
“Mentre il calendario procede verso agosto e la maggior parte delle manovre dedicate ai roster sono alle spalle, dopo l’NBA Draft e le prime settimane di Free Agency, la calura di questa offseason ha raggiunto il suo apice. Ma il futuro ancora incerto di Kevin Durant continua a incombere su tutta la lega. La NBA non dorme mai.”
Questo l’incipit romanzesco e romanzato dell’ultimissimo Inside Pass di Shams Charania su The Athletic, proposto con l’intento di rimarcare il fatto che, mentre tutto il mondo NBA si prende una pausa – GM e dirigenti inclusi, è destino che tutti i fan, soprattutto quelli dei Boston Celtics e dei Brooklyn Nets, non possano neppure godersi un languido momento di pace estiva.
E, se si parla di una superstar come Kevin Durant, è anche piuttosto comprensibile. Nonostante questi siano i giorni più caldi dell’estate (finora), è giusto però raffreddare un minimo gli animi.
L’ipotesi di Brian Windhorst su Arizona Sports è molto plausibile, dato che si tratta di un periodo piuttosto insolito per delle contrattazioni, per non parlare dell’orario a cui è uscita la “Woj Bomb” di ieri, circa alle 2.30 di notte secondo il fuso a cui fa capo l’insider di ESPN.
“Non credo che i Nets siano coinvolti in trattative per una trade ad ora. So che la notizia è sulla bocca di tutti perché è uscita oggi, ma queste non sono trattative recenti. […] Ora come ora il punto di vista dei Nets è che, se non riuscissero a raggiungere il prezzo sperato, proveranno ad affrontare la tempesta. Potrebbero iniziare la stagione con Durant o potrebbe essere una posizione per negoziare.”
Questo non serve assolutamente ad escludere a priori che un patto prima o poi possa avvenire fra le parti, ma a spostare più l’attenzione sul poi piuttosto che sul prima. L’approccio a qualunque trade che riguardi Kevin Durant, uno di quei 5 o 6 giocatori dal valore non negoziabile attualmente presenti in NBA, richiede molta pazienza, anche se si parla di un’acquirente ben organizzata come Boston. L’approccio a qualunque trade per KD richiede un ABC.
A, come Asset
Ogni volta che si parla di uno scambio per una superstar tutto si riduce al tipo di pacchetto che possa essere assemblato e agli asset a disposizione della squadra che acquista. Nel caso di Boston, come spiegato QUI, il materiale a disposizione è tanto:
I Celtics spiccano tra i team interessati per il trade package che sarebbero in grado di proporre. “Considerano Jayson Tatum fuori da qualsiasi discussione, ma hanno la possibilità di costruire per Durant un pacchetto che comprenda Jaylen Brown, e fino a tre prime scelte non protette al Draft (2025, 2027, 2029) e due pick swap (2024, 2026).”
– dal nostro approfondimento
Come prevedibile, le richieste dei Nets continueranno ad essere esorbitanti, e i Celtics hanno a disposizione la mole gargantuesca di Draft capital che Sean Marks chiederà da affiancare alla superstar offerta come contropartita. Ovviamente, a seguito di una prima offerta di Boston, riportata da Shams Charania, comprensiva di Jaylen Brown, Derrick White e una scelta al Draft, Broklyn ha gentilmente riagganciato la cornetta, non prima di aggiungere alla lista dei desideri anche i nomi di Marcus Smart, altre scelte e un pezzo di rotazione.
Quel che se ne trae è che i Celtics hanno assolutamente, come molte altre squadre, gli asset necessari per arrivare a KD, così come i Nets, dalla loro parte, possono permettersi di tirare al rialzo su qualunque offerta, anche qualora sembrasse spropositata. Questa è una conseguenza, in primis, del quadriennale a cui è soggetto Durant; in secondo luogo, del tipo di mercato impostato dalla trade di Minnesota per Rudy Gobert e, in misura minore, da quella di Dejounte Murray ad Atlanta, le quali hanno elevato gli standard, soprattutto in termini di scelte future, per arrivare anche solo a All-Star di tier differenti da quello di KD.
Certi fattori, in unione al fatto che uno scenario come questo è senza precedenti, fanno sì che sia difficile immaginare un accordo nel breve periodo ma, allo stesso tempo, non permettono di escludere in via definitiva una eventuale trade, dato che il prezzo è sì esorbitante, ma è comunque quello lecito da chiedere per KD.
Una situazione che fa scuotere la testa, e non solo a chi ne parla dall’esterno.
B, come Boston
Dato che di Durant e della posizione dei Nets di fronte ad un eventuale scambio si discute da settimane, è necessario parlare di Boston. Spulciando qua e là sui vari social è evidente come il sentimento comune riguardi, prima di tutto, la passata stagione. Questa squadra ha disputato le NBA Finals, ha battuto colossi come gli stessi Nets, i Bucks di Giannis o gli Heat di Butler. Vale la pena pensare di sconvolgere un nucleo così competitivo e promettente per accedere ad un solo giocatore? Se la si analizza prendendo in considerazione solo questa domanda, e se quel giocatore è KD, assolutamente sì.
