FOTO: Toronto Star

Vince Carter è ufficialmente entrato nella Hall of Fame, e lo ha fatto in buonissima compagnia, accanto a Chauncey Billups, Michael Cooper, Walter Davis, Bo Ryan, Charles Smith, Seimone Augustus, Dick Barnett, Harley Redin, Michele Timms, Doug Collins e Herb Simon – nella classe anche Jerry West, morto a giugno, da membro Contributors Committee, alla terza introduzione nella Hall of Fame, questa postuma e presenziata dal figlio Jonnie West. Ad accompagnare Carter sul palco sono stati l’amico e cugino, Tracy McGrady, e Julius Erving, il suo “eroe”. Per ringraziare il primo, Vince ha ricordato un aneddoto risalente al periodo precedente il suo ingresso nella NBA:

“Voglio partire da Tracy McGrady. Sin da quando abbiamo scoperto di essere cugini, ci siamo sempre supportati. Quando abbiamo scoperto di essere cugini, ho ricevuto quella telefonata dal telefono della nonna e mi ha detto: ‘Cugino, mi assicurerò che i Raptors ti scelgano. Ci penso io a te.’. Oggi siamo qui e ha senso che ci sia lui.”

Passando a Doctor J, Carter sembra invece quasi un bambino. pronunciando le seguenti parole con gli occhi pieni di ammirazione:

“Tutti abbiamo i nostri eroi e sono fiero di avere il mio qui accanto a me. Molti atleti hanno eroi ma non la fortuna di incontrarli, io ho chiamato Doctor J – la prima volta non ha risposto, ho dovuto lasciare un messaggio. Un giorno, nel mio ufficio, squilla il telefono e leggo Julius Erving – “Oh, merda!”. Sentirlo dire di essere onorato di rappresentarmi alla Hall of Fame è stato incredibile.”

Menzione d’onore la merita Grant Hill, che ha letteralmente fatto da mentore per l’esecuzione del discorso:

“Grazie per la tua guida a questa cerimonia della Hall of Fame. Tutto il tempo è entrato nella mia testa: ‘Senti, sii te stesso, succederà questo. Vedi? Lì c’è un orologio, ma non preoccuparti, rallenta, consegna il tuo messaggio.’ – e questo mi ha confortato perché, anche se non ho problemi a parlare in pubblico, questa è la Hall of Fame dannazione.”

Vince Carter è poi passato alla solita carrellata di ringraziamenti ripercorrendo in ordine sparso il proprio viaggio cestistico, a partire dai North Carolina Tar Heels fino ad arrivare a Kings, Nets e soprattutto ai Toronto Raptors. Il rapporto fra il basket canadese e “Vinsanity” è strettissimo, si tratta della prima esperienza dell’Hall of Famer in NBA e, per il Paese della foglia d’acero, di un rappresentante iconico: delle 8 selezioni di Carter all’All-Star Game, 5 e mezzo (nel 2005 era arrivato da poco ai Nets, ma tutta la prima parte di stagione era a Toronto) sono in maglia Raptors, così come il premio di Rookie of the Year e le 2 selezioni negli All-NBA Team. Non è un caso che queste siano state le parole dedicate ai canadesi:

Tutto è iniziato lì, ho molti momenti memorabili con quell’organizzazione che ha dato vita a ‘Vinsanity’, per cui senza dubbio entrerò nella Hall of Fame in quanto Raptor.”

Verrebbe da dire quasi che è mancato solo l’anello, nonostante Vince Carter ne abbia avuto comunque un assaggio, come rivelato in un aneddoto riguardante Kyle Lowry, suo grande amico, e quel meraviglioso 2019 per i Raptors:

“A Kyle Lowry: hai fatto un gesto incredibile per me quando i Raptors hanno vinto il titolo. Stavo uscendo dal campo, Kyle stava facendo un’intervista, si alza in piedi, mi guarda e dice: ‘Hey, vieni a fare l’intervista con me.’. Ho umilmente declinato l’invito, ma questo spiega che persona incredibile sia. Voleva che fossi parte di quella organizzazione e lo ringrazio.”

I ringraziamenti comunque non sono cosa facile per Air Canada. Come lui stesso ha ricordato, ha avuto 261 compagni NBA differenti ed è connesso con 1/3 dei giocatori passati per la Lega (QUI un approfondimento), dati da capogiro che ne testimoniano la prodigiosa longevità. Dote, quest’ultima, che gli ha procurato non poche difficoltà a dire addio alla pallacanestro, al punto da non riuscire a pronunciare a voce alta la parola “ritiro” nel suo ultimo anno NBA. Chi lo ha sbloccato? Kobe Bryant. Momento molto toccante, quello della dedica al Mamba, che è morto nel giorno del compleanno di Vince Carter, il 26 gennaio:

“A Kobe Bryant. Nel mio ultimo anno, facevo fatica a dire la parola ‘ritiro’. Sapevo che fosse il mio ultimo anno ma non ci riuscivo. Incontro Kobe a una gara con i Nets, ci parlo durante la partita e un po’ dopo, e mi chiedo chi potesse conoscere quella sensazione meglio di lui. E lui mi risponde sorridendo: ‘Amico, è grandioso! Lo adorerai, la pensione è grandiosa! Posso stare con la mia famiglia, i bambini, allenare mia figlia e vederla crescere!’. ‘Che diavolo!’, penso io, e dopo quella conversazione ci sono riuscito, ho detto: ‘Mi ritiro!’. Puoi essere un competitor per tutti quegli anni, ma quando è il momento di smettere, preparati per il secondo round. Grazie, Kobe.”

Molto bella anche la menzione ad Allen Iverson, il quale – per ammissione dello stesso – ha tirato fuori da Carter il meglio a livello competitivo, come accaduto nella clamorosa serie Playoffs del 2001 al secondo turno, quando i Philadelphia 76ers hanno battuto i Toronto Raptors a Gara 7 per 1 singolo punto, forzando un tiro sbagliato di Vinsanity in persona allo scadere. Il leader dei canadesi ha viaggiato a 30.4 punti di media in quella serie, aggiungendo di media 6.0 rimbalzi, 5.6 assist, 1.9 rubate e 2.0 stoppate con il 47.4% dal campo e il 42.2% da 3, battagliando con un Iverson da 33.7 punti, 6.9 assist e 3.1 rubate a gara, con un mostruoso 43.2% da 3:

“Ad Allen Iverson, ha tirato fuori il meglio di me in quella serie del 2001, una battaglia. Io ne ho fatti quasi 40, lui poi 54 e io dovevo rispondere, ne ho messi 50. Un’incredibile serie Playoffs che tutti ricordano e si sono goduti. Grazie, AI.”