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Questo contenuto è tratto da un articolo di Juwan M. Davis per The Lead Sports Media, tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game.


Scottie Pippen è e sarà eternamente ricordato come la spalla di Jordan, presente in tutte e sei le finali disputate (e vinte) da Michael e dai suoi Chicago Bulls.


MJ ovviamente ha goduto di maggiori riconoscimenti nel corso della carriera: 5 MVP, 10 volte leading scorer della Lega, 14 volte All-Star… non male (e si potrebbe andare avanti a lungo). Questo non deve, però, togliere nulla alla grandezza di Pippen, che in carriera è stato 8 volte membro dell’All-Defensive First Team, 7 volte dell’All-NBA First Team e 7 volte All-Star. A ciò, poi, va aggiunta la presenza all’interno della squadra All-Time pensata per il cinquantesimo anniversario della Lega.

Molti, nonostante questi traguardi individuali, tendono comunque a dimenticare che, anche senza accostarlo a Jordan, ci troviamo davanti a un giocare d’élite della storia di questo Gioco; e, ripercorrendo le tappe della sua carriera in cui è stato lontano da MJ, noteremo che non c’è cosa più vera.

Central Arkansas (1984 – 1987)

  • 18.2 PPG, 8.1 RPG, 2.7 APG, 56.3% FG

La prima dimostrazione del suo talento individuale la si ha già a partire dagli anni del college, trascorsi alla Central Arkansas University. Durante l’anno da freshman Pippen, essendo alto solamente 1.86 cm, giocava da point guard. In un solo anno, però, crebbe in altezza di ben 12 centimetri, arrivando a registrare 18.5 punti e 9.2 rimbalzi a gara e imponendosi come leader della squadra in queste due statistiche, che gli valsero la presenza nella NAIA All American Team (che si guadagnò anche la stagione seguente grazie a 23.6 punti, 10 rimbalzi e 4.2 palle rubate a partita).

FOTO: Trading Card DB

Un college come il suo, di norma, non attirava molte attenzioni degli scout NBA; ma, in questo caso, non notare un talento come Pippen era francamente impossibile. La sua capacità di giocare in tutti e cinque i ruoli, condita da un’altezza di ormai 204 centimetri, non passò inosservata al Draft 1987, in cui Pippen venne scelto dai SuperSonics con la quinta chiamata assoluta. Fu però subito scambiato ai Bulls in cambio di Olden Polynice.

Chicago Bulls (1993 – 1995)

  • 21.8 PPG, 8.6 RPG, 6.1 APG, 47.9% FG

Dopo aver presenziato in tre All-Star Game e due All-NBA Team, Pippen aveva nel 1993 il compito di prendere in mano i Bulls, reduci dal loro primo three-peat – Jordan aveva infatti annunciato il suo primo ritiro dall’NBA. L’assenza di Michael lo fece esplodere, tanto che nella stagione 1993/94, la migliore in carriera se guardiamo alle statistiche individuali, face registrare quasi 22 punti, oltre 8 rimbalzi e quasi 3 palle rubate a partita.

FOTO: Sole Collector

Pippen dimostrò dunque quanto potesse risultare decisivo per le sorti della squadra, anche senza il tre volte MVP delle Finals, quell’anno impegnato nella Minor League Baseball. Con l’ormai 34enne Dominique Wilkins in calo, era chiaro che Pippen era anche la migliore ala piccola della Lega: fu infatti chiamato per la prima volta in carriera a far parte dell’All-NBA First Team e finì terzo nella corsa all’MVP, vinto poi da Olajuwon.

I Bulls, seppur incompleti, riuscirono ad arrivare a ben 55 vittorie, 2 in meno rispetto all’anno precedente. La stagione, però, terminò alle semifinali di Conference, contro i New York Knicks.

Con la serie bloccata sul 2-2, i Bulls erano avanti 86-85 a 10 secondi dalla fine. Hubert Davis, però, riuscì a guadagnarsi 2 tiri liberi, proprio su fallo in difesa di Pippen, convertendoli entrambi. Con soli 2.1 secondi rimasti, i Bulls tentarono l’impossibile ma fallirono, facendosi intercettare la rimessa. Resilienti, riuscirono a forzare Gara 7, giocata nella Grande Mela, ma soffrirono enormemente a rimbalzo: il solo frontcourt dei Knicks, formato da Ewing e Oakley, prese infatti ben 37 rimbalzi, mentre l’intera Chicago arrivò a 44. La partita non ebbe quasi storia e vide i Knicks vincere 87-77; solo i Rockets, in Finale, riuscirono a fermarli.

Pippen giocò un’altra grande stagione l’anno successivo, guidando la squadra in punti, rimbalzi, assist, palle rubate e stoppate. Dato prestigioso, che infatti appartiene a solamente quattro giocatori nella storia NBA: lui, Dave Cowens, Kevin Garnett e LeBron James. Fu, inoltre, nuovamente membro dell’All-NBA First Team e dell’All-Defensive First Team, e finì primo per palle rubate. Senza il ritorno di Jordan a 17 partite dalla fine, Pippen sarebbe addirittura finito nuovamente tra i primi 10 della Lega per punti segnati. I Bulls conquistarono il quinto posto a Est, ma furono eliminati in semifinale di Conference in sei gare dai Magic di Shaquille O’Neal.

Houston Rockets (1998 – 1999)

  • 14.5 PPG, 6.5 RPG, 5.9 APG, 43.2% FG

Dopo il secondo ritiro di Michael Jordan, il sei volte campione NBA Scottie Pippen fu coinvolto in una trade per unirsi ad Hakeem Olajuwon e Charles Barkley a Houston.

