Nonostante i tanti infortuni e le problematiche legate al COVID accorse durante la stagione, gli Heat sono attualmente al primo posto della Eastern Conference. Quali sono i loro punti di forza e di debolezza in vista dei Playoffs?
Ci stiamo avvicinando a grandi passi allo sprint finale della stagione regolare ed i Miami Heat, grazie ai movimenti di mercato effettuati in estate, sono riusciti a creare un perfetto mix tra giovani di talento ed esperti veterani, che gli sta permettendo di andare alla ricerca del seed numero uno ad est.
I PUNTI DI FORZA DEGLI HEAT: NON SOLO DIFESA
Gran parte del merito di questa ottima annata di Miami va attribuito a coach Erik Spoelstra e a Pat Riley, presidente della franchigia. Sono infatti loro ad aver costruito, nel corso degli anni, un sistema di squadra ben organizzato, che ha permesso agli Heat di non soffrire più di tanto le assenze dei big come Adebayo, Butler, Lowry e il lungodegente Oladipo nel corso della stagione, sostituendoli con giocatori formatisi negli anni precedenti in G League, che sono riusciti ad avere un impatto notevole – oltre che inaspettato. Alcuni esempi eclatanti sono quelli di Gabe Vincent, Max Strus, Omer Yurtseven e, last but not least, Caleb Martin, firmato dopo il taglio da parte degli Hornets – in questa stagione con un two-way, poi convertito in un rest of the season contract.
Tutti questi elementi si sono inseriti perfettamente negli schemi offensivi e difensivi di Spoelstra, ritagliandosi così un ruolo da protagonisti per diverse settimane, in attesa che rientrassero le stars. Inoltre, la loro presenza a roster permette ora a Spoelstra di allungare le rotazioni e di poter contare su più giocatori sia per queste ultime partite di regular season che, in caso di necessità, per i Playoffs.
Games (minutes-per-game) | 2019/20 | 2020/21 | 2021/22 |
Gabe Vincent | 9 G / G League | 50 G (13.1 mpg) | 58 G (24.4 mpg) |
Max Strus | 2 G / G League | 39 G (13 mpg) | 54 G (23.1 mpg) |
Omer Yurtseven | / | G League | 48 G (13.0 mpg) |
Caleb Martin | 18 G / G League | 53 G (15.4 mpg) | 52 G (22.8 mpg) |
Un altro fattore di fondamentale importanza per la stagione degli Heat è Tyler Herro, a tutti gli effetti il favorito al premio di sesto uomo dell’anno. Il prodotto di Kentucky sta viaggiando ad una media di 20.7 punti a partita, ai quali aggiunge 3.9 assist, tirando con il 38.4% da tre punti su quasi sette tentativi a partita, con uno usage del 29.1% (94° percentile nel suo ruolo) e giocando quasi 33 minuti di media a partita (massimo in carriera).
Herro è uscito dalla panchina in 44 delle 54 partite giocate fin qui in stagione, consacrandosi come vero e proprio leader e scorer della second unit, facendo anche intravedere spunti interessanti come passatore e creator per i compagni, assistendo il 20.3% dei tiri realizzati da quest’ultimi.
Herro gets blitzed here and rather than making a mistake or even just a simple pass out, manages to quickly find Dedmon as his man was still covering him pic.twitter.com/xph3J1AELy
— John Jablonka (@JohnJablonka_) March 2, 2022
La costanza di queste letture, qualora venisse traslata in un contesto Playoffs, farà tutta la differenza del mondo. Il numero di palle perse è ancora lontano dallo stabilizzarsi positivamente (12.3 Turnover%, 41° percentile), ma in generale la produzione offensiva di squadra sembra beneficiare molto della sua presenza in campo rispetto alla passata stagione. Se fino all’anno scorso il numero 14 degli Heat aveva un on/off decisamente negativo (-3.2 punti per 100 possessi in meno), quest’anno la situazione è completamente differente, registrando un inaspettato +4.6 (82° percentile) che lascia ben sperare in termini di prospettive future, soprattutto per i Playoffs.
A Jimmy Herro PnR, Herro quickly attacks and goes into a pull up but his reaction to this was great
— John Jablonka (@JohnJablonka_) March 2, 2022
Realises that Lavine is way off Caleb in the corner and that pass out seems so smooth pic.twitter.com/s5vWYUbq0Q
Il vero punto di forza di Miami è però la difesa. In estate Pat Riley, ad un roster che già vantava la presenza di difensori del calibro di Adebayo e Butler, ha aggiunto PJ Tucker e Kyle Lowry, due veri e propri “mastini” di grande esperienza. Grazie anche a questi innesti, gli Heat hanno oggi il quinto miglior defensive rating della lega (108.1) e sono la terza per possessi avversari terminati con una palla persa (15.7%).
