
A cura di: Leonardo Pellecchia
Poche carriere NBA hanno lasciato ai posteri ricordi tanto dolci quanto quella di Jason Williams. E chi se ne dimentica, di “White Chocolate”?
Il percorso di Jason Williams inizia a Belle, un piccolo paesino del West Virginia, Stato allora travolto dalle tensioni razziali. Sin da piccolissimo Jason frequenta il campetto locale, allenandosi da solo giorno e notte, abituandosi a sfidare ragazzi più alti e grossi di lui. Si dice che fosse l’unico ragazzino bianco a giocare a basket da quelle parti, gli altri non riuscivano a tenere i ritmi dei più grandi.
Proprio in quei pomeriggi di tre-contro-tre, nasce la stretta amicizia con Randy Moss, destinata a durare nel tempo. I due entreranno insieme alla DuPont High School nel 1991, giocando sia a basket che a football: Jason come playmaker e quarterback, Randy invece da ala e wide receiver. Con lui avvengono le prime prove tecniche della signature move di Jason: passaggio dietro la schiena per Randy e canestro. I percorsi dei due ragazzi, però, a un certo punto si devono dividere. Randy sceglie di giocare a football, e diventerà una delle star della NFL; Jason invece continua con il basket, in cui sembra riuscire piuttosto bene, dominando all’high school e avviando il suo percorso – non convenzionale – al college.
La sua prima scelta è Providence, ma dopo poco cambia idea per trasferirsi a Marshall, dove incontra coach Billy Donovan (sì, quel Billy Donovan). Nel 1996 però, l’allenatore decide di trasferirsi in Florida ad allenare i Gators, venendo subito seguito da Jason Williams. Peccato che tra le regole della NCAA ce ne sia una che vieta a un giocatore di giocare l’intera stagione successiva al cambio di ateneo: gli tocca essere paziente e aspettare, ed è una lunga attesa.
Fatto ritorno in campo, nel suo ultimo anno sotto la guida di coach Donovan, Jason diventa un candidato credibile per le primissime scelte dell’NBA Draft 1998. Molti tifosi NBA hanno già messo gli occhi di lui, e su quel suo modo di giocare che non può passare inosservato, né lasciare indifferenti.
Il grande momento sta per arrivare, ma tre giorni prima del Draft succede quello che non doveva succedere. Jason viene fermato in possesso di marijuana (prima delle tre volte durante la sua carriera) e questo fa crescere lo scetticismo e scendere seriamente le sue quotazioni.
Alla fine, dovrà aspettare “fino alla” settima scelta: sono i Sacramento Kings di Chris Webber a chiamarlo. La storia può avere inizio, e che storia. È in proprio in California, infatti, che verrà forgiato il suo soprannome, White Chocolate. “White” perché era bianco, ovviamente; “Chocolate”, beh, per il suo stile di gioco, così dolce e raffinato.
Al primo anno, Jason conferma quanto aveva messo in mostra in uscita dal college, e cioè di essere tra i migliori prospetti in circolazione. Nella sua prima partita contro gli Spurs ne segna 20, e nella sua prima gara in casa, contro i Grizzlies di Mike Bibby (scelta numero 3 di quello stesso Draft), la standing ovation del pubblico di Sacramento a fine partita è tutta per lui. I tifosi sono subito rapiti dal suo modo di trattare e passare la palla, e sognano, elettrizzati per il potenziale del numero 55.
Uno dei momenti più iconici della sua carriera arriva molto presto, nella partita tra rookie e sophomore dell’All-Star Game 1999, in cui brevetta l’elbow pass, probabilmente la sua giocata più riconoscibile. E sicuramente più emulata nei campetti di tutto il mondo. Finta di passaggio dietro la schiena a destra, palla deviata a sinistra dal suo stesso gomito, dritta nelle mani di Raef Lafrentz (che sbaglia, subendo il fallo, probabilmente colto di sorpresa anche lui dal passaggio).
Alla fine il sogno dei tifosi di Sacramento sembra compiersi e Williams diventa parte integrante di quei Kings, che in poco tempo conquistano i cuori dei propri tifosi, e non solo. Nel 2000/01 diventano, secondo Sports Illustrated, “the biggest show on the court”, ed è difficile dar loro torto; come è difficile negare il contributo – anche in termini estetici, certo – di White Chocolate in quello show.
Con il suo numero 55, diventa uno dei cestisti più amati dell’NBA e sicuramente il preferito di quelli di Sacramento, ma la sua permanenza in California è destinata a durare ancora poco. Al termine di quella stessa stagione, conclusa con l’uscita dai Playoffs al secondo turno (sweep subito dai Lakers), Williams viene infatti ceduto a Memphis in cambio di Mike Bibby.
Nel Tennessee resterà quattro anni, poi i Celtics gli offrono un posto da sesto uomo in una contender. La squadra di Paul Pierce, Kevin Garnett e Ray Allen, un’occasione che non puoi rifiutare, eppure Jason di fare il sesto uomo non ne ha intenzione. La proposta non lo convince, e alla fine rifiuta. Sarà ben più a sud di Boston, a Miami, che troverà qualcosa di davvero adatto a lui. E una squadra con cui, per la prima volta, dare seriamente la caccia al titolo.
Nel 2005 White Chocolate aveva comprato una villa in Florida, memore dei suoi trascorsi al college da quelle parti. Leggende raccontano che mentre sedeva tranquillo nella sua veranda, un giorno vide affacciarsi dalla villa accanto un uomo nero, enorme. Era Shaquille O’Neal. Lo stesso Shaq che convincerà la dirigenza degli Heat che Williams avrebbe potuto essere l’uomo giusto da aggiungere alla squadra sua e di Dwyane Wade. E così, durante quell’estate Williams viene coinvolto nella più grande trade di sempre in NBA (per numero di giocatori coinvolti, ben 13) e trasferisce i suoi talenti a South Beach.
Da point guard titolare e terza opzione offensiva della squadra (dietro Wade e Shaq), Jason ha l’occasione di essere protagonista in una squadra con chances di titolo. Anzi, nella squadra che vincerà il titolo.
Il momento più alto della sua post-season è Gara 6 contro i Detroit Pistons, con Miami avanti 3-2. A tre minuti dalla fine del quarto periodo sul suo tabellino ci sono 21 punti, 6 assist e 10/10 dal campo. Sì, non c’è errore: 10/10 dal campo. La partita perfetta, in una closeout game per assicurarsi un posto alle NBA Finals.
Nel garbage time sporca il tabellino sbagliando due tiri e chiudendo con 10/12, ma poco importa: per lui è e rimarrà per sempre il momento più indimenticabile di quella corsa al titolo. Il ricordo più dolce. White Chocolate.
Gli anni seguenti sono quelli del progressivo declino, verso il tramonto della sua carriera. Molteplici infortuni lo fanno ritirare una prima volta nel 2008, ma Jason sente dopo pochi mesi di avere ancora qualcosa da dare sul campo. Ancora dei chilometri da percorrere, e soprattutto della gente da far divertire.
Torna a giocare tre stagioni, prima con Orlando e poi con Memphis, prima di ritirarsi definitivamente nel 2011.
Quasi dieci anni dopo, nel 2020, racconterà di “essersi annoiato a morte” negli anni dopo l’addio al basket. D’altronde, non deve essere semplice divertire chi era abituato a essere “the biggest show on the court”…