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Prima di tutto occorre fare una premessa: tifosi degli Charlotte Hornets, se esistete, perdonateci. Ci dispiace per voi. Davvero. Noi magari ci divertiamo anche alle vostre spalle, ma voi state vivendo tempi difficili, e vi siamo vicini.

 

Non ve la prendete a male, la ruota gira per tutti, e ci auguriamo che un domani possiate bruciare copie di questo articolo mentre per le vie di Charlotte celebrate ubriachi la conquista del Larry O’Brien Trophy. Forse avremo avuto torto noi, forse saranno passati molti anni e le cose saranno cambiate nel profondo, o forse sarà semplicemente un giorno epocale per l’NBA e qualcosa di straordinario sarà appena avvenuto. 

 

Più probabilmente, invece, sarete molto ubriachi sì, ma del Larry O’Brien nessuna traccia. Smaltita la sbornia vi renderete conto che Rich Cho è ancora il vostro General Manager, Michael Jordan (il più grande giocatore e uno dei peggiori proprietari della storia della Lega, che guarda caso a voi è toccato in questa seconda veste) il vostro proprietario, e scambiare Kemba Walker a una qualunque delle altre 29 franchigie dell’Association pur di liberarvi dei contratti di uno o più a caso tra Batum, Kidd-Gilchrist, Howard e Marvin Williams e ottenere in cambio delle future scelte di un qualche valore, la migliore prospettiva che possiate immaginare per la vostra squadra.

 

La possibilità che Charlotte ceda Walker è stata evidenziata da svariati insiders dell’NBA nelle ultime settimane, e per quanto l’ex giocatore di UConn non sia esattamente il prototipo della star che da sola rende una squadra una contender, i 12 milioni annui garantiti dal suo contratto per questa e la prossima stagione sono un ottimo affare nell’attuale panorama salariale della Lega – e solamente il sesto contratto più pesante elargito in questo momento dagli Hornets a uno dei loro giocatori. Se Charlotte è effettivamente disposta a separarsi dal’uomo che l’ha trascinata negli ultimi anni con la sola motivazione di rimettersi in qualche modo in carreggiata, vuol dire che la franchigia ha intrapreso una rotta veramente pericolosa.

 

Jordan ha detto che ascolterebbe offerte per Walker solo nel caso in cui portassero nell’immediato all’acquisizione di un All-Star, ma queste appaiono come le tipiche dichiarazioni di facciata. Nel momento in cui scriviamo Charlotte occupa l’undicesima posizione nella classifica della non entusiasmante Eastern Conference (22-29 e quattro partite di ritardo dall’ottavo posto di Philadelphia) e ha pressoché zero possibilità di qualificarsi per la post-season. Questo nonostante un monte salari che è il dodicesimo più corposo dell’intera NBA e che soprattutto non scenderà di un dollaro nella prossima stagione.

 

Quindi, la domanda è: com’è possibile che le cose si siano messe così male?

 

Charlotte_Hornets_Around_the_Game

 

Le vie per costruire una squadra vincente nella NBA sono tre: le trade, la free agency, il draft.

Charlotte negli ultimi anni non ha avuto tra le mani giocatori futuribili dal talento sufficiente per portare a casa un super-giocatore in una trade, né un giocatore abbastanza forte da poter essere ceduto in cambio di futuro assicurato: ovverosia scelte e giovani promettenti.

Per le franchigie che operano su un piccolo mercato attrarre free agents di prima fascia è quasi impossibile: il piano solitamente è quello di riuscire a firmare giocatori di seconda fascia – meglio se a prezzi vantaggiosi – sperando che riescano a superare le aspettative rendendo la squadra più vincente nell’immediato e popolare tra i futuri free agent, e diventando – nella migliore delle prospettive – proprio loro stelle del firmamento NBA. E’ così, lentamente e con fatica, che un giorno ci si potrà sedere al tavolo con i migliori interpreti del Gioco, dopo che giocatori minori, o che minori erano nel momento in cui sono stati messi sotto contratto, ti hanno collocato sulla cartina geografica dell’NBA che conta. Charlotte negli ultimi anni ha fallito l’assalto a diversi di questi giocatori di seconda fascia liberi da accordi e quelli che è riuscita a firmare si sono rivelati dannosi nel progettare a lungo termine (ma ci torneremo).

