Il momento deprimente degli Warriors potrebbe aprire uno scenario impensabile fino a qualche mese fa sul futuro di Curry

L’energia nell’ambiente Warriors in questi giorni è più strana che mai. Golden State ha perso quattro delle ultime cinque partite, contro avversari non particolarmente irresistibili come Kings, Heat, Pacers e Raptors. Il record ora è negativo (19-20), e la classifica li condanna alla dodicesima posizione, nonostante l’inizio di stagione da sogno.

Jonathan Kuminga è infortunato, Draymond Green balza da un acciacco all’altro e la trade deadline si avvicina, ma dal front office dei Dubs ancora tutto tace. La parabola sembra la medesima di un anno fa: con l’andare della finestra di mercato, sembra sempre meno probabile che gli Warriors si muovano. Ma al terzo anno consecutivo di quasi sole delusioni, però, le valutazioni vanno oltre il fallimento della sola stagione.

Tra non molto Stephen Curry spegnerà 37 candeline. Le sue prestazioni sono ancora di alto livello, ma non sono più quelle di otto anni fa e non sono nemmeno quelle di due anni fa. Per competere per gli obiettivi a cui è abituato, Curry avrebbe bisogno di una rosa ben più attrezzata, o quantomeno un’altra stella con cui condividere il carico offensivo, e sembra ormai piuttosto probabile che non otterrà nulla di tutto ciò.


Secondo Brett Siegel di Clutch Points e diverse altre indiscrezioni interne alla lega, queste condizioni starebbero avvicinando pericolosamente la data di scadenza della carriera del #30.

Curry ha già fatto riferimento al ritiro in diverse interviste negli ultimi mesi, e non può essere solamente un caso. Non ha alcuna intenzione di giocare per un’altra franchigia, anche per motivi familiari, e sembra essersi stancato di dare tutto ciò che ha in giro per gli Stati Uniti per finire fuori dalla zona Playoff a fine stagione.

Joe Lacob – proprietario degli Warriors – e l’intero mondo NBA sono avvisati: attenzione all’umore di Steph.