I key factor dei Sixers in attesa della serie che si disputerà al primo turno contro i Toronto Raptors.

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Per il quinto anno consecutivo i Philadelphia 76ers si qualificano ai Playoffs, eguagliando così la striscia 1998-2003, culminata nelle famose Finals del 2001, quelle di The Step, nel corso delle quali un commovente Allen Iverson cercò di avere ragione, invano, della corazzata gialloviola.

L’aggiunta di Harden, in sostituzione dell’escluso Simmons, ha riavvolto le lancette dell’hype per Philly, riportando la squadra a quella sensazione di trovarsi ad un passo dalla soluzione di quel puzzle corrispondente al vincere l’anello che in Pennsylvania si respirava nel 2019, quando solo un tiro assurdo di Kawhi sentenziò la squadra di Brown dopo un fatale balletto sul ferro.

A stagione regolare finita, i Philadelphia 76ers non sono riusciti a replicare il primo seed dello scorso anno, essendosi classificati quarti, ma conservano le ambizioni di finale di Conference per quanto, fatta la tara allo sport diverso che risultano essere i Playoffs e alle cose che vanno e non vanno nella squadra, il rischio di non passare il collo di bottiglia delle semifinali è tutt’altro che trascurabile. Ci vorrà la miglior versione possibile di questi particolari Sixers per migliorare il risultato dello scorso anno, cercando di assurgere al ruolo di contender, liberandosi al contempo della scomoda etichetta di pretender.

La squadra affidata a Doc Rivers nelle ultime 4 gare contro Bucks, Nets, Suns e Celtics ha subito un passivo totale di 89 punti, e anche nelle due partite più tirate, quelle contro Phoenix e Milwaukee, non ha mai dato la sensazione di avere la reale possibilità di vincere, come se nella testa della squadra la sconfitta, ad un certo punto, fosse diventata l’unica possibilità.

Questo dato non deve allarmare, visto che qualunque serie comincia 0-0 indipendentemente dalla partite precedenti, ma certamente deve essere una leva per lavorare sulla testa dei giocatori, che nelle serie di Playoffs più tirate può fare la differenza tra proseguire il cammino o interromperlo. Questi Sixers hanno probabilmente il 10% di chances di vincere questo titolo (il 2%, secondo qualche odds machine) e, per massimizzarle, necessitano di ottimizzare gli elementi che funzionano meglio, oltre a nascondere, se non risolvere, le criticità.


Andiamo a vedere più da vicino quali siano tutti questi elementi che compongono il viatico con il quale la città dell’Amore fraterno si affaccia alla post-season.

EMBEARD

ll co-starring di Joel Embiid e James Harden funziona benissimo. Harden segna 1.07 punti per possesso in isolamento, viaggia col 60.1% di True Shooting da quando è ai Sixers e rende i suoi migliori servigi giocando a scacchi con le difese avversarie, senza cercare ossessivamente di andare in lunetta, dato che la gravity gigantesca di Embiid consente sempre ad un giocatore del suo talento di trovare un tiro efficace o di distribuire un assist per una conclusione comoda.

Certamente non è più l’uomo da “quarantello” stabile, ma è sempre un mega creator d’élite, in grado di guidare l’attacco per intere gare grazie alla sue doti di facilitatore e al suo notevolissimo QI cestistico.

Dal canto suo Joel continua ad essere un fattore su entrambi i lati del campo, nonché il miglior two-way center della lega, tanto da rendere Philly la settima difesa NBA con lui in campo e la ventiseiesima con lui fuori. È anche stato ottimo nel lasciare ad una star del livello di Harden lo spazio e i compiti di cui necessita, restando rilevante nella corsa all’MVP mettendo su numeri esaltanti, uniti ad una salute finalmente accettabile.

Joel EmbiidPre-TradePost-Trade
Catch&shoot Freq.%17.019.0
Catch&shoot eFG%51.057.6
Pull-up Freq.%39.931.8
Pull-up eFG%46.938.0
<10 piedi Freq.%35.644.5
<10 piedi eFG%63.365.8
Most passes toMaxey (33.7%)Harden (43.1%)
Most passes fromMaxey (33.7%) Harden (37.4%)
Embiid ha diminuito notevolmente l’uso del pull-up, aumentando molto la quantità dei tiri dentro l’area. I suoi tocchi nel pitturato sono passati da 4.4 a 7.1, un bel salto rispetto alla norma.

