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L’NBA è al momento alle prese con il più grande potenziale ostacolo alla propria espansione dai tempi della American Basketball Association negli anni ’70.

 

Con piani e strategie di promuovere e far crescere il basket in tutto il mondo si aprono nuovi contesti, e in questi contesti si trovano inevitabilmente problemi di natura geopolitica, di cui l’NBA era da tempo a conoscenza. Le profonde radici della Lega negli Stati Uniti e in Europa hanno trovato terreno fertile dove espandersi in altri paesi con un simile background storico e culturale. Almeno, fino a poco tempo fa. Le differenze che ora la Lega si trova ad affrontare, invece, hanno generato uno scossone nelle scorse settimane.

 

Se si guarda alle regioni del mondo dove la pallacanestro ha avuto più successo, si può notare come si tratti di paesi con una lunga storia alle spalle di governance democratica, o quantomeno un ragionevole “fac-simile” della stessa. Europa occidentale, Oceania, e in misura minore Brasile e Argentina (che sicuramente non hanno avuto modo di sperimentare in maniera altrettanto consistente una governance democratica, nonostante questo fosse lo scopo).

 

Più recentemente, Russia e Cina – due ex paesi comunisti (almeno nel più tradizionale senso della parola, e ne riparleremo tra poco) con una lunga storia di isolazionismo regionale (in quanto si sono attenuti e non sono andati oltre alle loro immediate sfere di influenza, per quanto grandi geograficamente) – hanno dispiegato le proprie ali sulla scena mondiale aprendosi e adottando, non proprio con totale coscienza di causa, il capitalismo nel loro stile di governance. E con esso è arrivata anche l’NBA.

 

Mentre l’aspetto russo va oltre lo scopo di questo articolo, come antropologo il cui lavoro tocca l’intersezione tra le tradizionali sfere di interesse degli Stati Uniti e la crescente iniziativa di soft power che la Cina sta lanciando con nuova intensità, posso aiutare a far luce sulla situazione nel mezzo della quale l’NBA è finita a trovarsi.

 

Lavorando al mio dottorato di ricerca, mi trasferì in quella che attualmente è la mia casa, il Messico, per studiare un progetto di sviluppo ferroviario, e come vari attori avevano influenzato la negoziazione di interesse pubblico che circondava il progetto stesso. Senza tediarvi con le minuzie dell’antropologia dei trasporti, vi voglio solo far notare che uno dei principali attori a livello internazionale dello sviluppo in Messico, America Latina e di gran parte del mondo in via di sviluppo è il governo cinese, il quale fa affidamento a società ibride pubblico-private che molti analisti vedono intrinsecamente collegate al governo centrale, nonostante una certa parvenza di indipendenza, e che sono attualmente coinvolte nel più grande piano di ascesa globale dalla seconda Guerra Mondiale in poi.

 

Di cosa sto parlando esattamente? La creazione del piano “One Belt, One Road” (“Nuova Via della Seta”, come è conosciuta in Italia, ndr), più o meno una moderna versione cinese del Piano Marshall. Per quelli di voi che di storia non si sono mai interessati troppo, il Piano Marshall è stato in pratica il mezzo con cui gli Stati Uniti sono assurti al ruolo di principale potenza mondiale, offrendo ai suoi alleati europei, devastati dopo la guerra, materie prime, know-how e soprattutto prestiti a basso/zero interesse in modo che generassero entrate e facessero crescere l’influenza del soft power a stelle e strisce in tutto il mondo (e venissero costruite basi militari un po’ dappertutto).

 

Tornando ai giorni nostri, la Cina sta facendo più o meno la stessa cosa.

 

Mentre le eventuali eredità dell’espansione del soft power americano – ovvero le istituzioni nate con gli accordi di Bretton Woods, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale – promuovono ormai solo programmi di austerity per finanziare progetti nei paesi meno sviluppati, la Cina ha colto l’opportunità di porsi come alternativa, in modo da far crescere il proprio soft power, sovvenzionando e costruendo infrastrutture in tutto il globo in cambio di un accesso preferenziale alle materie prime di cui tanto ha bisogno per mantenere a galla la sua economia e la nascente classe media.

