufemismo, era con Michael Jordan, per fisico, atletismo e stile di gioco. In realtà il numero 22 si è presto discostato molto dall’ombra di Jordan, deludendo pian piano anche i più pazienti sul suo conto.

Nel corso dei suoi anni a Minneapolis, Wiggins si è infatti dimostrato un manifesto all’incostanza e all’inconsistenza, con caratteristiche che poco potevano sposarsi con le esigenze della pallacanestro moderna. Creation palla in mano limitata da un ball-handling tutt’altro che eccezionale, tiro dal perimetro non affidabile, visione di gioco limitata e intelligenza cestistica generale carente.

Il volume di punti segnati si aggirava sempre tra i 17 e i 20, con un’efficienza tra il mediocre e il terribile, che ha visto il suo picco negativo nelle stagioni 2017-18 e 2018-19, con una True Shooting del 50% e del 49%, circa sette punti percentuali al di sotto della media della lega.

Allo stesso tempo, il prodotto di Kansas University non ha mai avuto propensione a creare alcunché per i propri compagni, e lo specchio di ciò è rappresentato dal sempre negativo rapporto tra assist e usage, che non è mai andato oltre il 18esimo percentile prima del 2020.

A rendere il quadro complessivo ancora più grave era la totale apatia nella metà campo difensiva, che mostrava un giocatore ingenuo e spesso svogliato, nonostante le capacità fisiche.

Ecco, considerando tutto ciò, la definizione di “bust” affibiatagli da gran parte degli appassionati era quanto mai giustificata.

Chi non faceva parte di questa scuola di pensiero era il front office di Minnesota che, tratto in inganno dalle sporadiche serate da 30+ punti che Wiggins ha sempre avuto nel suo bagaglio, gli fece firmare nel 2018 un’estensione contrattuale folle, da quasi 148 milioni in 5 anni, forse il peggior contratto NBA in quel momento.

A causa di quel contratto decisamente troppo oneroso, che ancora oggi gli garantisce circa 32 milioni annuali, le pressioni e, di conseguenza, le critiche sul giocatore sono diventate ancora più pesanti, contribuendo a una stagione 2018-19 terrificante da parte del canadese.

In un ambiente del genere, i Minnesota Timberwolves si sono trovati costretti a trovare una soluzione, e nel Febbraio 2020 hanno optato per scambiare Wiggins e la prima scelta al Draft 2021 in cambio di D’Angelo Russell.

I tifosi Timberwolves accolsero la trade con enorme entusiasmo, e il sentore generale era che i Golden State Warriors avessero commesso un errore.

Il lavoro di Steve Kerr e la creazione del role player perfetto

Con la trade che lo portò a San Francisco, Andrew Wiggins ha probabilmente pescato il jolly della carriera, l’occasione di riscattarsi nell’ambiente più vincente presente nella lega, proveniente da 5 presenze consecutive alle NBA Finals.

Anche all’epoca si sapeva che, sulla carta, passare da una franchigia in cui spesso ha regnato l’anarchia a un’altra che invece aveva gerarchie ben precise e un sistema iper-rodato, non avrebbe potuto fare altro che aiutare un giocatore psicologicamente in difficoltà come Wiggins. Ma i risultati finali dell’esperimento voluto da Bob Myers hanno probabilmente superato le aspettative.

Dopo le sole 12 partite giocate in maglia Warriors dopo la trade, a causa dello stop per il COVID-19, in preparazione alla stagione 2020-21 il coaching staff di Steve Kerr si concentra su un aspetto troppo spesso trascurato nel gioco di Wiggins: la difesa. La rapidità laterale, la lunghezza delle braccia e l’incredibile atletismo hanno fatto sempre di lui un potenziale ottimo difensore, ma le potenzialità non si sono mai tradotte in effettivi risultati, almeno prima del 2021.

Sotto le direttive di Kerr, Wiggins migliora esponenzialmente la difesa Point-Of-Attack, fino a raggiungere un livello eccezionale, dando così a Curry e compagni ciò che più gli serviva.

StagionePercentuale dal campo concessa agli avversari diretti (differenza rispetto alla media)
2018-1946.1% (+0.4%)
2020-2144.5% (-2.2%)
2021-2242.8% (-3.9%)

Nella metà campo offensiva, inoltre, Wiggins ha trovato un sistema di condivisione e movimento del pallone in cui gli isolamenti che era solito concedersi ai Timberwolves non erano, né sono tutt’ora, ben accetti. Anche questa è stata una benedizione per lui, che ha potuto concentrarsi sul suo ruolo di slasher, ritagliato sulle sue qualità.

La distribuzione di tiri assistiti e tiri non assistiti ha naturalmente subito un netto cambiamento, di cui la sua efficienza ha beneficiato:

Stagione% tiri assistiti / % tiri non assistiti
2019-2049 / 51
2020-2158 / 42
2021-2265 / 35

Il fattore che più di tutti ha cambiato lo scenario è stato però lo sviluppo della sua pericolosità da tre punti. Dopo aver navigato per anni intorno al 33/34%, nella scorsa stagione ha fatto registrare un sorprendente 38%, che si è incredibilmente evoluto nel 41% di questa stagione. Ciò che sorprende non sono solo le percentuali, ma anche la naturalezza con cui si prende certi tiri rispetto a prima.

Partendo dall’essere stato per anni un giocatore disfunzionale, incostante, debole e talvolta nocivo, Andrew Wiggins è diventato in poco più di un anno il role player perfetto: ottimo in difesa, affidabile dal perimetro, skillset offensivo completo (da terza opzione per una contender) e con un ego non particolarmente pesante.

E la sua trasformazione non è passata inosservata, tanto che gli è valsa la controversa convocazione da starter (i dettagli QUI) all’All-Star Game di questa stagione.

All-Star Game 2022, convocazione meritata?

Al netto dell’oggettivo miglioramento, è giusto che un giocatore da 18 punti di media e un impatto generale tutto sommato da terzo violino sia titolare all’All-Star Game? Probabilmente no.

La convocazione di Andrew Wiggins è frutto soprattutto di una campagna mediatica a suo favore, spinta dalla franchigia e da vari influencer sui social network, che l’ha portato a raccogliere 3.5 milioni di voti. E, dal momento in cui si decide di far votare i tifosi, è normale che possa accadere qualcosa di questo genere, soprattutto se si tratta di un giocatore che gioca in una delle franchigie costantemente sotto i riflettori come gli Warriors.

Alla fine dei conti, si parla sempre di una manifestazione di relativa importanza, che funge da divertimento per giocatori e tifosi, e sulla quale non è necessario accendere troppe polemiche.