Non solo ha giocato 68 partite quest’anno, il massimo da quando è in NBA, ma ha anche postato 13 prestazioni da almeno 40 punti e 10 rimbalzi, quarta volta che un giocatore ci riesce negli ultimi 50 anni. Questo ne fa il primo centro da Moses Malone (1981/82) a segnare 30, o più, punti di media, ma il primo a farlo in meno di 40 minuti a partita.

Joel è, come forse non mai, il barometro della squadra e l’uomo che fa la differenza. Quando tenta almeno 13 tiri liberi a gara, i Sixers sono 20-7 (74% di vittorie); con almeno 35 punti segnati, il record è 18-4 (82%); quando posta almeno 5 assist, Philly è 19-7 (73%).

Matisse Thybulle

Il ragazzo è la nuova ancora difensiva dei Sixers e, se avesse il minutaggio che merita invece dei 25.5 minuti a sera ai quali è relegato, probabilmente sarebbe già in corsa per il DPOY: basti pensare che, tra le 196 partite disputate in carriera, Tisse ha registrato almeno 1 rubata e 1 stoppata in ben 91. Dal 25 febbraio scorso, giorno della trade per Harden, ad oggi, Matisse Thybulle è il giocatore di rotazione dei Philadelphia 76ers col miglior net rating, la terza miglior True Shooting% e il quinto per percentuale da tre punti. Il suo impatto è evidente anche nei numeri di squadra:

I quintetti con Thybulle e Harden viaggiano ad un ottimo 122.5 di offensive rating, che scende a 121.0 senza il prodotto di Washington, con un net rating di -1.3 (44° percentile), enorme regressione rispetto al +18.7 nelle lineup con Tisse.

Purtroppo il più atletico e miglior difensore sugli esterni della squadra, a causa delle sue posizioni sul vaccino, non potrà essere impiegato nelle trasferte canadesi della serie contro i Toronto Raptors, e questo chiamerà Doc a degli aggiustamenti importanti. Quello che ha mostrato i flash difensivi più interessanti tra gli esterni è sicuramente Joe ma, data la scarsissima fiducia che Rivers ripone nei giovani, vedremo in campo per lunghissimi minuti Danny Green, che non è più il difensore di un tempo e potrebbe patire l’atletismo della squadra di Nurse.

Tyrese Maxey

Il sophomore in due anni di NBA ha già vissuto tre vite: quella del rookie che si deve formare, quella della point guard titolare con la palla in mano di un team con un disperato bisogno di restare rilevante e ora quella della shooting guard che deve far sempre più propria l’arte del gioco off the ball.

La cosa spettacolare è che Tyrese Maxey non ha ancora fatto male in una sola di queste sue vite. Nella sua terza era cestistica, Maxey tira col 42.7% da tre punti, e sembra trovarsi particolarmente a proprio agio dagli angoli, dove esegue da destra col 57.5% e da sinistra col 57.9%. Il giovane continua a non essere un difensore di livello, ma questa sua incredibile duttilità ha permesso alla squadra di sopperire alla pesantissima perdita di Seth Curry, senza infognare troppo lo spacing già non eccellente di questa squadra.

Doc Rivers ha il dovere di sistemare le criticità più evidenti di questa squadra, anche se il fatto che si ostini ad insistere nello schierare la salma di DeAndre Jordan e quella di Paul Millsap (vedasi il disastroso matchup con Giannis nella partita persa contro i Bucks) in luogo dei rampanti Bassey e Reed non sembra rivelarsi una scelta con troppo diritto di cittadinanza in ottica Playoffs.

La speranza è che, se ancora qualcosa è rimasto nel suo serbatoio di allenatore, lo tiri fuori ora, producendo gli aggiustamenti che servono per dare ai Sixers la possibilità di giocarsi il proprio 10% di chances di titolo.