Rimane il draft; un contesto ricco di imprevedibilità e in cui la fortuna la fa da padrona. E qui Charlotte le sue possibilità le ha avute, numerose e importanti, e le ha sprecate tutte, una dopo l’altra.

 

Quando nel 2010 Michael Jordan comprò i Charlotte Bobcats per 275 milioni di dollari diventando il primo ex giocatore ad essere azionista di maggioranza di una franchigia NBA, la squadra della regione che gli aveva dato i natali, il North Carolina, non era in una situazione molto diversa da quella in cui si trova oggi. Risorti nel 2004 dopo lo spostamento degli Hornets a New Orleans, i Bobcats erano scarsi e con un monte ingaggi sostanzialmente bloccato. Tre scelte consecutive nella top-5 dei draft tra il 2004 e il 2006 si erano tramutate in Emeka Okafor, Raymond Felton e Adam Morrison.

 

Jordan, che era President of Basketball Operations della squadra dal 2007, non era esente da colpe. Aveva piazzato Sam Vincent (suo ex compagno ai Bulls) sulla panchina e Rod Higgins (altro ex Bull) a sbrigare le pratiche del decision making quotidiano.

La pratica di collocare in posizioni di vertice della franchigia persone a lui vicine non è passata di moda per Jordan negli anni, come hanno dimostrato le assunzioni del fratello Larry e della figlia Jasmine in tempi più recenti. Jordan è un proprietario (non certo l’unico, vedi ad esempio Dan Gilbert) che ama essere coinvolto nelle decisioni importanti sulla squadra e sul personale. Negli anni è più volte capitato che nella war room dei Bobcats/Hornets il giorno del draft si confrontassero fazioni divise su opinioni differenti, e Jordan ha quasi sempre voluto avere l’ultima parola. La sua più famosa mossa da dirigente rimane comunque quella del Draft 2001, quando da General Manager degli Washington Wizards decise di selezionare con la prima chiamata assoluta Kwame Brown…

 

La prima stagione di Jordan proprietario si chiuse per Charlotte con una sconfitta al primo turno dei Playoffs della Eastern Conference. In panchina c’era Larry Brown, che aveva nel frattempo rimpiazzato Vincent.

Nella stagione successiva la squadra deluse, Brown si dimise, e gli subentrò Paul Silas. I Bobcats chiusero l’annata 34-48 e Rich Cho, ex GM dei Portland Trail Blazers, venne assunto prendendo il posto di Rod Higgins – che rimase comunque con la squadra nel ruolo di Director of Basketball Operations fino al 2014 e le cui dimissioni pare abbiano aperto, anni dopo, un contenzioso tra il nuovo capo allenatore Steve Clifford e il sopracitato Cho.

Walker_Biyombo_Charlotte_Around_the_Game

 

Nella stagione precedente Cho – che lavorava per i Blazers – aveva chiuso con Jordan un affare per portare a Portland Gerald Wallace in cambio di scelte future e di un alleggerimento salariale a favore dei Bobcats.

 

Al Draft NBA del 2011 Charlotte ha due prime scelte nella lottery: le numero 7 e 9.

Con la settima chiamata i Bobcats selezionano Bismack Biyombo, con la nona Kemba Walker.

 

Nello stesso draft vedremo poi: Klay Thompson (11), Kawhi Leonard (15), Nikola Vucevic (16) e Jimmy Butler (30) tra gli altri. Si poteva fare meglio.

 

La stagione 2011-12 (abbreviata a causa del lockout) si chiude per Charlotte con un record di 7-59, il peggiore per percentuale di vittorie della storia NBA (roba che neanche Sam Hinkie, che voleva perdere!) e la seconda scelta al Draft del 2012. Peccato, perché avesse avuto la prima chiamata, Jordan avrebbe scelto Anthony Davis, e questo articolo non esisterebbe.

