LeBron James nel 2020 ha giocato la sua decima serie di Finals in carriera. Riviviamo la prima avventura del Re all’ultimo atto dei Playoffs.

FOTO: NBA.com

Lo sguardo assorto, in un misto di stanchezza e determinazione. La mente divisa in due, che veleggiava tra l’ebbrezza per la vittoria nella serie e la spasmodica determinazione di chi non ha ancora terminato il proprio lavoro. Seduto a terra, col cappellino del vincitore della finale della Western Conference, LeBron James aveva appena staccato il biglietto per un viaggio alle Finals 2020, nella bubble di Orlando, battendo con i suoi Lakers i Nuggets per 4-1.

Nel suo caso tuttavia, più che di biglietto dovremmo parlare di vero e proprio abbonamento, perché per il nativo di Akron si trattava del decimo ballo finale negli ultimi tredici anni. In questo lungo viaggio, tante cose sono cambiate per il numero 23 e per la stessa Lega, in un pot-pourri di giocatori, squadre, allenatori che si sono succeduti negli anni ai vertici della NBA.

 


Proviamo quindi a rivivere il momento in cui tutto è iniziato, vestiamo per un attimo i panni di Marty McFly e prendiamo la DeLorean per tornare alle Finals 2007, quelle della prima affacciata di James all’ultimo atto.

 

La NBA dell’epoca vive un periodo tecnico ben diverso da quello attuale. I campioni incarica sono gli Heat di Shaquille O’Neal e soprattutto di Dwayne Wade, un italiano viene scelto con la prima chiamata del Draft 2006 e un tedesco vince il titolo di MVP. Detroit detta il ritmo a est, mentre i Mavs e i Suns guidano l’ovest.

 

Le Finals 2007 vedono sul piatto una sfida inedita, quella tra i San Antonio Spurs e i Cleveland Cavaliers.

Due squadre diametralmente agli antipodi per pedigree, esperienza, mentalità e gioco.

Da una parte la squadra del Texas, i dominatori della Lega nell’ultimo decennio, alla loro quarta finale in otto anni.

 

Il denominatore comune per gli speroni sono coach Popovich e Tim Duncan, gli unici ad essere sempre presenti nei quattro atti finali.

Se il titolo del 1999 e del 2003 aveva visto le Twin Towers Duncan e Robinson come elemento trainante della squadra, le ultime stagioni hanno messo sotto le luci della ribalta i temibili Big Three Duncan-Parker-Ginobili.

 

San Antonio ha costruito una vera dinastia basata su un organo complesso che va ben oltre il semplice roster della squadra e che affonda le proprie radici nella Spurs-culture, l’insieme di regole, abitudini e mentalità che contraddistingue e guida l’intero ambiente.

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FOTO: NBA.com

Dall’altra parte ci sono gli arrembanti Cleveland Cavaliers, alla loro prima apparizione di sempre alle Finali NBA.

La squadra dell’Ohio è passata in una notte dall’essere ai margini della Lega fino a diventare una delle più seguite.

 

La notte in questione è quella del 26/06/2003, quella del Draft.

Quel giorno, con la chiamata n.1 assoluta, LeBron James diventa un Cavalier.

Da quel momento parte una rincorsa spasmodica all’anello per cercare di soddisfare l’immediata voglia di vincere di “The Chosen One”.

 

Dopo un’uscita al secondo turno nei Playoffs 2006, Cleveland riesce ad attorniare King James di un cast di tutto rispetto: alle doti realizzative di Ilgauskas e Larry Hughes si aggiungono la solidità difensiva di Varejao, la pericolosità perimetrale del rookie Daniel Gibson e l’esperienza di Donyell Marshall ed Erick Snow.

Proprio l’ex Sixers è l’unico giocatore a roster con esperienza alle Finals.

 

Anche se LeBron è lungi dall’essere il giocatore completo di oggi, è già un top player NBA ed ha consacrato il proprio status nelle Eastern Conference Finals contro Detroit, segnando 48 punti nella vittoria in doppio overtime di Game 5.

 

Gli Spurs dall’altro lato si presentano eliminando Nuggets, Suns e Jazz. Forti di una difesa solida e strutturata (prima per media punti subiti), i texani sono i favoriti per accaparrarsi il Larry O’Brien Trophy.

In molti tuttavia sono convinti che gli arrembanti Cavs possano dare filo da torcere a Duncan e soci.

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FOTO: NBA.com

Gara 1 all’AT&T Center mette subito in mostra le doti dei padroni di casa. Un’asfissiante difesa limita totalmente LeBron, che impatta duramente con le Finals: per lui 14 punti con 4/16 dal campo e ben 6 palle perse.

I Cavs hanno enormi difficoltà nel contenere Tony Parker. Il franco-belga attacca l’area arrivando spesso al ferro e fatturando 27 punti.

