Con la prima scelta al draft 2020 i Minnesota Timberwolves sapevano di avere l’opportunità di cambiare il loro destino; la domanda era “Anthony Edwards è la risposta?”

Questo contenuto è tratto da un articolo di Chris Hine per The Minnesota Star Tribune, tradotto in italiano da Emil Cambiganu per Around the Game.


Il seguente è un estratto dal libro Ant, una biografia della guardia dei Timberwolves Anthony Edwards, scritta da Chris Hine del Minnesota Star Tribune. Questo estratto è tratto dal Capitolo 6, intitolato “Hey, man, we from Atlanta” e racconta come 48 ore decisive a Los Angeles portarono i Wolves a scegliere Edwards come prima scelta assoluta nel draft NBA 2020, preferendolo a James Wiseman e LaMelo Ball.

I Wolves sono stati l’ultima squadra a incontrare Anthony Edwards durante il processo pre-draft e avevano sentito dire che il suo provino con i Warriors (che avevano la seconda scelta) non era andato bene.

Dal punto di vista tecnico, l’ex presidente dei Wolves, Gersson Rosas, descrisse Edwards come “grezzo”. Non era per mancanza di impegno da parte sua, né si poteva dire che tutto il tempo trascorso da Edwards in palestra durante l’adolescenza fosse stato sprecato.

Ma i Wolves e tutte le altre squadre NBA osservavano Edwards attraverso la propria lente, confrontandolo con altri giocatori che avevano praticato pallacanestro ad alto livello fin da giovanissimi. Giocatori che non avevano giocato a football e non erano sbocciati tardi nel basket.

Tutto ciò portava a considerare Edwards un diamante grezzo con un potenziale incredibile, ma che avrebbe richiesto un importante lavoro di rifinitura. Anche se non giocava più a football dai 14 anni, agli occhi di Rosas — scout di lungo corso — Edwards dava ancora l’impressione di essere “un giocatore di football che si stava convertendo al basket”. Il che non era necessariamente un male.

“In quel momento della nostra organizzazione, avevamo bisogno di grinta. Avevamo bisogno di durezza. Avevamo bisogno di fisicità,” disse Rosas. “Avevamo giocatori tecnici. Volevamo giocatori bidirezionali, e le sue doti fisiche spiccavano. Sentivamo davvero che tutto ciò si sarebbe tradotto bene sul campo.”

Per quanto riguarda la vita di Edwards fuori dal campo, Rosas ha definito ciò che avevano trovato come “delicato”, poiché il numero di persone che influenzavano o cercavano di influenzare la sua vita rendeva difficile capire chi fosse davvero Edwards come individuo.

“Capire chi fosse Ant come persona, in mezzo a tutto quel rumore, era fondamentale per noi,” ha detto Rosas.

Indagando, i Wolves hanno scoperto quanto fosse stato un grande compagno di squadra Edwards, a tutte le età.

“Era amato dai suoi allenatori a ogni livello: liceo, AAU, college… Non era il classico egoista che pensa solo a se stesso, cosa molto comune a quel livello. Ci incuriosì molto, perché indicava che ‘questo ragazzo tiene a più di sé stesso’.”

Nonostante ciò, la squadra non aveva ancora una reale comprensione di chi fosse Edwards e non aveva avuto l’opportunità di interagire direttamente con lui.

Rosas e l’ex allenatore dei Wolves, Ryan Saunders, erano pronti a incontrare Edwards a Los Angeles. Ma prima di quell’incontro, Edwards aveva diverse interviste su Zoom con varie sezioni dell’organizzazione. Tra una chiamata e l’altra, trovava il tempo per allenarsi. Dopo un colloquio, Rosas ricevette un messaggio vocale dal vice-GM Joe Branch.

“Hey, l’intervista è andata bene, ma c’è un piccolo colpo di scena. Chiamami che ne parliamo,” ha raccontato Rosas.

