Tucker, Porzingis, Drummond, Griffin, Vucevic, Lowry. Meno di un mese dal gong delle trattative: vediamo quali buzz seguire e quali lasciare perdere.
FOTO: Orlando Magic Daily
Avete presente le finte di blocco? Non servono solo sul parquet, anzi. I GM dell’NBA ne usano anche di più, è la norma per fuorviare le concorrenti. Si è parlato tanto di Kristaps Porzingis e di Andre Drummond, per dirne due e diametralmente opposti, ma c’è molto altro.
Vediamole una ad una, e la più suggestiva ce la teniamo per la fine.
L’oggetto del desiderio: PJ Tucker
Premesso che fa sempre un certo effetto pensarlo a Montegranaro, dove certo non aveva quei minuti da centro trovati con coach D’Antoni, PJ Tucker è senza dubbio il più desiderato dalle contender, tradizionalmente in questo periodo alla ricerca dell’upgrade, che tra qualche mese sperano di rivendere come intuizione decisiva.
Houston – com’è normale, era quanto meno ottimistico pensare di cambiare completamente staff e core e rimanere competitvi a Ovest – ha interesse a non perdere il 35enne a zero a fine stagione; mentre, secondo Wojnarowski di ESPN, Nets, Heat, Lakers e Bucks hanno tutte espresso interesse.
La relazione con James Harden farebbe pensare ad un discorso ben avviato, ma visto proprio quante picks i Rockets hanno incassato in cambio del #13, è più probabile che cerchino un giocatore di rotazione.
In ogni caso, possiamo dare praticamente per certo che anche Tucker – un altro simbolo dell’era Morey-D’Antoni – a breve saluterà Houston.
Porz NON è in uscita
Si deve partire dal presupposto che lo stint di Kristaps Porzingis in Texas non è un campione affidabile, per mera mancanza di tempo. Ed è vero anche che, per quanto l’hanno pagato, i Mavs non avevano davvero nulla da perdere col lettone, per quanto i flash degli anni newyorkesi sembrino ancora lontani.
Certo, non è lui l’unico problema per coach Carlisle al momento: tra infortuni e protocolli-Covid, la continuità è stata una sconosciuta.
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Stando più strettamente sul #6, storicamente è difficile che i lunghi con gravi infortuni alle gambe abbiano carriere lunghe e prolifiche: Dallas spera in un esito diverso in questo senso, per confermare quindi di avere in casa il secondo violino di Luka Doncic; più difficile invece credere che il front office texano sperasse di risolvere con lui i propri – importanti e non nuovi – problemi difensivi. Piuttosto, è lecito aspettarsi un addizione in questo senso, con ogni probabilità indirizzato sotto le plance.
Porz, comunque, non è in uscita.
Andre Drummond: è finito il tempo della penombra?
Non se l’aspettava, Andre Drummond, il comunicato della dirigenza di Cleveland: “no longer planning to play him” fino alla deadline. Per quanto il prodotto di Connecticut non avesse particolari intenzioni di lasciare l’Ohio, questo scenario era in realtà abbastanza prevedibile dopo l’acquisizione di Jarrett Allen nell’affare-Harden.
Secondo vari insiders del lago, ci sarebbero circa 10 squadre interessate all’attuale leader di rimbalzi per gara, il quale però percepisce 28.8 milioni di dollari annui: prezzo inarrivabile almeno per le due candidate principali, Raptors e Mavericks.
Potrebbe quindi giocare un ruolo decisivo la volontà di Andre, che in 10 stagioni – otto a Detroit e due a Cleveland – raramente ha provato l’ebbrezza di un record positivo, figurarsi dei Playoffs.
Meno numeri, meno dollari, più riflettori? Il buyout esiste per questo.
Dalla copertina al “peggior contratto della lega”: salvate il soldato Blake
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36 milioni quest’anno, 39 il prossimo. Ad oggi, 12 punti col 36.5% al tiro e 5 rimbalzi di media. 32 anni. Come spesso succede sulle rive del Lake Michigan, qualcosa di grosso non torna.
Per porre rimedio, subito dopo aver scambiato Derrick Rose a New York, il front office della Motor City ha preso la decisione di far sedere Blake Griffin fino a nuovo avviso. Un executive anonimo ha poi rivelato a Bleacher Report che stanno cercando di scambiarlo da mesi, senza trovare – a ragion veduta – nessun acquirente.
