A pochi giorni dalla fine dei Playoffs, proviamo a capire i motivi della negativa stagione di Lillard&Co.
Siamo arrivati a quel periodo dell’anno in cui, alla fine della Regular Season e ad un passo dalla data in cui le cose si faranno serie, è il momento di tirare le somme per (quasi tutti). Tra inaspettati vincitori che, tra le basse aspettative e la nicchia, si godono il loro posto ai Playoffs – vedasi i Kings di Brown, Fox e Sabonis – e chi, tra le buone aspettative e una timeline che prevedeva un all-in necessario, si ritrova a spiegarsi i motivi di un incredibile e totale fallimento. Sì, stiamo parlando dei Portland Trail Blazers.
Perché. checché se ne dica, nessuno, ma proprio nessuno, poteva davvero prevedere una stagione così da parte della squadra dell’Oregon. Partiti con le migliori aspettative (alleghiamo qui l’invecchiata malissimo Preview di inizio stagione) per un roster che sembrava finalmente aver colmato molte delle lacune presenti nelle annate passate e che potesse anche contare su altre “bocche di fuoco”, oltre a quella del suo pluri-All Star.
E invece i risultati parlano chiaro: dopo un inizio molto positivo, i Portland Trail Blazers hanno iniziato un lungo declino, a cui si sono aggiunti vari infortuni dei protagonisti, in primis quello di Damian Lillard e poi, a seguire, anche Anfernee Simons e Jusuf Nurkic sono stati costretti a passare dall’infermeria. Il tutto ha portato a un record più che negativo, culminante nelle parole di Shams Charania, che hanno praticamente sancito la fine della stagione dei Blazers:
Cerchiamo di capire meglio i motivi di questo inaspettato tracollo, cercando di capire se ci sia un qualcuno su cui ricada la maggior parte della responsabilità del fallimento più grande dell’ultimo decennio Blazers.
Era effettivamente un roster competitivo?
Partiamo dalla base: avevamo sbagliato qualche valutazione. A mesi di distanza, l’analisi fatta all’inizio della stagione sul roster sembra ancora abbastanza corretta, ma con degli errori di base che, sommati, hanno fatto una gran differenza. Elencandoli:
- L’assenza di lunghi positivi difensivamente ha inciso troppo
Era un problema noto già in partenza. Se l’inesperienza di Jabari Walker e Trendon Watford non li ha fatti proprio partecipare alle ambigue rotazioni di coach Chauncey Billups (ne parleremo più avanti), l’integrità fisica, si fa per dire, di Nurkic e lo scarso rendimento di Drew Eubanks (molto attivo durante il lungo periodo di assenza di Nurk) ha fatto sì che la loro poca efficacia nelle situazioni dinamiche abbia portato le squadre avversarie a cercare sempre di allontanare il lungo di turno dal canestro.
Questo spiega il 40% dei tiri avversari concessi al ferro, convertiti con il 65% (dato anche più o meno rispettabile), ma anche la pessima difesa che Portland ha mantenuto nell’arco di tutta la stagione, con gli avversari che hanno mantenuto il 38% dall’arco, presumibilmente o per uno switch accettato da uno dei lunghi (che, nel caso di Nurkic, portava a un +3.3% di realizzazione agli avversari nei tiri lontani dal ferro, nel caso di Drew addirittura +4.4%), o per la necessità di coprire con raddoppi un loro errore difensivo.
Insomma, una mancanza che spiega i dati per cui Portland si sia trovata, fino a prima della deadline, ad essere una delle difese meno efficaci della lega, con 118.6 di Defensive Rating (25esimi). Insomma, un ruolo che ha inciso troppo nelle dinamiche difensive, e che non ha aiutato per nulla la costruzione di un sistema difensivo efficiente.
- LIllard out: a chi va il pallone?
Titolo un po’ provocatorio, ma che rende perfettamente il concetto. Senza Lillard, i Portland Trail Blazers, a differenza di come si sarebbe pensato a inizio stagione – quando si parlava dei vari palleggiatori come Simons, il fu Josh Hart e Jerami Grant – non hanno dimostrato una buona efficienza. Sia parlando delle partite in cui Dame non è stato chiamato in causa, sia dei minuti in cui ha dovuto sedersi.
