Questo contenuto è tratto da un articolo di Tyler King per The Gazette, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.
Per quanto mostrato sul parquet e fuori, probabilmente al momento non esiste un miglior showman di Jamal Murray in quel di Denver, Colorado. Non solo perché le sue espressioni facciali hanno spesso riassunto al meglio le situazioni avvenute sul campo di gioco ai Denver Nuggets, ma anche per le risposte che Jamal ha costantemente dato ai media nel post-game, e per il suo allineamento con lo stato d’animo di un’intera tifoseria.
Ma, forse per qualcosa di simile al contrappasso dantesco, il suo discorso alla fine della parata celebrativa dei Nuggets è durato meno di un minuto. In compenso, la t-shirt che indossava parlava forte e chiaro. Ormai non ci si può più riferire a lui come Playoff Murray o Finals Murray: adesso è Champion Murray.
Ce l’abbiamo fatta. Tutti voi ce l’avete fatta. Tutti voi mi avete dato forza ed energia e noi l’abbiamo restituita a voi. We Champs for life!
Jamal Murray (Civic Center Park, parata celebrativa)
Dopo la fine di gara 5, decisiva per la conquista del Larry O’Brian Trophy, il primo nella storia della franchigia, Murray ha definitivamente detto addio al suo ultimo, tanto amato nickname Bubble Murray.
Deve essersi trattato di un periodo carico di emozioni per lui, dopo tutto quello che ha passato, dopo aver mandato a referto più di 26 punti, 7 assist e 6 rimbalzi a partita nel corso di questi Playoffs. Ed ecco alcuni frangenti che dipingono al meglio le sensazioni ed emozioni provate, ed allo stesso tempo trasmesse, da Jamal nel corso della storica notte di gara 5:
A fine partita, col tabellone fisso sul 94-89 per i Nuggets e il cronometro a zero, hanno avuto inizio i festeggiamenti. Ma non prima di un commosso commento ad ESPN da parte del canadese:
Per me è tutto così surreale. Tutto ciò che abbiamo affrontato mi ha colpito in prima persona: il percorso fatto, i momenti di festa e gioia ma anche quelli difficili, pensando specialmente alla riabilitazione post infortunio o quando ero piccolo e facevo parte degli spettatori, mentre adesso sono qui, dall’altra parte della telecamera.
Jamal Murray
Il nativo di Kitchener, Canada, ha messo in atto tanti progressi sin da quando ha messo piede a Denver. Si è presentato come settima scelta al Draft 2016, diventando col tempo una presenza fissa in starting lineup, poi uno scorer elitario con l’apice nel corso della bubble di Orlando… poi, l’infortunio. Lesione al legamento crociato anteriore, giunta in un momento importante nella sua carriera, che lo ha costretto a stare fuori dai giochi per la maggior parte degli appena trascorsi 18 mesi.
Osservando la sua Regular Season, la sensazione è che il suo ritorno sia stato graduale, fino a tornare nelle migliori condizioni nei Playoffs.
Nella prima partita contro Utah ho toccato palla cinque volte nel pitturato. Mi sono sentito perso, e non mi ero mai sentito così in campo, fino a quel momento. Avevo paura ad attaccare il pitturato, avevo paura di atterrare male dopo il salto e persino di sfiorare gli avversari. Dove sono adesso, osservando il quadro completo, è tutto ciò che potessi desiderare. Ed è davvero qualcosa di speciale per me.
Jamal Murray
Adesso c’è solo un’altra voce sulla lista da spuntare per Jamal. Fresco di titolo NBA e protagonista di una post-season che lo ha consacrato tra le migliori guardie della lega, merita di certo la prima apparizione all’All-Star Game e la prima nomina in un All-NBA Team. Per “Champion Murray”, comunque, è solo l’inizio:
Posso ancora dare molto negli anni a venire. Possiamo ripetere tutto questo, non siamo sazi.
Jamal Murray