Il motivo alla base di questo riguarda, intanto, l’aggiunta di Malcolm Brogdon, innesto che renderebbe la partenza di White non troppo – e quella di Smart un po’ meno – pesante. Con l’ex Pacers è arrivato un playmaker più classico, in grado di spaziare il campo e muoversi senza palla, mettere pressione al ferro e, soprattutto, leggere gli eventuali vantaggi creati da compagni come i Tatum e i Brown/Durant del caso. Uno dei mille motivi per cui, ad esempio, Derrick White si è rivelato estremamente utile riguarda la sua capacità di leggere i drive&kick e le linee di passaggio sugli aiuti avversari, specialmente in seguito al vantaggio creato dai Jays, spesso coordinata alla capacità di rilocarsi con i tempi giusti off ball. Con Brogdon, quello che ne dovrebbe derivare è un upgrade costruito su questa stessa falsariga.
Detto questo, impiantare Kevin Durant in un roster già ricco di ali, dove il suo carico difensivo possa essere ridotto e le sue doti di scoring, soprattutto off ball, inserite in un sistema che già così non si serve – un po’ per assenza, un po’ per conseguente impostazione – di una creation on ball di alto livello e del playmaking che ne deriva, sarebbe un upgrade clamoroso rispetto a Brown – che in confronto a KD fa anche molta più fatica dal palleggio, fra le altre cose.
Questo nucleo “full wing”, se così si può definire, non potrebbe che beneficiare dell’aggiunta di un attaccante di questo livello, soprattutto considerata la fatica durante i Playoffs nel generare punti a metà campo quando i tiri non entravano o qualora i difetti di creation per gli altri (ma non solo) di Tatum e Brown venissero esposti, senza menzionare i problemi nel contribuire con continuità off ball del primo e quelli nell’incidere on ball del secondo.
Anche ponendo che l’offerta, senza scervellarsi troppo su fanta-trade difficili da immaginare in questo scenario così particolare, di Jaylen Brown e Marcus Smart (coordinati a scelte) trovi un assenso dall’altra parte, Boston non ne uscirebbe troppo accorciata, e verrebbe immediatamente scagliata sulla vetta assoluta delle contender. Senza considerare che, nella prossima stagione, i Nets di turno potrebbero avere un Ben Simmons in più, i Bucks un Middleton risanato, i Sixers sia Embiid, sia Harden a pieno servizio e Miami qualche innesto dall’offseason (Donovan Mitchell?).
Questo, però, senza considerare la variabile umana.
C, come Core
Che quello che riguarda strettamente il core sia l’ultimo punto, e anche quello più conciso, non è un caso. Per core nel nostro particolarissimo contesto si intende il nucleo, a livello di materiale umano, su cui si fonda il gruppo, e quello dei Celtics è sembrato ben coeso lo scorso anno, e soprattutto costruito dall’interno.
Jaylen Brown, Jayson Tatum, Marcus Smart, Grant Williams, Robert Williams III sono tutti tasselli fondamentali della run della passata stagione, tutti made in Boston e molto radicati in un ambiente così complesso come quello del Pride. Costruito un equilibrio – e qui si può ragionare sia in termini di sistema, sia in termini di spogliatoio – che ha portato alle NBA Finals, è davvero complesso immaginare di disallineare gli estremi della bilancia sacrificando uno (o più) dei capisaldi a disposizione.
Tra l’altro, pensando in maniera molto più diretta e razionale, valutando quello che ne possa derivare in termini di tempo. I Celtics sono una contender già così, e mirano ad esserlo con o senza Durant. Durant che, a sua volta, vuole giocare per competere. Per avere l’opportunità di creare un connubio solido e remunerativo, le due parti non potranno procrastinare troppo le trattative come, per fare un esempio vicino ai Brooklyn, accaduto con Harden e Philadelphia la passata stagione. Pena, la certezza quasi tassativa di non creare un’integrazione nel sistema (tattico e non) di Ime Udoka e, di conseguenza, il mandare molto probabilmente in fumo una stagione per mirare a consolidarsi in quella successiva – con tutte le variabili del caso, come il malumore per il sacrificio non pagato di un giocatore come Brown, l’ulteriore usura di un KD già 34enne e così via.
Per questo motivo, è evidente come la deadline (riportata anche da Shams Charania) sia quella del Training Camp, con data approssimativa al 26 settembre. Se si dovrà fare un affare, è molto probabile che non si possa slittare oltre quella data, ed è molto probabile che l’esito delle trattative tra i Boston Celtics e Kevin Durant dipenda anche (e molto) da questo.