Tralasciando il record di 5-8 nelle partite che non ha presenziato (prima di essere messo fuori rotazione), i Blazers hanno avuto un vero problema per quanto riguarda la loro efficienza a metà campo senza Dame, riscontrabile nel +12.1 Pts/100 Poss. con lui in campo e nel fatto, che senza Lillard, Portland aumenti del 2.0% le palle perse a partita, arrivando a un -0.3% di punti a difesa schierata, prediligendo quindi la transizione come arma principale.
In particolare, non c’è stato l’upgrade in termini di gestione dei possessi da parte di Anfernee Simons, autore comunque di una stagione molto positiva in termini realizzativi, ma che ha messo alla luce tanti problemi per quanto riguarda la creation per i compagni: 10.0 Tov%, 0.72 Ast/USG sono solo alcuni dei brutti numeri di Anfernee in questo senso. Così come Jerami Grant non si è dimostrato in grado di ripetere gli anni a Detroit, in cui aveva fatto vedere di poter riuscire a gestire anche più di qualche possesso, capacità che non è riuscito a traslare in questa stagione in un contesto più competitivo della Motor City.
Quindi, la mancanza di Lillard è stata, ancora una volta, decisiva durante il corso della stagione, e Portland dovrebbe riflettere molto su questo aspetto quando si tratterà di conferme a roster in estate.
Una trade deadline da vinti
Arrivati alla deadline con un record di 27-28, i Trail Blazers erano quasi obbligati a muoversi. La pessima – fino ad allora – stagione di Josh Hart stava iniziando a pesare, e sembrava scontato che l’ex Pelicans e Lakers fosse ai saluti, mentre i Portland Trail Blazers erano annunciati come Number One Contender per nomi di spicco quali Jarred Vanderbilt e OG Anunoby.
Ma sappiamo tutti ciò che è realmente successo. I profili di alto livello hanno preferito altre mete, mentre i Blazers hanno adattato una strategia molto più conservativa, accumulando una prima scelta e quattro seconde scelte future, in aggiunta a Cam Reddish e Matisse Thybulle dalla trade di Josh Hart. Ma andiamo con ordine:
Una trade che poteva avere del senso con un giocatore diverso da Cam Reddish, che va ad infoltire il front court, ma con caratteristiche opposte a ciò che realmente serviva ai Blazers, non portando nessun tipo di skill difensiva importante e una efficienza sufficiente in attacco – che spiega il suo pessimo rendimento in questa parte di stagione. Scambio che si salva sia per la prima scelta non protetta ricevuta per il prossimo Draft, sia per aver capitalizzato bene su Josh Hart, autore di una stagione inspiegabile sotto la guida di Billups.
Forse l’unica trade positiva delle tre. Arriva per nulla (una seconda scelta) una buona ala che, in tutta la carriera, ha sempre inciso difensivamente – nel breve periodo ai Blazers, -9.7 Pts/100 Poss. subiti con lui in campo, 97esimo percentile – e che si ritrova a essere il miglior difensore a roster, addirittura su corpi per cui dovrebbe rappresentare un mismatch. In più, sembra aver affinato qualcosa al tiro e aver preso un po’ di fiducia, trasformando 1.3 tentativi da fuori di media di Philadelphia in 3.9 di queste partite, convertiti con addirittura il 39%. Insomma, una presa che, a posteriori, risulta positiva, aspettando le cifre con cui i Blazers avranno intenzione di rifirmarlo nella prossima offseason.
Il punto più basso della deadline. La miglior firma dell’estate e uno dei giocatori più impattanti delle scorse Finals lascia già l’Oregon, dopo un infortunio di tre mesi e 10 partite giocate – in cui non aveva reso molto bene a causa dei comprensibili problemi fisici. Scelta folle, soprattutto per il pacchetto ricevuto, che comprende scarso Draft capital. Portland ha quindi rinunciato nella stessa deadline ai suoi due migliori difensori sulle ali per non risolvere nessuno dei propri problemi, anzi aggiungendo una lacuna nelle rotazioni che non verrà più colmata col passare delle partite.
Il risultato: la peggior squadra della lega per rendimento post-deadline, dove nemmeno Damian Lillard è riuscito ad evitare un record di 5-17 ad oggi, con la squadra che ha mollato e che pensa già al prossimo Draft.
Billups: promosso o bocciato?