 

Invece esiste, stiamo parlando degli Charlotte Hornets (per il cambio di nome dovremo aspettare il 2014, ma iniziamo a chiamarli così), e quindi nel draft di Beal (3), Lillard (6), Harrison Barnes (7), Andre Drummond (9) e Draymond Green (35) tra gli altri, Charlotte seleziona l’ex compagno di AD a Kentucky, Michael Kidd-Gilchrist. Come avrete notato in questo draft una squadra recentemente piuttosto in voga, che risiede nella Baia, non ha poi chiamato così male.

 

Il 2012-13 porta Charlotte a superare le 20 vittorie stagionali e ad aggiudicarsi la quarta chiamata nel draft di giugno: Cody Zeller (McCollum, Steven Adams, Antetokounmpo e Schroeder li lasciano gentilmente ad altri).

 

La campagna 2013-14 è in qualche modo un successo. Sotto la nuova guida di Clifford – un discepolo, come tanti attuali allenatori della NBA, dei due Van Gundy – giocando un basket commovente e che in qualche modo ricorda quello di una squadra di college, Charlotte riesce a centrare i Playoffs. Sconfitta 4-0 al primo turno ma i segnali sono incoraggianti. Una sapiente trade con i Pistons regala agli Hornets la nona scelta al draft (Charlotte riesce sempre a chiamare in qualche modo nella lottery).

 

Il prescelto stavolta è Noah Vonleh, preferito a Payton (10), Saric (12), LaVine (13), TJ Warren (14), Nurkic (16), e Gary Harris (19). A Capela (25) e Jokic (41) gli Hornets preferiscono addirittura Napier (chiamato alla 24 e ceduto a Miami). Vonleh è una promessa degli Hoosiers di Indiana, che Jordan e soci non si aspettano di poter trovare ancora disponibile così avanti nel draft. Il front office propende per chiamare Doug McDermott, ma ad avere l’ultima parola è il proprietario.

 

Nella prima free agency della seconda reincarnazione degli Charlotte Hornets (2014) la squadra di Jordan, Cho e Clifford riesce a portare a casa le firme a prezzi abbastanza contenuti di Lance Stephenson (in uscita da Indiana dopo una stagione clamorosa) e Marvin Williams.

Il 2014-15 però è un anno deludente per la franchigia della Carolina del Nord, e il record di 33-49 non vale l’accesso ai Playoffs.

 

In estate accade qualcosa che avrebbe potuto cambiare le sorti della moderna NBA. Danny Ainge, uno degli uomini maggiormente – e giustamente – celebrati nell’NBA di oggi si era innamorato cestisticamente (non era l’unico, va detto) di Justice Winslow, e pur di portarlo a casa offre a Charlotte – che ha ancora una volta la nona chiamata assoluta – quattro prime scelte, due in quel draft e due future, una delle quali, non protetta, di proprietà originaria dei Brooklyn Nets – sì, una di quelle scelte che Boston aveva ottenuto nell’affare Pierce-Garnett e che tanto comode torneranno ad Ainge in futuro. Charlotte ci pensa, poi rifiuta.

 

Con la nona chiamata ecco a voi Frank “The Tank” Kaminsky da Wisconsin. Winslow finisce a Miami alla decima (e la sua carriera sarà quel che sarà, tanto per ribadire che il draft tutto è meno che una scienza esatta), Myles Turner alla 11 a Indiana e Devin Booker alla 13 a Phoenix.

Kaminsky_Jordan_Charlotte_Around_the_Game

 

Dopo una stagione che definire deludente è un eufemismo, Charlotte si disfa come può di Lance Stephenson e del suo contratto da 9 milioni annui cedendolo ai Clippers in cambio di Spencer Hawes e Matt Barnes; e mette le mani su Nic Batum (Vonleh va a Portland), Jeremy Lamb e Jeremy Lin. Nel 2015-16 si ritorna ai playoffs – fuori comunque al primo turno – con un record di 48 vinte e 34 perse.

 

Nell’estate del 2016, di nuovo, le cose per Charlotte prendono una brutta piega.

Ci troviamo in un’offseason molto particolare nella storia dell’NBA. L’improvviso incremento del cap fa sì che molte squadre spendano valanghe di soldi nell’immediato, avendoli a disposizione e temendo magari di perdere terreno nei confronti di altre franchigie, senza considerare il fatto che i contratti nel tempo si dovranno tutti allineare al nuovo salary cap, e che giocarsi lo spazio creatosi in uno/due contratti molto importanti subito potrebbe essere pericoloso. Charlotte capitana il plotone degli spendaccioni. Per mancanza di alternative forse, o per mancanza di programmazione.