 

Cosa c’entra tutto questo con l’NBA?

 

Beh, così come il pesce nell’acquario non vede l’acqua in cui nuota, noi occidentali non vediamo il contesto che sta dietro il ragionamento della Cina per una tale linea d’azione. Per gran parte degli ultimi trecento anni, sono stati loro a trovarsi dalla parte opposta dello spettro, subendo lo sfruttamento da parte di Francia e Gran Bretagna in un modo non dissimile da quello che gli stati Uniti hanno messo in atto nel secondo dopoguerra. Solo molto, molto meno amichevolmente.

 

Queste due potenze – sostenute da interessi commerciali statunitensi – hanno letteralmente combattuto guerre per il diritto di vendere oppiacei ai cittadini cinesi per compensare la bilancia commerciale negativa che molti stati occidentali hanno avuto con la Cina nel corso dei secoli, e dopo tutto ciò la Cina si è ritrovata alla mercé dei progetti imperiali occidentali (e giapponesi), e poi al centro delle visioni contrastanti della Guerra Fredda, quali il sostegno all’autogoverno di Taiwan, che contribuì a mantenere gli equilibri di potere nella regione a favore degli interessi americani e occidentali.

 

L’NBA cominciò a guardare alla Cina mentre le riforme cambiavano il modo in cui la Cina continentale si raffrontava con l’occidente alla fine degli anni ’80; ma anche allora, quando la Cina cominciò ad aprire i suoi confini al mercato capitalistico e alle idee occidentali più di quanto non avesse fatto in decenni se non di più, preoccupazioni riguardanti lo scontro di culture erano presenti. La speranza era che un’apertura verso mercati enormi e potenzialmente redditizi come quello cinese si rivelasse una mossa più saggia che voltarvi le spalle, e potrebbe trattarsi benissimo tuttora della mossa più saggia a lungo termine. Allo stesso tempo, complica la situazione della Lega su un certo numero di livelli che devono essere considerati.

 

In primo luogo, la “situazione” a cui si fa riferimento è complessa in sé e per sé. Mentre il tweet a sostegno degli attivisti di Hong Kong che ha scatenato tutta questa discussione non è stato particolarmente problematico agli occhi degli occidentali, si è rivelato per la Cina un momento propizio per mandare un messaggio alla Lega, un messaggio inequivocabile:

 

“La Cina è ormai una potenza della scena mondiale, ed è stufa di sentirsi dire come dovrebbe gestire gli affari interni di territori nei quali le potenze straniere si sono sempre sentite in dovere di predicare come la società dovesse funzionare”.

 

Ci sono assolutamente dei punti validi nella loro posizione, anche se a noi non piace come questa visione si sta manifestando. Quella cinese è una delle culture più antiche del mondo, con un proprio corpus di filosofia, scienza, idee politiche ed etica che considera le verità che noi occidentali riteniamo universali in alcuni casi come mali sociali. Loro danno molta più importanza a valori come unità e stabilità, piuttosto che all’espressione individuale, fino al punto che sentono il bisogno di “rieducare” coloro che rappresentano una minaccia significativa per quell’ordine, anche se questi sono nativi delle terre in cui la Cina governa.

 

Anche se profondamente problematico, va notato che gran parte della “sceneggiata” su ciò che sta succedendo in Cina per quanto riguarda l’oppressione delle proteste pro-democrazia e l’internamento di persone ai margini della società in campi di prigionia rappresenta qualcosa contro cui gli Stati Uniti si professano di combattere, e molte delle stesse voci sia a destra sia a sinistra che si preoccupano di dire la loro su questa questione da una prospettiva “sportiva” spesso assumono posizioni simili a quelle del governo cinese.

 

Quando LeBron James ha commesso recentemente l’errore di intervenire (ironicamente, in modi non dissimili da quelli del GM dei Rockets, Daryl Morey), ha avuto l’effetto di apparire come interessato esclusivamente alle proprie tasche. Ma sicuramente ha anche centrato un punto. Tutti noi ci troviamo in una sorta di terra nullius, o meglio, in acque sconosciute, quando si parla di come la Cina si afferma come un vero stato sovrano che cerca di proiettare al mondo un’immagine di buona governance che si adatti alla propria cultura e alla propria storia in modi che molti di noi trovano problematici.

