FOTO: Liberty Ballers

Questo contenuto è tratto da un articolo di Jesse Washington per Andscape, tradotto in italiano da Marco Barone per Around the Game.



L’era dal Player Empowerment è la miglior cosa mai capitata ai giocatori professionisti dalla pionieristica free agency di Curt Flood. La versione NBA ha avuto inizio con LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh, con il superteam dei Miami Heat nel 2010, frenando una narrativa basata sullo sfruttamento secondo cui lo scambio dei giocatori da parte dei proprietari fosse un buon affare, una trade forzata dai giocatori, invece, puro egoismo. Gli atleti che cercano di tenere testa ai proprietari? Lo accetto. Ma adesso, dannazione, James Harden sta assegnando una cattiva fama la libertà dei giocatori.

Qualora vi foste persi qualche episodio di questa sega: The Beard è contrattualmente legato ai Philadelphia 76ers, la squadra nella quale è voluto andare dopo aver forzato una trade dai Brooklyn Nets, dove era arrivata forzando a sua volta uno scambio da Houston. Nessuno sa cosa succederà, nonostante il suo ritorno ad allenarsi, perché adesso Harden vorrebbe andare ai Los Angeles Clippers, potenzialmente la sua quarta squadra in tre anni.

Tra mancata ammissione nel volo e assenza per il condizionamento, non è ancora chiaro quando (se) avverrà il suo debutto in maglio Sixers nella stagione 2023/24. E soprattutto, qualora dovesse accadere, scenderà in campo come se avesse appena ingerito un triplo cheeseburger? Non si impegnerà? Queste sono state le sue strategie a Houston. Si siederà con un “infortunio” alla gamba pensando “non sono fatto per questo”? Questo è quello che è successo a Brooklyn.

James Harden ha tutto il diritto di lasciare la propria squadra se questo è ciò che vuole e che è capace di fare. E solo perché tutto non è filato liscio a Brooklyn e Philadelphia, non vuol dire che non andrà meglio a LA. I proprietari possono fare cattive scelte, i giocatori altrettanto. Ma il modo in cui il Barba sta usando la propria influenza, e le ragioni per cui lo sta facendo, riportano in auge una vecchia narrativa del giocatore egoista e privilegiato. Proprio il genere di scuse che i proprietari cercano per provare a far compiere passi indietro alla libertà dei giocatori per la quale si è lottato per generazioni.

Che se ne renda conto o meno, Harden ha una responsabilità nei confronti di quegli atleti neri che hanno fatto in modo che la sua vita di un certo tenore fosse possibile. La storia delle battaglie per la determinazione personale combattute da personalità del calibro di Flood, Muhammad Ali, Jim Brown, Oscar Robertson, Serena e Venus Williams richiedono alle superstar di oggi di muoversi con integrità e con uno scopo, non con autoindulgenza.

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Così per Damian Lillard, che ha forzato lo scambio da Portland in estate. Non è stato capace di raggiungere la propria destinazione preferita, Miami, ma avrà una grossa opportunità di vincere il titolo con Giannis Antetokounmpo e i Bucks. Invece di chiamare “bugiardo” il proprio GM o di dichiarare che un “problema personale” lo stesse tenendo lontano dalla squadra, Lillard è andato ad allenarsi quotidianamente in palestra fin da subito. Ha rappresentato con rispetto la Player Empowerment Era.

Vorrei che James Harden almeno fosse onesto e dicesse di volersi ribellare perché il general manager dei 76ers Daryl Morey non gli ha concesso un’estensione al massimo salariale, qualcosa intorno a $250 milioni in cinque anni o simili (che sarebbe bella pesante). Nella testa di Harden, apparentemente, Morey gli ha fatto quella promessa quando il giocatore ha accettato di prendere qualche soldo in meno facendo spazio alla firma di alcuni role player nell’anno precedente. Ma, invece di essere diretto, The Beard ha detto di volersi ritirare da Sixers ma che “il front office non aveva questo nei suoi piani. Perciò, è totalmente fuori dal mio controllo.”.

Quello che è fuori dal controllo di Harden è il suo senso del privilegio. Quello che ha avuto inizio a Houston, dove Morey era GM e i Rockets hanno fatto di tutto, ritardando sessioni in sala video e aeroplani, per farlo felice. Questo privilegio è cresciuto quando ha forzato lo scambio a Brooklyn e ha detto dei suoi compagni, in uscita dai Rockets, che “non erano abbastanza buoni”. Si è fatto ancora più grande quando Morey, che nel frattempo è diventato GM di Philly, ha mosso mari e monti – e Ben Simmons – per portare Harden ai Sixers.

Il duo composto da lui e Joel Embiid ha creato aspettative da titolo, ma il Barba ai Playoffs ha avuto problemi di infortuni e a tratti è scomparso come usuale, poi ha spinto via Doc Rivers dalla porta. Adesso se la prende perché la squadra non ha intenzione di pagare un 34enne con un’etica del lavoro discutibile $50 milioni l’anno? E perché non hanno trovato una trade appetibile? Ce ne vuole per farmi fare il tifo per un miliardario di Wall Strett della Ivy League, ma se il proprietario dei Sixers Josh Harris dovesse aver bisogno di una spalla su cui piangere, ci sarei.

Altre stelle NBA hanno usato il loro potere in modo diverso. James e Bosh condividevano i tempi della free agency e hanno incluso Dwyane Wade nei loro piani. Gran parte del risentimento nei loro confronti derivava dal fatto che tre atleti neri avessero lavorato insieme per manipolare un sistema designato per controllarli.

Anthony Davis ha alzato la posta. Aveva più di un anno di contratto rimasto rimasto nel 2019 quando il suo agente, Rich Paul, ha detto ai New Orleans Pelicans che il cliente non avrebbe ri-firmato con loro, perciò, se avessero voluto ottenere qualcosa in cambio, avrebbero dovuto scambiarlo. Paul ha anche comunicato a buona parte della NBA che, se avessero fatto offerte per AD, non avrebbe ri-firmato nemmeno con loro. La squadra che la superstar voleva a lungo termine erano i Los Angeles Lakers – per i quali James (altro cliente di Paul) si era appena ritrovato a giocare. Qualcosa senza precedenti, e ha funzionato, tanto da portare a un titolo nel 2020.

Ma Paul non ha finito lì. Nel 2021, il suo cliente Ben Simmons era al primo anno di un quadriennale al massimo salariale con Philadelphia quando (per come la vedo io) si è bloccato ai Playoffs, poi si è ferito per come la squadra ha reagito. Stando a Paul, l’esperienza di Simmons ha portato a un problema di salute mentale che lo avrebbe reso incapace di giocare a Philadelphia nel frattempo. Il giocatore non ha più indossato la canotta dei Sixers e è stato finalmente scambiato nel 2021 – per James Harden. Una stella viziata, secondo la mia opinione, per un’altra.

Ognuno merita libertà, non si sa mai cosa potrebbe farci. Harden e Simmons l’hanno usata per coccolarsi, Davis e Lillard per contendere per il titolo. Giocatori di college e AAU stanno provando una libertà di scelta senza precedenti in termini di possibili mete in cui giocare, alcuni ne abusano, altri la usano per prendersi ciò che si meritano, che si tratti di soldi o migliori opportunità.

Non funziona sempre bene, dubito che lo faccia per James Harden. Le sue buffonate stanno macchiando una tradizione dignitosa di emancipazione degli atleti neri. Ma se oggi è questo il prezzo della libertà, forse lo posso accettare.