Sulla carta, il trio prometteva grandi cose, ma in realtà Pippen e i due ex MVP della Lega dimostrarono il contrario sul campo. Tutti e tre, ormai oltre i 33 anni, erano lontani dai loro prime, ma riuscirono comunque a portare i Rockets al quinto posto nella classifica della Western Conference. Houston cedette in quattro gare ai Lakers, e così Pippen (che faceva registrare quell’anno 14.5 punti di media) fu nuovamente eliminato da Shaq. L’affiatamento della squadra era decisamente basso, e per questo Pippen chiese ed ottenne la trade, finendo in Oregon, a Portland.

Portland Trail Blazers (1999 – 2003)

  • 11.5 PPG, 5.3 RPG, 5.0 APG, 44.1% FG

Con l’avvicinarsi del nuovo millennio, era ormai chiaro che Pippen non era più il grande scorer di un tempo (girava nel 1999 a 12.5 punti di media), ma il posto da titolare di ala piccola che occupava ai Blazers gli permise di dimostrare alla Lega che era ancora un ottimo difensore (fu infatti selezionato nell’All-Defensive Second Team).

Al fianco di Rasheed Wallace e Steve Smith, il nativo di Hamburg contribuì a raggiungere il record 59-23. I primi due turni di Playoffs furono agevolissimi, con sole due sconfitte collezionate. Nelle Western Conference Finals incontrarono però i Lakers di Shaq. Una serie appassionante, equilibrata partita dopo partita. Gara 7, allo Staples, li vedeva avanti di ben 15 punti nell’ultimo quarto, ma il duo Bryant-O’Neal, guidato dall’ex coach di Pippen, Phil Jackson, riuscì a compiere una delle più clamorose rimonte della storia della NBA e a condannare Scottie un’altra volta. Shaq avrebbe poi vinto i premi di MVP della Regular Season e delle Finals.

FOTO: Gold in Auctions

La chimica di squadra, da quel momento, cominciò a non essere più la stessa: la stagione successiva vide i Blazers scendere al settimo posto a Ovest, con Pippen sempre più in calo (11.3 punti a partita). Nonostante il suo minor rendimento e una tendinite al gomito, che lo costrinse a saltare 28 partite, il 35enne riuscì comunque a conservare il posto in quintetto e ad avere un discreto impatto.

L’incubo O’Neal, però, tormentò Pippen anche nel 2001 e nel 2002, considerando il 4-0 al primo turno rimediato in entrambe le stagioni.

L’ultimo anno a Portland non fu poi così diverso dai precedenti: le medie continuarono ad abbassarsi (10.8 punti, 4.5 rimbalzi e 4.8 assist a gara), e questa volta furono i Mavs a eliminare subito i Blazers.

Chicago Bulls (2003 – 2004)

  • 5.9 PPG, 3.0 RPG, 2.2 RPG, 37.9% FG

Il ritorno di Pippen in Illinois, ormai quasi su una gamba sola, fu pensato soprattutto per permettergli di terminare la carriera, durata 17 anni, nella città dove vinse tutti e 6 i titoli. Il ruolo di veterano svolto da Pippen fu tutt’altro che impressionante: a causa dei molti infortuni, giocò solamente 23 partite nel corso della stagione e fece registrare i suoi minimi in carriera in ogni voce statistica; ma la quantità di amore ricevuto dai tifosi di Chicago fu comunque eccezionale.

La carriera di Pippen è una delle più sottovalutate nel mondo dello sport.

I titoli vinti da Chicago vedono Jordan come maggior artefice, e sarebbe assurdo non pensarla in questo modo. Michael è uno dei migliori sportivi di ogni epoca. Ma sminuire la grandezza di Pippen è specioso e disonesto. Se la Chicago degli anni ’90 viene ricordata in questo modo ancora oggi è di certo per Jordan, non a caso il miglior scorer della Lega, ma lui stesso aveva accanto a sé una capacità difensiva che nessun altro giocatore riuscirà mai a pareggiare.

Prima che Jordan si unisse a Pippen, il suo record ai Playoffs era di 1-9 (quello di Pippen senza MJ è invece 20-23): è la dimostrazione che lo spessore difensivo rappresentato da Pippen non ha mai avuto eguali, quando si parla di corse al titolo. Se fosse stato un ottimo attaccante con doti difensive nella media, i Bulls avrebbero fatto molta fatica a fermare Malone o Drexler, entrambi marcati da Pippen nelle Finals.

FOTO: Ark Sports Hall of Fame

Non dimentichiamo, dunque, il successo che Pippen ha avuto in carriera, anche lontano da Jordan. In queste sette stagioni, infatti, non ha centrato i Playoffs per una sola volta, registrando anche più finali di Conference, più vittorie in post-season (136 a 119) e più apparizioni in All-Defensive team di Mike.

Oltre a ciò, non si deve dimenticare che Pippen è stato l’ancora di Chicago negli anni di assenza di Jordan; e che ha rappresentato un importante pezzo anche delle squadre lontane da Chicago, che ha portato ai Playoffs cinque volte su cinque.

E nonostante sia chiaro a tutti chi tra i due fosse il leader della squadra, Jordan aveva bisogno di Pippen proprio come Pippen aveva bisogno di Jordan. La famosa frase “offense sells tickets, defense wins championships” spiega alla perfezione questa pensiero, e quei Bulls sono stati la squadra a cui meglio si può applicare questo detto.

Jordan resterà sempre quello ad averne segnati 63 in una partita di Playoffs e il realizzatore dei tiri allo scadere, ma era Pippen ad effettuare le giocate decisive in difesa. Giocate che hanno permesso a Jordan di avere la palla in mano nei momenti cruciali delle loro partite.