I Boston Celtics stanno raccogliendo i frutti del loro progetto a lungo termine che li ha portati a dominare nella Eastern Conference

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Rich Jensen per Celtics Blog, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


Un vecchio refrain delle corse automobilistiche è che il principale avversario delle auto sia il loro peso. Ma non sempre quest’affermazione corrisponde al vero. Nel 1966 una scuderia composta da Ford GT40, dal peso superiore di circa 270 Kg rispetto alle avversarie, è riuscita a surclassare le Ferrari contro le quali stavano gareggiando a Le Mans. La gara, entrata nella storia e nella leggenda dell’automobilismo e che ha enfatizzato ulteriormente la rivalità tra Ferrari e Ford, è stata una sorta di testamento lasciato in eredità ai piloti, ma soprattutto agli ingegneri che in futuro avrebbero ideato e costruito le nuove autovetture sportive. I motori, ricavati da altrettanti di altre auto prodotte dalla Ford in quel periodo, erano stati testati e messi a punto in base al “giro perfetto” percorso dal pilota Ken Miles, registrato elettronicamente. I motori testati avevano una durata – al massimo dei giri e senza alcuna sosta – per almeno 48 ore, ovvero il doppio della durata della famosa corsa automobilistica in scena a Le Mans. Per ogni danno riportato, le parti soggette a malfunzionamento sono state migliorate e sviluppate fin quando il motore della Ford non raggiunse l’affidabilità richiesta dalla velocità di gara, e per il doppio della durata della corsa. Questi veicoli, parecchio pesanti, gravavano abbondantemente sull’impianto frenante: in configurazione da gara, infatti, i freni dovevano sopportare una quantità di circa 17 milioni di Joule d’energia. Di contro, frenare completamente un’automobile di circa 2 tonnellate lanciata a circa 110 Km/h richiede attorno a 900 mila Joule d’energia. Si pensi che questo sforzo fosse richiesto ogni 11 secondi e per 24 ore consecutive. Nessun disco frenante disponibile a quell’epoca era in grado di reggere tale carico per la durata dell’intera competizione, perciò gli ingegneri della Ford hanno messo a punto un sistema per sostituire l’intero blocco frenante nel corso di un pit-stop. Quando fu sventolata la bandiera a scacchi finale, la gara – che in quel periodo era uno degli eventi più seguiti e combattuti – ha contato solo 15 piloti giunti al traguardo su 55 presenti in griglia di partenza. I primi 3 posti furono occupati da sole Ford. Le Ferrari 330, additate come principali rivali delle Ford, si erano ritirate prima della 17° ora di corsa – 7 ore e 134 giri in anticipo rispetto al traguardo finale. Quegli esemplari di Ford furono costruiti per resistere, non per diminuirne il peso. Gli ingegneri della Ford riuscirono a comprendere che non era la macchina più veloce a vincere la 24 Ore di Le Mans, ma la più veloce a rimanere in pista fino alla fine. I Boston Celtics sono stati costruiti nella stessa maniera. 


La Eastern Conference è stata falcidiata in lungo e in largo dagli infortuni. Parte di ciò rientra nelle statistiche, ma è pur vero che, per quanto al giorno d’oggi si sia ridotto il numero complessivo di infortuni subìti (che rimane un assunto del tutto discutibile), la durata dei tempi di recupero è sensibilmente maggiore rispetto al passato. Oltretutto, non si può escludere la possibilità che la quantità di tali infortuni sia stata condizionata dal ritmo indiavolato imposto dai Boston Celtics lungo tutta la Regular Season. Proprio come la prestazione ridicola delle Ford a Le Mans nel 1965 fece in modo che la scuderia mettesse a punto un programma tale da ottenere la brillante prestazione del 1966, il roster dei Celtics è stato costruito al dettaglio la scorsa estate dopo la cocente eliminazione subita per mano dei Miami Heat alle Eastern Conference Finals. In qualche modo, Brad Stevens è riuscito a strappare l’affare che ha portato in Massachussetts Kristaps Porzingis, con enormi benefici, in cambio di Marcus Smart – di per sé un buon giocatore -, oltre a quello che ha coinvolto Robert Williams III e Malcolm Brogdon in cambio di Jrue Holiday. Come risultato è stata ottenuta una squadra costruita per resistere all’usura di fatica ed infortuni. La stagione NBA è incredibilmente lunga. Il calendario è stato reso così fitto poiché alcuni proprietari dei palazzetti della NHL, guidati dal bostoniano Walter Brown, volevano più date ed impegni settimanali durante l’inverno. Sono riusciti a ottenere una lega che è stata capace di massimizzare gli introiti – anche se, a causa del numero elevato di impegni, la NBA ha visto introdurre i concetti di “sconfitta calcolata” o quello di load management. Va detto che dietro ogni stagione vincente risiede anche una buona dose di fortuna. Ma, come Branch Rickey ha affermato, “La fortuna è la parte residua di un progetto.” 

