
Adam Silver, se stai leggendo, una richiesta: sposta la trade deadline. O l’All-Star Break. O entrambe, basta che combacino e non si giochi vera pallacanestro durante le sessioni più intense di mercato. Se proprio il commissioner non vuole sentire AtG, può benissimo recuperarsi l’ultima risposta di coach Steve Kerr sull’argomento, trovatosi prima della gara contro i Jazz a non poter schierare Dennis Schröder, Andrew Wiggins, Kyle Anderson o Lindy Waters III perché inseriti pochi minuti prima nel pacchetto per Jimmy Butler. I Golden State Warriors hanno perso la partita e il giorno dopo, in back-to-back, hanno addirittura dovuto affrontare i Los Angeles Lakers con rotazioni ridotte/raffazzonate. Il risultato? Due sconfitte di fila.
“Penso che la lega dovrebbe prendere in considerazione l’idea di fissare la trade deadline durante l’All-Star break, in modo da non dover affrontare partite in cui i giocatori vengono scambiati mezz’ora prima, mentre si cerca di elaborare le emozioni e vincere una partita. Non so se sia possibile, ma sarebbe fantastico se gli ultimi giorni prima della scadenza del mercato fossero di riposo. Non so come si faccia, ma di sicuro sono giorni difficili.“
Questo è solo l’ultimo caso eclatante di un problema che si presenta ogni anno per numerose squadre. E la soluzione sarebbe davvero tanto semplice quanto quella caldeggiata da coach Kerr. La pausa per l’All-Star Weekend, per come è strutturata, comprende i tre giorni canonici dal venerdì alla domenica e due giorni di riposo aggiuntivi (tre per la maggior parte delle squadre), per un totale di cinque, con una ripresa totale delle operazioni il mercoledì. Sarebbe sufficiente sospendere la regular season a partire dal mercoledì/giovedì della settimana stessa dell’All-Star Game, piazzare la trade deadline in uno di quei due giorni, giocare l’All-Star Weekend e riprendere con il programma il martedì/mercoledì successivo. Ovviamente, nel giorno della deadline non si gioca.

Questo sistema non sarebbe perfetto, ma lascerebbe tempo ai giocatori di volare alle rispettive destinazioni, aggiungendo anche un giorno extra di riposo per conoscere la squadra e partecipare quantomeno allo shootaround. L’ideale sarebbe istituire una settimana piena di pausa, in modo da mettere tutti a riposo già un giorno prima della trade deadline, dedicando al mercato il mercoledì e il giovedì (in cui cade la scadenza) – aspetto che potrebbe permettere ai giocatori di attendere in sede la fine del mercato, in modo da confrontarsi vis-a-vis con agenti e dirigenza, al bisogno – poi All-Star Weekend e infine ripartire pienamente il mercoledì successivo. Ma la regular season NBA procede in fretta e non aspetta nessuno, quindi ci si potrebbe accontentare anche del primo meccanismo.
Un sistema di questo tipo garantirebbe in primis di evitare alle squadre che scambiano multipli giocatori sconfitte gratuite che potrebbero rivelarsi molto pesanti. Non è equo che un roster “monco” si confronti con uno a pieno regime o quasi, senza avere nemmeno il tempo di organizzarsi tatticamente con i giocatori sul fondo delle rotazioni. La trade Butler, tornando a Kerr, è avvenuta decine di minuti prima della sfida, mentre la squadra era in parte in spogliatoio, in parte sul campo a fare lo shootaround di routine. In secondo luogo, i giocatori hanno il tempo di assorbire eventuali “traumi” mentre sono a casa o in compagnia del proprio agente/dei dirigenti, e non in campo a preparare una partita che non giocheranno. Dennis Schröder, che ha definito un po’ a sproposito la trade deadline “schiavitù contemporanea” (e che dunque prova già di per sé astio nei confronti di questo meccanismo), nel giro di due mesi scarsi ha indossato tre canotte differenti, perciò ha tutto il diritto di poter elaborare le notizie con la famiglia o i suoi rappresentanti, anziché sul campo mentre si concentra per la palla a due. Per non parlare del fatto che si eviterebbero in questo modo scene a dir poco sgradevoli (per quanto comiche) come quella di Harrison Barnes, che il 7 febbraio 2019 scoprì di essere stato mosso dai Dallas Mavericks ai Sacramento Kings mentre si trovava in panchina durante una partita.
Anche la scenetta di questi giorni, dove si vede un tifoso annunciare a Jaime Jaquez, Tyler Herro e Kevin Love il pacchetto ricevuto per Jimmy Butler, è davvero una chicca, ma dimostra ancora una volta quanto il timing di questi avvenimenti sia sballato e sbagliato. E lo era anche quello di prima, fino al 2017, quando la trade deadline cadeva dopo l’All-Star Weekend, perché non risolveva il problema dell’e partite a ridosso dell’incrocio fra deadline e partite, piazzate sempre a ridosso del giorno della scadenza con i medesimi problemi di disponibilità ridotta per le squadre coinvolte negli scambi. Anche quegli anni hanno regalato un momento iconico, come la scoperta da parte di DeMarcus Cousins di fronte ai microfoni di essere stato scambiato dai Kings (ancora loro) ai Pelicans, mentre si trovava proprio a New Orleans per l’All-Star Game 2017.
Aggiungiamo: per quanto anche qui, come premesso, le tempistiche della trade deadline non fossero perfette, questa è una scena che ha molto più senso rispetto alla scoperta di essere stati scambiati durante una conferenza post-partita o mentre si è in spogliatoio prima di entrare in campo, il che introduce al terzo beneficio del programma “rivoluzionario” proposto sopra. L’All-Star Game non è una partita “ufficiale”, non mette pressione, non richiede uno sforzo mentale pieno, è quasi una vacanza per i giocatori e, in quanto tale, è un contesto migliore rispetto a quello di un incontro di regular season per elaborare eventuali novità. Anche qualora si venisse scambiati il giovedì e la stagione riprendesse il mercoledì successivo, si avrebbe quasi una settimana per elaborare la questione, distrarsi, incontrarsi con alcuni compagni e nuovi colleghi e addirittura anche fare una o due sessioni di allenamento con la nuova squadra.
Insomma, non esiste un singolo motivo per cui non pensare a un calendario come questo, che accorpi in una volta sola trade deadline e All-Star Break in modo da prendere due piccioni con una fava: il mercato assumerebbe tempistiche migliori (e un briciolo in più di umanità) e per fare questo non ci sarebbe nemmeno bisogno di modificare troppo il calendario, dal momento che la pausa per il weekend delle stelle esiste già. Sarebbe una “win” sotto ogni aspetto – anche per quei poveri addetti ai lavori (*coff, coff*) che devono stare allo stesso tempo dietro a mille scambi complicati con un occhio, mentre con l’altro seguono l’andamento della giornata NBA.