L’arma spesso utilizzata da Spoelstra è la difesa a zona, che può variare da una 2-3 (quella proposta maggiormente) ad una 1-3-1, che il più delle volte manda completamente in tilt gli attacchi avversari, non abituati a doverla affrontare. Con l’utilizzo della zona, Miami è anche riuscita a nascondere le lacune difensive di alcuni dei suoi giocatori più importanti in attacco, come Herro e Duncan Robinson, permettendo loro di stare in campo senza essere sistematicamente attaccati in uno-contro-uno ad ogni possesso difensivo. I benefici della zona sono evidenti, tant’è che Miami è una delle migliori squadre della lega a difesa schierata – la sesta, concedendo 91.2 punti ogni 100 possessi giocati a metà campo.
Se questa sembra, fino ad ora, l’arma letale dei Miami Heat, l’ancora di salvezza in situazioni di difficoltà, a fare la differenza è un’altra caratteristica: la versatilità. Non scopriamo certo oggi il sistema difensivo di Erik Spoelstra, ma con questi interpreti in particolare la difesa di Miami è sembrata ancora più blindata. Le aggiunte sopracitate hanno trasformato una macchina già ben oliata in una forza motrice inarrestabile.
Oltre ai classici blitz e raddoppi, che gli Heat si possono permettere di applicare con costanza sia su megacreator à-la-Doncic, sia su centri dominanti dal post come Embiid, quel che stupisce è la capacità di adattamento, di produrre dei counter efficaci, indistintamente, e a seconda dell’attacco avversario. In un recente pezzo di Couper Moorhead, creatore di contenuti a tema Miami Heat, sono emersi alcuni dati incredibili sulla gara del 3 marzo vinta contro Brooklyn:
Dalla gara del 15 dicembre contro i Philadelphia 76ers, durante la quale gli Heat si sono serviti della zona per 47 possessi, Miami ha usato la zona per più di 20 possessi in una sola occasione. In un back-to-back contro Brooklyn, con un Kevin Durant reduce dall’infortunio, i Miami Heat hanno usato la zona in 34 possessi, il dato maggiore in stagione dopo quello contro i Sixers, concedendo 0.97 punti-per-possesso. Dal primo al secondo tempo – momento in cui la zona è stata applicata maggiormente – i punti prodotti quando la palla è passata dalle mani di Durant sono scesi da 1.57 a 0.54.
(Couper Moorhead)
Sorprendente, giusto? Ma non è tutto. Quel che davvero lascia attoniti è come, meno di una settimana dopo, la squadra della Florida sia stata capace di adattarsi immediatamente ad un altro avversario di livello, i Phoenix Suns, servendosi della drop coverage al massimo stagionale.
L’ancora difensiva di questo sistema è Bam Adebayo. Quest’ultimo, pur reduce da un infortunio, è fra i lunghi più versatili dell’intera lega, capace di cambiare su guardie e ali con ottimi risultati. Attualmente, Bam è ai massimi in carriera per frequenza di accoppiamenti con le guardie avversarie, che mantiene a percentuali tutt’altro che positive.
Matchups | Frequency | FG% | 3PT% |
Guards | 25.8% | 37.9 | 25.8 |
Forwards | 43.2% | 43.1 | 25.8 |
Centers | 31.1% | 54.4 | 30.0 |
Contro Adebayo gli avversari hanno un peggioramento del 5.1% nella Field Goal%, il quinto dato migliore della lega fra i lunghi con almeno 10 possessi di media difesi a partita, dietro solo a grandi difensori come Rudy Gobert, Jaren Jackson Jr., Jarrett Allen e Robert Williams III. La sua incredibile mobilità gli consente di cambiare su tutto e tutti, rischiando forse di trovarsi un po’ sotto contro centri un po’ fisici. In ogni caso, nel sistema di Miami, tutto questo non è un problema, dal momento che – come visto – si possono alternare continuamente sistemi drop coverage a blitz sul portatore, facendo in modo di evitare il più possibile il mismatch. E, anche in questo caso, state sicuri che arriverebbe comunque un qualche counter, che sia una rotazione perfetta dal lato debole o un raddoppio sull’avversario in post.
Coach Spoelstra lo ha definito come The Matrix, ironizzando sul suo essere in due o tre posti contemporaneamente. E, viste le prestazioni, non sembra del tutto fuori luogo come affermazione.
L’ATTACCO DEGLI HEAT: BENE MA NON BENISSIMO
L’attacco di Miami in questa regular season si sta dimostrando piuttosto affidabile, anche se non a livello della difesa e con qualche limite piuttosto evidente. Gli Heat hanno l’ottavo offensive rating della lega (113.5) e, grazie a tiratori del calibro di Herro, Robinson o Strus, è la miglior squadra da tre punti in NBA con un buonissimo 38.3%.