Il “colpo di scena”? Edwards si presentò alla chiamata Zoom sdraiato a letto, a torso nudo. Per un attimo, Rosas fu inorridito.

“Mi mandò nel panico,” ha detto Rosas. “È buffo come la storia ti influenzi… Quando ero a Houston, avevamo un giocatore che fece una cosa simile in una Zoom, lo scegliemmo al draft, e fu un disastro. Era stato un presagio.”

Rosas non poté fare a meno di pensare a quell’esperienza, e quando finalmente si sedette con Edwards, “Credimi, ne abbiamo parlato,” ha detto. Quale candidato a qualsiasi lavoro si presenta a un colloquio senza maglietta?

“Tipo, che stai facendo? Perché hai deciso di rappresentarti così? Faceva parte del nostro processo per conoscerlo.”

Quattro anni dopo, l’ex agente di Edwards alla Klutch Sports, Omar Wilkes, si è mostrato tanto divertito quanto perplesso di fronte alla scelta di Edwards.

“L’idea di dovergli ricordare di indossare una maglietta non mi era proprio passata per la testa,” ha detto Wilkes. “Ci sono cose che uno dà per scontate.”

Edwards si scusò, dicendo che pensava, trattandosi di un’intervista supplementare rispetto a quelle già fatte, che non fosse un problema presentarsi a torso nudo, secondo quanto riferito da Rosas. Fu il primo assaggio dei Wolves del vero Ant. Non lo fece con cattive intenzioni, semplicemente… pensava che andasse bene così.

La tavola era apparecchiata, in senso letterale e figurato, per ciò che sarebbe accaduto dopo: una cena all’aperto con Edwards, Rosas e Saunders nel pittoresco ristorante Nobu di Malibu. La cena durò circa quattro ore, con Rosas che lo incalzava su tutto ciò che i Wolves avevano scoperto nel loro approfondito background check, mentre Saunders tirava fuori l’iPad per mostrargli schemi e giocate. Quella era la parte facile.

“Abbiamo messo tutto sul tavolo con lui. L’intervista fu intensa, perché queste cose non sono delle chiacchierate amichevoli. Gli dicemmo: ‘Ti faremo un sacco di domande. Entreremo nel personale. Ti metteremo in situazioni scomode e vogliamo solo vedere come reagisci.’”

Quattro anni dopo, sia Rosas che Saunders, indipendentemente l’uno dall’altro, indicarono lo stesso momento come decisivo. Qualcosa che disse Edwards e che li convinse a puntare su di lui come prima scelta assoluta.

“Mi vengono ancora i brividi a pensarci,” ha detto Rosas.

Saunders ha aggiunto: “Chiunque si sarebbe emozionato.”

Rosas fu diretto con Edwards. Gli disse che esistono diversi tipi di giocatori nella lega: quelli che vogliono solo soldi e fama, e quelli che vogliono lavorare duro, vincere e diventare grandi. Come poteva contare sul fatto che Edwards fosse tra questi ultimi?

“Mi disse: ‘Ho vissuto il peggio nella vita. Mia madre è morta, mia nonna è morta. Posso solo salire da qui. Godrò ogni giorno. Avrò sempre un sorriso sul volto. Farò il massimo. Non so tutto. Farò degli errori. Ma potete contare sul fatto che ciò che dico è ciò che intendo.

‘Prendo la responsabilità di essere la prima scelta assoluta. Prendo il ruolo di Minnesota Timberwolf come la massima priorità e responsabilità della mia vita, e so che con l’aiuto della vostra organizzazione posso avere successo. Vi do la mia parola, sono impegnato, e capisco quanto è importante questa situazione.’”

Quel momento, ha detto Saunders, “ci conquistò tutti.”

“Era un giovane che ci avrebbe resi davvero orgogliosi,” ha aggiunto.