Le storie di rinascite ultimamente non mancano: Westbrook sta tornando sui suoi livelli persino nel disastro societario dei Wizards, mentre sembrano non essere passati due anni di inattività per John Wall.
Per Griffin, un buyout sembra inevitabile. Più difficile capire dove e come potremo assistere a quella del fu cittadino numero due di Lob City.
Danny Ainge: upgrade obbligato
Che i Boston Celtics non sarebbero stati brillanti come ci avevano abituati negli ultimi anni, era intuibile.
Hayward, per quanto spesso indisponibile, non è che lo sostituisci con Jeff Teague e Tristan Thompson. Anzi, Stevens crede di non aver neanche completamente risolto il problema second unit, con l’ex Hawks e lo spostamento di Daniel Theis. Il record non è positivo, e un executive anonimo ha detto a Bleacher Report che “non vede come Ainge possa non muoversi” in questo mese.
Certo, ci sono due All-Star, Jayson Tatum e Jaylen Brown, ma in attesa della – potenziale? – crescita di Robert Williams, né Theis né Thompson sembrano dare fiducia in ottica Playoffs. Sembra passato un secolo da quando si temevano tutte quelle picks verdi, dall’entusiasmo per le firme di Horford e Irving. Situazione diametralmente opposta, e davvero non è facile capirne i motivi.
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Sarebbe un’ottima idea, anche considerando che il front office del Massachusetts ha a disposizione una Trade Exception da $28.5M, puntare Nikola Vucevic. Il problema è che lui non sembra essere intenzionato a salutare Disneyworld, come Orlando non ha alcuna fretta di privarsi di lui.
Nella narrativa generale – visto che i Magic tra due stagioni saranno in debito solo con quattro giocatori, tra cui gli inattivi per quest’anno Markelle Fultz e Jonathan Isaac – e visto che il tempo nel limbo dei quasi-Playoffs inizia a rasentare la decade, sembrerebbe tutto apparecchiato. Così non è, e viste anche le poche contropartite tecniche in mano ad Ainge, questa sembra destinata a restare un’idea.
Un’idea, come quella di puntare Thaddeus Young dei Bulls, in una mossa à la Spurs – ma c’è un motivo se certe cose si fanno solo sull’Alamo – che sarebbe più una pezza. Tuttavia il veterano da Georgia Tech sembra tornato ai suoi migliori anni nell’Indiana, dando un’enorme mano a Zach LaVine nel tenere i Bulls a galla per dei Playoffs che mancano da quattro anni. Questo, unito alla ferma intenzione – a parole e nei fatti – di Arturas Karnisovas e Billy Donovan di puntare sul player development, fa pensare che nessuno dei due si muoverà. Ma se per il nativo di Seattle si vocifera addirittura di un’estensione, per il secondo invece sarebbe difficile dire di no a un prospetto di qualità o una pick in lottery. Ma non di meno, sempre che non si voglia parlare del contratto in scadenza di Otto Porter Jr.
Con un occhio in entrata, invece molto vigile, sulla questione Lonzo Ball, per rimanere su Chicago. Tolto qualche sprazzo positivo, l’esperimento playmaker su Coby White sembrerebbe non portare lontano, e più di una squadra dovrebbe tenere d’occhio la pick numero 7 di due anni fa.
Nostalgia della Cheesesteak: Kyle Lowry e Philly
Non è un mistero che Daryl Morey e i 76ers abbiano ancora delle fiches sul tavolo, dopo aver chiuso secondi solo al river per James Harden.
E considerando che è stato cambiato praticamente tutto tranne il core in campo, e che comunque l’ex OKC se lo sono ritrovato ad Est, per coronare l’ottima partenza e la stagione finora da MVP di Joel Embiid, un add potrebbe essere l’idea giusta. Chi meglio di Kyle Lowry?
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Pedigree vincente da veterano – 34 anni e un anello – con comunque una rispettabile solidità fisica, grande capacità di creare dal perimetro, esattamente ciò che manca sotto la Liberty Bell, dove l’attuale play dei Raptors è cresciuto.
Una storia molto bella e tecnicamente perfetta, se non fosse che per quanto in scadenza il contratto di Lowry prevede ancora parecchi milioni. Ma con Morey nel mix, la blockbuster trade è sempre dietro l’angolo.