I Celtics non solo hanno vinto 64 partite di Regular Season, ma ci sono riusciti senza mai perdere 3 volte consecutivamente nell’arco di tutta la stagione. Inoltre, non hanno neppure inanellato 4 o 5 sconfitte rispettivamente all’interno del range di 5 e 10 sfide – i loro peggiori record su 5 e 10 sfide sono di 3-2 e 6-4. Con il passo peggiore hanno comunque messo a referto 49 vittorie: se lo avessero fatto per tutta la stagione sarebbero riusciti in ogni caso a lottare per il 2° seed. Va sottolineato anche che 2 di quei record di 6-4 sono giunti nelle fasi finali della Regular Season, quando già il 1° seed era stato conquistato matematicamente. Di contro, l’ultima franchigia a vincere 64 sfide stagionali è stata quella dei Phoenix Suns nella Stagione 2021/22, che ha messo a referto ben 8 record di 6-4 e 7 di 3-2. I bianco-verdi sono riusciti a vincere 64 partite nonostante il costante riposo concesso a Porzingis nei back-to-back o altre forme di load management concesse a The Unicorn. Avendo acquisito anche Xavier Tillman Jr. prima della trade deadline, coach Joe Mazzulla è riuscito anche a limitare l’impiego di Al Horford. L’età di Big Al e lo storico legame ostico tra infortuni e KP potevano rappresentare l’impianto frenante – a rischio usura – di questi Celtics, che tuttavia sono riusciti a trovare il modo di poterli sostituire immantinente. Altre franchigie non hanno osservato la situazione in quest’ottica, o non hanno avuto la flessibilità salariale per potersi attrezzare in tal senso. Sia New York Knicks che Philadelphia 76ers e Miami Heat hanno dovuto alzare bandiera bianca a causa di carenza di uomini nelle rotazioni. Il tempo dirà quanto salato sarà il conto che i C’s dovranno pagare per rimpiazzare i giocatori partenti o in ritiro, ma al momento hanno assolutamente azzeccato ogni mossa.

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Questo roster è stato costruito su misura per l’attuale NBA, una lega in cui il livello e l’intensità hanno portato i giocatori a rischiare più facilmente l’incombenza d’infortuni, il cui periodo di recupero è mediamente più lungo che in passato. Una franchigia vincente, al giorno d’oggi, ha bisogno di estrema fortuna o di estrema cura nella sua costruzione. O di entrambe. Il periodo in cui le franchigie vincenti erano costruite mettendo alcuni role player attorno a 3 superstar è praticamente finito. Ci sono fin troppe squadre di ottima qualità per poter pensare di riuscire a superare incolumi la Regular Season, riuscendo a conservare le energie degli All-Star e ad arrivare al termine dell’annata in un buona posizione in vista dei Playoffs, per poi arrivare fino in fondo e vincere il Titolo NBA. Gli Indiana Pacers sono il chiaro esempio di quanto affermato: hanno sconfitto i Knicks in un’agguerrita serie risolta in Gara 7 e sono quasi riusciti a battere i Celtics in Gara 1 delle Conference Finals appena 2 giorni dopo aver eliminato Jalen Brunson e compagni. E nonostante fossero in svantaggio sullo 0-2 contro i C’s, i Pacers si sono comunque rivelati un osso duro. 