La risposta di Edwards lo avvicinò alla prima scelta, ma fu il giorno seguente a confermarlo. I Wolves gli fecero sapere che avevano sentito cosa era successo nel provino con Golden State. (L’allenatore Steve Kerr disse che i Warriors ne uscirono con l’impressione che Edwards fosse “pigro.” Il suo allenatore e manager di lunga data, Justin Holland, lo attribuì agli effetti del COVID sulla preparazione al draft.)

“Ne parlammo durante l’intervista,” ha raccontato Rosas. “Come faccio a sceglierti come numero 1 se non riesci nemmeno a completare un workout con Golden State? Come posso pensare che svilupperai il tuo talento se non hai mai giocato ad alto livello, se non hai mai lavorato veramente?”

“Alcuni si sarebbero messi sulla difensiva; lui invece lo prese come una sfida. ‘Ve lo dimostrerò.’ Gli dissi che lo avremmo visto il giorno dopo.”

Secondo Holland, i Wolves giocarono il tutto “a carte coperte”. Furono l’ultima squadra a parlare con Edwards e l’ultima a organizzare un provino. Si svolse nella palestra di Kobe Bryant, ex Mamba Sports Academy. Holland si sentiva fiducioso per le modifiche apportate dopo il disastro di Golden State, ma era comunque preoccupato per quello che sarebbe successo una volta che i Wolves avessero preso il controllo del provino.

Holland sottopose Edwards a un intenso workout di 30 minuti, modificato secondo quanto richiesto dai Wolves. Poi, con un po’ di trepidazione, lasciò il controllo a Saunders e Rosas. Holland sapeva che i Wolves avrebbero cercato di “mandare in crisi [Edwards]”.

Ma a quel punto non poteva fare più nulla. Rosas ha raccontato che Holland “stava pregando” da un lato della palestra. Il resto del provino avrebbe messo alla prova la resistenza e la forza mentale di Edwards.

“Spesso sembra facile dire: ‘Facciamo un allenamento 1 contro 0.’ Ma quei workout sono duri, massacranti. Finché non li fai, non capisci cosa ti aspetta.”

Fecero esercizi a tutto campo, schiacciate, sprint, suicidi. I Wolves non lo stavano solo mettendo alla prova fisicamente: volevano anche confonderlo mentalmente. Continuavano a ripetergli tutte le critiche sentite su di lui mentre faticava.

“La gente dice che non lavori. La gente dice che non sei competitivo. La gente dice che hai fallito quel workout. La gente dice che sei un giocatore di football. Lo stavamo martellando.”

Holland vedeva che tutto questo stava avendo un effetto su Edwards. Era chino, la testa bassa, e Holland andò a incoraggiarlo. Non stava andando bene. Non volevano che un’altra squadra pensasse che fosse pigro e non in grado di sopportare la fatica.

In tempi normali, probabilmente non sarebbe stato un problema per Edwards, ma a quel punto erano passati sette mesi dal draft rimandato per il COVID. Era esausto in ogni senso. Tutto poteva succedere.

“Lo vidi in faccia. Era al limite. Stava per dire: ‘Basta.’ Mi avvicino. ‘Ragazzo, non possiamo mollare.’ Ci piegammo, gli sussurrai nell’orecchio… e poi sentii un’altra voce.”

Qualcuno gridò: “Hey, ragazzo, veniamo da Atlanta, questo non è quello che facciamo”

La voce era di A.J. Moye, ex Mr. Basketball della Georgia nel 2000, cresciuto in un quartiere difficile di Atlanta e arrivato a giocare la finale nazionale con Indiana nel 2002.

Un ictus aveva posto fine alla sua carriera professionale e ora faceva l’allenatore universitario e preparatore affiliato con Sports Academy. Quel giorno era in palestra a guardare Edwards. Prima che iniziasse il provino, Holland fu sorpreso di vederlo lì. I due si conoscevano — Holland da giovane seguiva molte partite di Moye al liceo Westlake di Atlanta — ma non si vedevano da tempo.

“Mi girai e vidi Justin, fu tipo: ‘Che ci fai qui?’. Mi disse: ‘Ant sta per fare il provino… Se senti di volergli dire qualcosa, diglielo.’”

