I trade rumors a LA non si fermano mai: nemmeno se, oramai, non ci sono più asset per cambiare le cose.
Non è una novità: i Los Angeles Lakers si sono scelti la loro sorte ormai diverso tempo fa. Smantellare una squadra competitiva e ben assortita per arrivare a un giocatore da massimo salariale è, nella NBA del 2022, un suicidio sportivo. Soprattutto se quel giocatore è così poco scalabile e complementare al contesto in cui vuoi inserirlo, come Russell Westbrook.
Quest’ultimo, si sa, è entrato nel mirino fin da subito, forse ancora prima che iniziasse la valanga di rumors che sta travolgendo da ormai un anno la sponda giallo-viola della City of Angels. È così, dunque, che si è partiti con i trade package più assurdi, fantomatici affari che hanno sempre un punto in comune: avvantaggiare i Lakers, nella maniera più inverosimile possibile. Si è parlato di John Wall come se fosse un upgrade, di Gordon Hayward e Terry Rozier in un momento in cui il trade value di Russ era sotto lo 0, e ancora, più di recente, di Josh Richardson, Doug McDermott, Bradley Beal, Myles Turner, Buddy Hield e chi più ne ha, più ne metta.
La realtà, per quanto scomoda, è che nulla di tutto questo è, né sarà mai, realistico, non senza sacrificare pure l’ultima fetta di futuro rimasta. Nella NBA di oggi, anche se ti chiami Los Angeles Lakers, non te la cavi facilmente se rottami il tuo presente e il tuo futuro investendo su un singolo elemento che crolla al ribasso. Non funziona così.
Ed è anche per questo che i giallo-viola sono in un Limbo da ormai due anni, se vogliamo considerare la stagione 2021 sfortunata a causa dei problemi fisici di Anthony Davis e LeBron James. Un Limbo la cui unica via di fuga sembrerebbe reggersi su due prime scelte future (2027 e 2029), un fantomatico antidoto per gli errori passati, un telecomando che possa cambiare la stagione con un click. Ma, ancora, non funziona così.
Quel Limbo si regge proprio su quelle due prime scelte. Perché? Perché i Lakers, semplicemente, non sono così validi da poter sperare in cambio di rotta che li possa portare dal fondo della Lega a un titolo NBA. Magari ai Playoffs, assolutamente sì, ma non a un anello. E questo, per una squadra con un LeBron (quasi) 38enne, appena esteso, e un payroll del genere ($45.4 milioni di luxury tax bill, 6° in NBA) significa, a tutti gli effetti, fallire nei confronti del proprio obiettivo. E da cosa è determinato questo Limbo? Dal pensare di poter cambiare le cose, che spendere quelle due prime scelte future possa cambiare qualcosa rispetto a non spenderle.
I giallo-viola sono ormai sospesi tra:
- un potenziale futuro in cui usano le due prime scelte, combinate a Russell Westbrook, per acquistare due role player e giocarsela ai Playoffs, con chance di titolo pari a poco più di 0, fino alla scadenza di LeBron, per poi ripartire dal nulla più totale – e, forse, Anthony Davis
- un altro potenziale futuro in cui non spendono le due prime scelte, mantengono un roster di basso livello fino alla scadenza di LeBron James e ripartono da 0, o comunque con quello che hanno, qualora le basi (e Davis) fossero buone.
In entrambi i casi, anche senza avere la sfera di cristallo, si capisce come sia ormai complicato uscire da una situazione del genere. E, soprattutto, si capisce il perché Rob Pelinka stia prolungando questo Limbo proprio per non alterare anche uno scenario futuro con due prime scelte tra 2027 e 2029, per quanto lontano possa sembrare.
In questo senso, è comprensibile che si stia facendo fatica nel chiudere un affare per Myles Turner e Buddy Hield, inseguiti per tutta l’estate passando per sentieri fatti di sotterfugi e giochi al ribasso: come riportato da Shams Charania prima, da Chris Haynes (Bleacher Report) poi, la paura è che una trade simile non smuoverebbe di molto quelle chance di titolo in una Western Conference così agguerrita, e con una Eastern Conference ricca di top competitive.
O, ancora, ha perfino meno senso pensare che un trade target spesso corteggiato come Bradley Beal (lui l’obiettivo “segreto”?) si possa raggiungere con uno schiocco di dita, anche qualora diventasse disponibile – e (spoiler) non lo è, stando a Chris Haynes. O, infine, credere che l’idea di scambiare Anthony Davis possa avere una qualche autorità sul piano logico, considerando tutto quello che ci è stato investito e che, se c’è una remotissima sliding door per questa stagione iniziata, sia proprio sorretta da lui. A maggior ragione, altro spoiler, nemmeno AD si muoverà.
Dunque, che fare? Quello che si vuole, ma non c’è via di uscita. L’unica mossa possibile è, qualunque decisione si prenda su quelle due prime scelte, cercare di massimizzare gli investimenti futuri, facendo programmi a lungo termine in base alle scadenze dei contratti pesanti a roster e senza farsi attrarre da colpi di mercato o sub-star insoddisfatte dell’ultimo minuto che possano otturare ulteriormente il già saturo payroll.
Fatto questo, forse (anche, e soprattutto, qualora decidessero di scambiare le scelte) i Lakers potranno ottenere qualche piccola soddisfazione nel presente senza necessariamente desertificare il proprio futuro: magari creando una base solida di role player, coordinati a Davis, e un payroll flessibile che nel post-James possa attrarre qualche free agent interessante. Questo, inteso come creare un progetto dinamico e con una certa attrattiva, va ancora di moda nella NBA contemporanea.
E soprattutto, questo sì, funziona ancora meglio se ti chiami Los Angeles Lakers.