Panchina

La panchina dei Philadelphia 76ers, anche quest’anno, è un buco nero che assorbe giusti minuti senza produrre alcunché, classificandosi ventinovesima in minuti giocati e ventottesima sia in tiri tentati, sia in punti per partita (27.2). La distribuzione del talento, totalmente sbilanciata tra quintetto e second unit, già di per sé non aiuta le performance della panchina, ma senza dubbio lo scarso utilizzo concede anche poche possibilità di provarci ai propri componenti.

Furkan Korkmaz (aka Point Furk) o Shake Milton sembrano le migliori opzioni per portate palla in second unit con Joel in campo, assieme a Maxey schierato sempre da guardia, suo ruolo nativo, e quindi con minori responsabilità di playmaking e maggiori da scorer.

Un’alternativa che si è vista e sembra interessante è una second unit con Embiid seduto e guidata da Tobias Harris, data la sua capacità di utilizzare il pick&roll con Jordan efficacemente. Ovviamente, questo dovrebbe limitare l’utilizzo del centro veterano in altri quintetti in favore di un più atletico Paul Reed, che ben si sposerebbe con Harden, ricalibrandone l’interpretazione ma, per il momento, questa soluzione non si è vista troppo.

Ad ogni modo, Harris in quintetto con Embiid e Harden deve essere un spacer, calcando spesso gli angoli ed evitando di fermare anch’egli la palla, mentre con Jordan e Maxey deve assumere il ruolo di facilitatore più che di playmaker.

Alla luce dei numeri difensivi insostenibili che presentano, ai Playoffs non sarà spendibile una lineup con Niang, Harris e Harden contemporaneamente in campo, dato che i tre sono fra i peggiori terzetti delle lega nella specialità, con 121.6 punti concessi ogni 100 possessi, per un mediocre quinto percentile. È evidente che, con tre difensori estremamente negativi sul parquet ai Playoffs non si può stare nemmeno se hai due DPOY caliber a completare la formazione – forse uno, vista la vicenda di Thybulle.

Una particolare attenzione andrà data alle lineup che schierino uno solo tra Embiid e Harden: in quelle col camerunense, è bene circondarlo di tiratori come nella prima versione di quest’anno di Philly, costringendolo a riprendere la buona abitudine di servire frequentemente i compagni aperti, un po’ persa da quando è atterrato il Barba; in quelle con Harden, la soluzione più sostenibile è circondarlo di atleti (e qui potrebbe recitare una parte importante Isaiah Joe, che è anche un buon tiratore) che ne possano compensare la poca esplosività, traendo al contempo il massimo vantaggio possibile dalla sua capacità di manipolare le difese.

Flow e ball sharing

I Philadelphia 76ers sono 8-0 in partite con 30 o più assist di squadra. Il dato indica chiaramente la necessità che ha questo organico di condividere la palla, ma il fatto che questa cosa sia accaduta solo 8 volte in stagione (bottom 10 in NBA) è un campanello d’allarme che un coaching staff attivo dovrebbe considerare e correggere, soprattutto in vista di sfide impegnative come lo è stata quella con i Bucks. La squadra allenata da coach Budenholzer ha cambiato su tutti i pick&roll, accettando di creare dei mismatch favorevoli che poche volte sono stati premiati con gli assist corretti.

In partite tirate la capacità e l’abitudine ad effettuare il passaggio giusto assumono alla lunga un peso rilevante, e sarà dunque cruciale interiorizzare in breve tempo questo concetto, rinunciando ad una buona dose di hero ball. La statistica a supporto di questa idea è che, dal 2010/11, solo gli Heat del 2012 erano sotto al quindicesimo posto nella classifica degli assist per 100 possessi, e ben 5 degli ultimi 11 campioni guidavano la lega in questa statistica. Mai come oggi è importante condividere la palla e non far inchiodare il flow dell’attacco.

L’anello manca ormai dal 1983, e questo deve essere l’anno della consacrazione a contender per una squadra che ha scelto di legarsi mani e piedi al prime di Embiid, sperando che la cosa paghi dividendi. Ad un tifoso in attesa di questi Playoffs, non resta che chiudere con un sonoro “Go Sixers!”.