 

La squadra ha centrato i Playoffs in due delle cinque stagioni sotto il pieno controllo di Jordan e Walker è l’unico giocatore draftato da Charlotte ad aver quanto meno soddisfatto le aspettative. Sei chiamate in lottery nel giro di cinque anni sono valse un titolare NBA e una serie di comprimari di dubbio valore, e attrarre free agent di livello non è e non è mai stato possibile. Non ci sono gli elementi per fare il salto di qualità e il livello di talento draftato non è semplicemente all’altezza delle possibilità avute.

 

Charlotte è nel mezzo. Troppo scarsa per competere per qualcosa di serio, troppo forte per poter tirare i remi in barca e lasciare scorrere un paio di stagioni nella speranza di ulteriori e maggiori fortune in tempo di lottery. L’incremento del salary cap NBA nell’offseason regala agli Hornets 24 milioni di spazio salariale. Lin, Al Jefferson e Courtney Lee vengono lasciati andare, mentre vengono messi sotto contratto a cifre abbastanza contenute Al Jefferson e Ramon Sessions.

 

La scelta al draft di giugno non è alta, così Charlotte in modalità “win now” decide di cederla a Sacramento in cambio di Marco Belinelli. La priorità degli Hornets però è quella di rifirmare i propri preziosi free agent. Dei giocatori scelti dal 2011 in avanti al primo giro Charlotte non ha offerto un rinnovo dopo il termine del contratto da rookie solo al già citato Vonleh (scambiato per Batum) e a Bismack Biyombo, che è andato a capitalizzare quanto di buono fatto in maglia Hornets a Toronto – firmando un contratto mastodontico in un periodo storico in cui i rim protector erano considerati quanto di più prezioso ci fosse al mondo.

 

Nell’offseason 2015 Charlotte aveva rinnovato a 13 milioni all’anno Kidd-Gilchrist. Il 2016 è l‘anno di Zeller, a cifre leggermente superiori (56 milioni per quattro anni). Nic Batum firma un prolungamento di contratto che vale 120 milioni divisi su cinque anni, e Charlotte evita così che il giocatore possa anche solo testare il libero mercato (Batum sarebbe comunque restricted free agent). Marvin Williams firma per quattro anni a 54,5 milioni di dollari complessivi. Le basi per lo stagnamento salariale in cui gli Hornets versano ancora oggi vengono definitivamente gettate.

 

Charlotte_Around_the_Game

La situazione salariale degli Charlotte Hornets  nel 2017-18 e per gli anni a venire. Nessun contratto è garantito a partire dalla stagione 2021-22.

 

 

Alcuni osservatori locali definiscono addirittura i contratti firmati da Batum e Williams team friendly, evidenziando come i 6 milioni annui risparmiati rispetto a un eventuale max contract offerto a Batum siano oro per le finanze e le strategie di Charlotte. Sarà.

Sicuramente il gioco del francese nell’anno e mezzo passato da allora non ha contribuito a far sembrare saggia la decisione presa dal front office.

 

Altro fattore che non ha aiutato gli Hornets e diverse altre squadre è stato il mancato aumento del cap che ci si sarebbe aspettati anche per la stagione seguente. Franchigie che pensavano di poter avere davanti un’altra estate di folli spese senza sforare i limiti del monte salari rimangono deluse e si trovano in difficoltà, così come a farne le spese sono molti dei giocatori divenuti free agent nel 2017, che si trovano ad avere aspettative basate sui contratti fuori mercato e folli sottoscritti da loro colleghi dello stesso livello appena dodici mesi prima, e a trattare con squadre sostanzialmente senza spazio salariale.

 

Nonostante Kemba Walker sia stato nominato per l’All Star Game 2017, la stagione 2016-17 ha nuovamente visto Charlotte compiere un passo indietro. Il record di 36-46 non è bastato per accedere alla post season. Se come detto i Playoffs non sono di per loro un risultato che porta a niente, hanno rappresentato a lungo per gli Hornets il massimo a cui ambire e una consolazione da offrire ai propri tifosi. I limiti di questo progetto però sono ormai sotto gli occhi di tutti e ripartire da zero appare come la scelta meno dolorosa sul lungo periodo.