Se Miami si esalta attaccando in transizione – soprattutto dopo aver preso un rimbalzo difensivo, 1° in NBA in punti-per-possesso – lo stesso non si può dire di quando si trova ad attaccare a difesa schierata. In queste situazioni la squadra di Spoelstra appare spesso in difficoltà e la fase offensiva risulta a tratti stagnante. Miami produce infatti solo 96.5 punti ogni cento possessi giocati a metà campo (11° in NBA), a differenza dei 132.9 di quando si trova ad attaccare in transizione (2° in NBA). L’assenza di giocatori importanti nel corso della stagione ha messo maggiormente in evidenza questo punto debole degli Heat, che quando si sono trovati a non poter contare sul contributo di giocatori come Tyler Herro o Kyle Lowry hanno visto peggiorare il loro fatturato offensivo, nonché la qualità dei propri attacchi.
L’ex-Raptors ha infatti un impatto fondamentale sulla squadra con i suoi 12.9 punti e 7.9 assist di media a gara, con un calo nell’offensive rating di squadra da 112.8 a 111.3 senza di lui, il più pesante fra i “Big” di Miami. Non si parla certo di cifre stratosferiche, ma avere un trattatore di palla d’esperienza come Lowry aiuta – seppur non al punto da renderla fluida – la costruzione della manovra e, soprattutto, contribuisce all’eccellenza delle letture in transizione.
Nonostante i rientri dello stesso Lowry, di Adebayo e di Butler, gli Heat continuano a trovare difficoltà nell’attaccare a difesa schierata e questo in ottica Playoffs potrebbe essere un problema da non sottovalutare. Un aiuto potrebbe arrivare da Victor Oladipo, che nella partita casalinga contro gli Houston Rockets ha fatto il suo rientro in campo dopo 8 mesi di stop a causa di una seconda operazione al tendine del quadricipite della gamba destra. Naturalmente è ancora presto per valutare, e le aspettative non sono certo delle migliori, ma avere un Dipo al 50% in post-season è comunque un buon lusso per allungare le rotazioni e far rifiatare chi avrà tanto palla in mano come Herro, Lowry o Butler. A tal proposito, è giusto spendere due parole su quella che è la underdog star per eccellenza della lega – e sul suo ruolo offensivo.
Da sempre Jimmy Butler è una delle star più sottovalutate a causa del suo stile di gioco meno appariscente rispetto agli altri big NBA, anche se non per questo meno efficace. Giocatore molto duro e difficile da affrontare, Butler ha portato in tutte le squadre in cui ha militato grande energia e una mentalità vincente, trovando in Florida l’ambiente perfetto per lui.
Quest’anno Jimmy Buckets ha saltato ben 21 partite finora, durante le quali Miami ha avuto comunque un record positivo di 13-8, che però nulla rivela di quello che è l’apporto del giocatore. In attacco, nonostante il soprannome “buckets”, Butler è diventato nel corso degli anni sempre più un facilitatore che uno scorer vero e proprio. Lo stesso prodotto di Marquette ha rilasciato queste dichiarazioni in una recente intervista per New York Times:
Butler in stagione, con una tendenza statistica maturata nei suoi anni a Miami, sta infatti assistendo il 27.3% dei tiri realizzati dai compagni (99° percentile nel suo ruolo), con un eccellente 0.96 di assist rate in relazione allo usage rate (92° percentile). Questo aggiunge molto in termini di servizio alla squadra, ma toglie anche da qualche altra parte. Nonostante resti il miglior realizzatore di Miami con i suoi 21.4 punti di media, infatti, Butler sta tirando con il 48.2 di effective field goal%, molto al di sotto della media della lega. L’efficienza, per spezzare una lancia a suo favore, non è mai stata il piatto forte offerto dalla casa. Ma, allora, come può produrre così? Diciamo che si è arrangiato in altri modi.
Butler va in lunetta 8.1 volte di media a gara, terzo miglior dato in carriera, convertendo con un ottimo 87.1% ai liberi, career-high. In generale, da quando è a Miami, la quantità dei falli subiti per tentativo non è mai scesa sotto il 20%, facendo in modo che, nonostante una bassa efficienza, la sua True Shooting% non regredisse mai sotto le medie di lega.
2019/20 | 2020/21 | 2021/22 | |
eFG% | 47.4 | 51.4 | 48.3 |
League eFG% | 52.9 | 53.8 | 52.8 |
TS% | 58.5 | 60.7 | 58.1 |
League TS% | 56.5 | 57.2 | 56.2 |
Il fatto di aver accettato il ruolo di facilitatore, unito a questa capacità di andare tanto in lunetta con questo miglioramento percentuale, è un incredibile indice di maturità, andato maturando negli anni a Miami, che ha permesso a Butler di consacrarsi definitivamente come un giocatore completo e determinante.
Grazie a questa formula, con il quarto miglior record della lega e il primo posto nella Eastern Conference, i Miami Heat stanno mandando un messaggio a tutta l’NBA: per la corsa al titolo ci sono anche loro.