Moye aveva visto Edwards giocare al primo anno al liceo Therrell, ma non avevano mai parlato, e Edwards non sapeva chi fosse. Holland gli fece una veloce lezione di storia.

Moye si avvicinò e gli disse: “Hey, man, siamo di Atlanta. Sai come siamo cresciuti. Sai da dove veniamo. Sai che abbiamo affrontato ben di peggio di tutto quello che può succedere su un campo da basket.” Edwards lo guardò fisso negli occhi e annuì, senza dire una parola, come a dire “Ho capito.”

La determinazione tornò negli occhi di Edwards, il suo corpo si raddrizzò, e Holland ha raccontato che Edwards gli disse: “No fratello, adesso lo facciamo. Non possiamo farci vedere deboli. Siamo di Atlanta.”

Tutti quei “suicidi” negli allenamenti con la sua squadra di football giovanile, gli Atlanta Vikings. Tutti quei “suicidi” con il suo mentore e allenatore AAU Dana Watkins, quando rimaneva indietro e Watkins fischiava per farli ricominciare finché Edwards non finiva per primo. Quegli anni duri portavano a quel momento.

Un’istantanea dalla copertura ESPN del draft mostra Anthony Edwards, scelto come prima assoluta, seduto tra i ritratti della madre e della nonna, entrambe morte di cancro.
La promessa di uscire da Oakland City, di garantire un futuro alla sua famiglia. Onorare la madre Yvette e la nonna Shirley, e tutto ciò che avevano fatto per lui.

Lo voleva davvero quel posto da prima scelta? Avrebbe lasciato che un altro gli passasse davanti? Voleva davvero essere il migliore della sua classe, e continuare a lottare per esserlo?

“Gli dissi dopo: tu rappresenti tutti noi,” ha raccontato Moye. “Non ce la fai solo per te. Ce la fai per tutti noi. C’erano tanti prima di te con il tuo talento, ma non avevamo la tua piattaforma. Usala fino in fondo. Sono così orgoglioso di lui, davvero.”

Le parole di Moye furono esattamente il promemoria di cui Edwards aveva bisogno.

“Si alzò in piedi: ‘Finito, adesso lo chiudiamo’, e portò a termine l’allenamento.”

Dal suo punto di vista, Saunders non vide molti segnali di cedimento in Edwards — stava solo affrontando un momento difficile in un workout molto impegnativo. Ma aveva un presentimento, dopo la cena: qualsiasi cosa gli avessero lanciato addosso, Edwards non si sarebbe tirato indietro.

L’esecuzione dei drill non importava neanche tanto ai Wolves. Non si preoccupavano di quanti tiri avesse segnato o sbagliato, di quanto bene avesse eseguito gli esercizi; sapevano già che ci sarebbe stato tanto lavoro da fare per affinare le sue abilità. Ciò che contava era lo sforzo. Edwards diede tutto. Rosas e Saunders lo videro chiaramente.

“Fece tutto ciò che gli chiedemmo. Non mollò. E conquistò il nostro rispetto.”

Saunders ha aggiunto: “Ogni volta che chiedevamo qualcosa in più, lui lo faceva. Fu davvero impressionante.”

Ovviamente, i Wolves non mostrarono a Edwards come si sentivano in quel momento.

“Facce da poker,” ha detto Holland. “Bravo, ottimo workout, ma niente entusiasmo o emozione. Avevamo in programma una cena, ma nulla che desse l’idea che fosse fatta.”

Ma Holland sapeva che Edwards aveva spaccato, e lasciarono quella giornata sentendosi bene sulle sue possibilità di essere la prima scelta assoluta. Quello che non sapevano era che, prima di uscire dalla palestra, Rosas aveva già fatto una chiamata al proprietario dei Wolves, Glen Taylor.

“Glen, abbiamo la nostra prima scelta, È lui il ragazzo.”