 

In estate Cho e Jordan hanno allestito una trade con la quale si sono assicurati i servizi di Dwight Howard, una ex stella NBA ormai fin troppo bistrattata, che sta avendo in North Carolina la migliore stagione da qualche anno a questa parte, e che era stato nei suoi anni migliori un sogno nel cassetto per gli Hornets, sempre rimasto tale. Ad Atlanta, una squadra che ha già intrapreso la via della rifondazione, sono andati Mason Plumlee, Marco Belinelli e la 41esima scelta al draft. Charlotte oltre al suo nuovo centro titolare ha ottenuto la 31esima scelta (con cui ha chiamato Frank Jackson).

Sempre nella notte del draft, con l’undicesima selezione gli Hornets hanno scelto Malik Monk. Donovan Mitchell veniva chiamato due scelte più tardi dai Denver Nuggets, che poi lo cedevano a Utah. Svariati altri giocatori che ad oggi paiono più interessanti di Monk (o se non altro più pronti) sono caduti in scelte ampiamente oltre l’undicesima.

 

Una serie di occasioni mancate ha messo gli Hornets spalle al muro, una serie di decisioni poco lungimiranti li ha portati in una posizione da cui uscire è molto complicato.

 

Dwight_Howard_Charlotte_Around_the_Game

 

Sarà indubbiamente dispendioso, in termini di tempo e sacrifici, provare a ricostruire.

Cedere Kemba Walker potrebbe essere inevitabile per il semplice fatto che nessuno vorrebbe avere in organico a quelle cifre i cinque giocatori più pagati degli Hornets: Howard, Batum, Williams, Kidd-Gilchrist e Zeller. Per dare via anche solo uno di loro è necessario allegare almeno un prospetto (merce rara in casa Hornets) o una futura prima scelta al pacchetto. Nel caso del contratto di Batum, ancora lontano dalla sua scadenza, entrambe le cambiali sono presumibilmente richieste. MKG e Marvin Williams hanno opzioni per restare negli attuali accordi fino a luglio 2020. In più, questo nucleo di giocatori è in qualche modo troppo forte per permettere a Charlotte di ambire alle scelte più pregiate dei prossimi draft (posto che…insomma lo sappiamo come può andare a finire) e di rifondare perdendo.

 

Aggiungere alla base presente per essere competitivi subito è altrettanto impossibile, per via della mancanza di talento di base e di asset allettanti. Gli Hornets controllano per loro fortuna tutte le proprie future prime scelte fino al 2024, ma a parte Walker gli unici giocatori a roster con contratti vantaggiosi – e dunque eventualmente interessanti per altre squadre – sono Jeremy Lamb e due ragazzi che devono ancora uscire dai propri contratti da rookie: Kaminsky e Monk.

 

Serve almeno un talento generazionale per dare una possibilità vera di competere a una franchigia nell’NBA. A Charlotte se ne sono visti passare davanti tantissimi, ma non li hanno mai saputi riconoscere.

 

Forse era lecito aspettarselo fin dall’inizio, però, che dal connubio tra Jordan e gli Hornets sarebbe nato qualcosa di simile.

 

Il GOAT, come dirigente, sarà ricordato per il draft di Kwame Brown, in fondo. Gli Charlotte Hornets invece per il giorno, nel Draft del 1996, in cui azzeccarono la chiamata del secolo. Con la tredicesima scelta assoluta selezionarono un ragazzino promettente in uscita dall’high school. Fece a malapena in tempo a posare per i fotografi con indosso il cappellino della sua nuova squadra, che era già stato scambiato. Quel ragazzino si chiamava Kobe Bryant, e tutto sommato è sopravvissuto abbastanza bene al trauma.

 

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Gli Charlotte Hornets, invece, non hanno ancora smesso di espiare i propri peccati.

 

 

 

Update: gli Charlotte Hornets hanno concluso una trade prima della deadline che ha portato Willy Hernangomez in North Carolina e hanno annunciato poche settimane dopo che il contratto di Rich Cho non sarà rinnovato al termine della corrente stagione.