Ma attraverso il loro ritmo elevato e i pochissimi passi falsi commessi, i Celtics hanno alterato i piani e le visioni delle altre contender. I Milwaukee Bucks hanno licenziato barbaramente coach Adrian Griffin a metà stagione perché non riuscivano a mantenere il ritmo dei bianco-verdi – o, forse, perché si ritenevano superiori ai Celtics, e nonostante ciò stessero raccogliendo molto meno di quanto seminato con le redini in mano a coach Griffin. L’arrivo di Doc Rivers e il successivo andamento dei Bucks danno comunque risposte abbastanza sicure a certi quesiti. Perciò, col proseguire rapido della stagione, i Boston Celtics hanno continuato ad annoverare vittorie facendo riposare al contempo i suoi giocatori migliori – mantenendoli al massimo all’80% delle energie impiegate – mentre le altre squadre della Eastern Conference erano alle prese col ritmo indemoniato imposto dai bianco-verdi, nella speranza che commettessero un errore o un passo falso. Giannis Antetokounmpo è stato costretto a scendere in campo contro i Celtics, in occasione del 79° impegno stagionale, poiché la franchigia del Wisconsin stava ancora lottando per una posizione in vista dei Playoffs, e aveva bisogno di vincere. In compenso, i C’s non sono estranei ad infortuni che hanno fatto deragliare i sogni di gloria. Partendo dagli anni ’80, parecchie volte Larry Bird è stato tradito dal suo fisico. Più recentemente, invece, è accaduto a Kevin Garnett nel 2009, mentre l’improvvisa rinuncia per infortunio a Kendrick Perkins ha fatto tramontare le speranze di vittoria nel 2010 – due sconfitte consecutive causate da gravi infortuni. Infine, le assenze di Jeff Green per un problema cardiaco e di Avery Bradley per un problema alla spalla hanno lasciato i Celtics con la panchina corta nel corso delle Eastern Conference Finals del 2012 contro i Miami Heat – una partita in cui la second unit bianco-verde ha contribuito con soli 2 punti. Il risultato, dopo una decade d’esperienza con gravi infortuni incorsi principalmente in post-season o nel finale di stagione, è l’idea che le squadre debbano essere costruite non solo instillando nei giocatori una mentalità per essere “subito pronti all’uso”, ma anche con abbastanza talento ed ampiezza del roster, in modo che il divario tra gli uomini in quintetto e i loro sostituti non sia troppo ampio. Anziché pensare ad uno sfortunato inconveniente, le squadre dovrebbero costruire i loro roster tenendo conto dei possibili infortuni subìti nel corso dell’anno dai giocatori fondamentali. 

Probabilmente, le squadre vincenti di oggi devono fare maggiormente affidamento sul talento di ogni singolo membro del roster, molto più che in passato. Se si perde il miglior giocatore per infortunio, bisogna riuscire a rimanere in piedi fin quando non torna a disposizione. Forse bisogna anche fare in modo che i giocatori non debbano sentire il peso della lotta per un posto ai Playoffs fino a marzo o aprile. L’approccio della scuderia Ford alla 24 Ore di Le Mans del 1966 ha rivoluzionato il modo in cui tutte le altre scuderie hanno preparato quella corsa d’allora in avanti. O, meglio ancora, ha cambiato l’opinione che gli ingegneri avevano sulla corsa e sul modo di progettare e costruire le automobili. In base a come si svilupperanno le prossime settimane, anche i Boston Celtics potrebbero rivoluzionare il modo di costruire un team vincente in NBA. Il livello medio delle franchigie è molto elevato per via della loro abilità di rimpiazzare ottimamente i giocatori persi per infortunio – i Cleveland Cavaliers si sono rivelati comunque un avversario arduo nonostante l’assenza di Donovan Mitchell. Questa resilienza agli infortuni è probabilmente causata dalla maggior frequenza della scelta verso le statistiche piuttosto che la spettacolarità del gioco da parte dei giocatori migliori, o dalla quantità di giovani talenti emergenti; ma che sia per una o per l’altra ragione, molte delle squadre della zona media della classifica sono diventate delle avversarie potenzialmente pericolose. Tuttavia non ci sono indizi che lascino pensare al fatto che i General Manager abbiano trovato il bandolo della matassa nella costruzione di un roster vincente, o che abbiano compreso perché non siano riusciti a farlo finora. Questi Boston Celtics, dal loro canto, sono stati messi a punto per vincere.