Passiamo all’ultimo punto per descrivere la stagione dei Portland Trail Blazers. Ultimo, ma non meno importante e sicuramente non quello meno dolente. Come detto, le lacune a roster c’erano; ma, nonostante ciò, il materiale per costruire un sistema adatto ad essere uno tra i migliori attacchi e una buona difesa pure. Portland ha navigato nella mediocrità difensiva per quasi tutta la stagione, sebbene all’inizio i buoni risultati venissero colmati da un attacco molto efficiente.
I numeri in questo senso parlano chiaro: 118.6 Defensive Rating (27esimo percentile) e una difesa tra le peggiori della lega per percentuali concesse dall’arco e dal midrange (i motivi li abbiamo chiaramente spiegati prima), uniti alla gestione tremenda di molte lineup e dei finali. Nello specifico:
- le lineup più utilizzate vedevano sempre uno schema fisso: un pallegiatore primario, un facilitatore, uno in grado di giocare da spot -up, un buon rollante, un lungo che occupasse l’area. Il problema si è rivelato la scelta di questi elementi per quanto riguarda soprattutto la propria metà campo, sempre in difficoltà e sempre tra i peggiori percentili per quanto riguarda i possessi difensivi, e la capacità di non adattarsi di Billups è stata decisiva. Basti pensare alla lineup più utilizzata post-deadline, con Lillard-Thybulle-Reddish-Grant, in cui gli schemi erano completamente andati e veniva richiamata una pallacanestro più Lillard-centrica. Qualche altra colpa di Billups può essere stata quella di non aver mai effettuato un cambio di direzione con i tanti minuti concessi a tre piccoli come Dame, Ant e Hart, nonostante le partite diventassero un costante mismatch hunting ad uno di questi tre.
- La gestione scellerata di Nassir Little, passato da punto fermo a una delle ali con meno minuti in tutto il roster, quando lo stesso Billups lo esaltò la passata stagione, mostrando a tutti le sue doti dal palleggio, in spot up e soprattutto sul lato difensivo. Con l’arrivo di Reddish, il conseguente adattamento ricevuto da Little è stato ancora più limitante, preferendo un giocatore che oggettivamente ha presentato più lacune per quanto riguarda l’adattamento al sistema.
- E ancora, l’uso non contemplato dei vari giovani a roster, che presentavano caratteristiche diverse da quelli che venivano utilizzati senza contagocce. Parliamo di gente come Trendon Watford, dimostratosi uno slasher ben superiore alla media del ruolo, considerando che può spendere anche minuti da 5 nel giusto matchup difensivo; Shaedon Sharpe, limitato a spot up shooter e, di conseguenza, anche nella sua crescita, mantenendo infatti un buon rendimento solo quando le sue percentuali erano più che sostenibili (il calo di minutaggio coincide con una stretch negativa al tiro); infine, per dirne altri, non escludiamo Jabari Walker e Keon Johnson. Insomma, tutti elementi che meritavano altri minuti rispetto a chi li ha effettivamente presi. Gente che ha deluso, come Justise Winslow, mai in forma e out già nella prima parte di stagione; Josh Hart, autore della peggior span stagionale in carriera e che ha sofferto troppo in difesa nei mismatch, diventando anche offensivamente limitante dall’arco; e il caso più clamoroso, quello di Ryan Arcidiacono, inserito con tanti minuti dal suo arrivo in deadline e tagliato 10 partite dopo. Tante piccole scelte che hanno inciso nell’arrivo ad un punto di non ritorno nella stagione dei Portland Trail Blazers.
Cosa aspettarsi dal futuro?
Portland ora si ritrova allo stesso punto in cui ci eravamo lasciati un anno fa. Squadra in tanking e che avrà le più alte probabilità per la quinta scelta assoluta, addirittura meglio dell’anno scorso, in cui la scelta più probabile era la sesta (scesa poi alla settima). La piccola differenza è che l’anno scorso era chiaro l’obiettivo di puntare sul Draft, mentre quest’anno sono stati spesi importanti assett per aspirare a dei Playoffs diretti.
Ora il tempo non è molto. Per Lillard, il digiuno da Playoffs comincia a farsi sentire, i giovani non hanno reso e dovranno essere fatte delle scelte importanti già dal prossimo anno, che si aprirà con due importanti pick al Draft (non dimentichiamoci quella dei Knicks) e degli scenari tutti da definire.