 

Ma noi non ci aspettiamo che tutti i giocatori, GM o altri dipendenti debbano necessariamente intervenire su simili questioni negli Stati Uniti, anche se quando lo fanno tendiamo a radunarci intorno a loro. Mentre giocatori e non dovrebbero probabilmente essere guardati con sospetto quando sembrano sostenere preoccupazioni economiche personali a spese della miseria altrui, non dovremmo neanche aspettarci che l’attivismo sia la preoccupazione di default di gente che lotta per fare il proprio lavoro e per sostenere questioni più immanenti. E né dovremmo dire agli altri quali dovrebbero essere queste questioni.

 

Allo stesso tempo, il fatto che le restrizioni sulla libertà di parola volute dalla Cina stiano superando i loro confini domestici è qualcosa di veramente preoccupante. Argomento che non andrebbe liquidato con superficialità. E le persone e/o organizzazioni che si oppongono al modo in cui la Cina tratta i propri cittadini non dovrebbero essere dissuase dal parlare a sostegno del dissenso interno alla politica cinese, quando si traduce in proteste su larga scala o perdita di libertà, cultura o vite umane.

 

Se da un lato tutti abbiamo forse bisogno di rafforzare il nostro impegno con il concetto antropologico di relatività culturale per evitare che i nostri pregiudizi culturali violino i diritti altrui, possiamo comunque tracciare linee di demarcazione basate su esempi estremi di privazione o precarietà causati da governi autoritari o da incredibile incompetenza. Ma dobbiamo anche fare attenzione a non proiettare il nostro disappunto per la politica interna su altri paesi, e rispettare il modo in cui gli individui – e le leghe private – gestiscono tutte queste questioni caso per caso; e con la quantità enorme di investimenti in ballo nel mercato cinese come pietra angolare dei piani di espansione globale della Lega, questi argomenti rimarranno ancora per i prossimi anni terreni estremamente pericolosi.

 

L’NBA ha tre delle sue sette accademie internazionali di sviluppo in Cina (una molta vicina ai quei preoccupanti campi di “rieducazione” cui accennavamo prima), fa giocare là diverse partite durante la Preseason, trasmette a un pubblico più grande di quello americano e sostiene contratti pubblicitari tra singoli giocatori e aziende cinesi. Molti atleti, inoltre, decidono di trascorrere del tempo nella Chinese Basketball Association, soprattutto all’inizio o alla fine della loro carriera, o quando il loro livello non è più all’altezza dell’NBA.

 

Un altro punto da considerare è che mettere pressioni sulla Lega perché punisca individui troppo schietti e espliciti probabilmente potrebbe attirare ancora di più l’attenzione su alcune di queste situazioni spiacevoli e avere un impatto negativo sulla reputazione mondiale della Cina, andando così a danneggiare le opere di soft power in corso.

 

Le potenziali perdite economiche o la riduzione della presenza in loco dell’NBA non sono piccoli problemi per entrambe le parti (la Lega si troverebbe di fronte a una riduzione del cap, con perdite di entrate che danneggerebbero il valore delle squadre e i futuri salari, per esempio). Con piani di espansione in Africa, un’altra regione con un rapporto discutibile (seppur spiegabile) con la democrazia occidentale e i suoi valori, questo è ben lungi dall’essere l’unico potenziale problema per la Lega nei prossimi anni.

 

Se siete venuti qui in cerca di soluzioni a questo problema, non le troverete. Ma quello che troverete è un invito a una riflessione più attenta e misurata, che tenga conto e cerchi di dare un senso a queste visioni contrastanti del mondo. Visioni con le quali si spera di poter trovare il modo di andare avanti senza che ci siano ripercussioni economiche e conflitti.

 

E, più importante di ogni altra cosa, visioni che ci permettano di plasmare il nostro futuro senza che sia richiesto di mettere in gabbia chi la pensa differentemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questo articolo, scritto da Justin Quinn per Double Clutch e tradotto in italiano da Luca Losa per Around the Game, è stato pubblicato in data 21 ottobre 2019.