 

Duncan beneficia degli spazi creati dal n. 9 e termina la gara con 24 punti e 5 stoppate.

Per coach Mike Brown la buona notizia arriva da Daniel “Boobie” Gibson: il rookie era esploso in Gara 6 contro i Pistons, segnando 31 punti con 5/5 nel tiro pesante.

Le sue performance balistiche avevano generato nei tifosi dei Cavs il coro di “Shoot it Boobie, shoot it”.

 

E sull’invito a tirare il giocatore produce 16 convincenti punti con 2/3 dall’arco.

Gara 2 è un altro monologo nero-argento. I ragazzi di coach Pop toccano il +25 già all’intervallo, coi Big Three che segnano 43 dei 58 punti di squadra.

Cleveland tira col 26.8% dal campo e sembra già con la testa sul Boeing che riporterà la squadra a casa.

 

In realtà il duo James-Gibson tenta una prova di orgoglio con una folle rimonta nell’ultimo quarto, arrivando anche a -8, ma gli Spurs restano in controllo e si portano sul 2-0.

Si torna in Ohio, con James e compagni che si leccano le ferite, consci di dover voltare pagina per avere anche solo una possibilità di prendere il controllo della serie.

 

Parker è stato il pericolo pubblico numero 1 e la difesa nei suoi confronti deve cambiare.

Dall’infermeria non arrivano buone notizie, perché Larry Hughes deve dare forfait per infortunio, ma coach Brown decide di cogliere la palla al balzo e promuovere Gibson in quintetto, forte delle convincenti prove nelle prime due partite.

 

E Gibson risponde presente… nel modo sbagliato. Il rookie produce una pessima prova da 1/10 dal campo senza nemmeno una tripla.

L’intera Gara 3 vede entrambe le squadre con le polveri bagnate, con percentuali offensive decisamente mediocri.

 

Finalmente la serie regala grande equilibrio e il punteggio resta sul filo per l’intera gara.

Parker rimane un enigma irrisolvibile per Cleveland, ma i padroni di casa dominano sotto i tabelloni, col solo Ilgauskas che cattura 18 rimbalzi.

 

Ginobili è disastroso offensivamente, non riuscendo a trovare il canestro per tutta la gara.

LeBron è ancora il più prolifico dei suoi. 12 dei suoi 25 punti arrivano nel quarto periodo, dove i Cavs sono sotto di tre punti con soli 5.5 secondi sul cronometro per la gara.

Mike Brown disegna la rimessa per il tiro del nativo di Akron, che sfrutta il blocco di Ilgauskas per ricevere fuori dall’arco.

 

Il suo palleggio-arresto e tiro, strettamente marcato da Bruce Bowen, si spegne sul ferro e gli Spurs ottengono il match point.

Nella storia dei Playoffs nessuna squadra ha mai recuperato sotto per 0-3.

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FOTO: The Denver Post

Game 4 mette in mostra nuovamente le difficoltà di Cleveland nel gestire la pratica Tony Parker: il n. 9 realizza 15 punti nel primo tempo con un solo errore al tiro, arrivando facilmente a concludere in area.

Sembra finita, con San Antonio che tocca anche il +11.

 

The Chosen One non vuole tuttavia cedere e guida i suoi in un incredibile parziale di 14 punti consecutivi, regalando il vantaggio alla squadra dell’Ohio con 5:24 sul cronometro della gara.

È qui che prende il proscenio l’uomo da Bahia Blanca.

 

Ginobili riscatta l’orrenda partita precedente, segnando 13 dei suoi 27 punti nel quarto periodo, compresi i liberi che chiudono la gara e lo sweep nella serie.

I San Antonio Spurs vincono il loro quarto titolo NBA.

Un netto 4-0 che vede Tony Parker incoronato MVP.

 

La squadra del Texas, da tutti considerata come certa dominatrice degli anni a venire, inizia invece un lungo ostracismo dalle finali NBA, che terminerà solo nel 2013 con la sconfitta contro gli Heat e con la vittoria nell’anno successivo, col rematch contro la stessa Miami.

 

Per LeBron invece è solo il primo passo di un lungo cammino.

Ancora giovane e inesperto, al comando di una squadra inferiore ai rivali sotto molti aspetti, James rivivrà il mondo Finals nel 2011 stavolta sotto l’effige degli Heat, per poi timbrare il cartellino di presenza in tutte le annate successive fino al 2018.

Dopo “l’anno sabbatico” del 2019, il n. 23 ha vinto il suo quarto titolo con Anthony Davis lo scorso anno. Nella sua decima volta alle Finals.

In pochi si sarebbero immaginati una presenza così costante in finale, ma quasi tutti erano certi che quel primo assaggio del 2007, non era che l’inizio per LeBron James.