Tra le fanta-trade di questi giorni, alcuni hanno ipotizzato un clamoroso ritorno di Durant a Golden State: ecco le tre ragioni per cui è (quasi) impossibile.
Circa una settimana fa usciva la notizia della richiesta di Kevin Durant di essere scambiato. Da allora, le favorite per concludere un accordo sono sempre sembrate i Phoenix Suns e i Toronto Raptors. Tra i rumors però, è spuntata anche l’ipotesi di un incredibile ritorno ai Golden State Warriors.
Le voci per cui i veterani della squadra vincitrice del titolo non sarebbero contrari all’operazione non hanno fatto che amplificare la curiosità intorno a questa clamorosa eventualità.
Tuttavia, i motivi per scartare l’opzione a priori ci sono eccome. Ecco i tre principali
1 – Wiggins e Simmons non possono giocare insieme
Partendo da un ostacolo logistico, da regolamento Andrew Wiggins non può giocare con Ben Simmons. La regola dice che non si possano acquisire via trade più di un giocatore sottoposto a una Designated Rookie Scale Extension – in breve, estensione di 5 anni, anziché i 4 ordinari, ricevuta entrando nell’ultimo anno del Rookie Contract. A marzo, i Nets hanno ottenuto Simmons in uno scambio, e non possono fare lo stesso con Wiggins.
Senza l’inclusione del canadese, immaginare un pacchetto che possa convincere Brooklyn a concludere lo scambio sembra abbastanza irrealistico.
2 – L’ipoteca sul futuro
Per convincere Sean Marks a lasciar andare KD, Golden State dovrebbe verosimilmente mettere sul piatto almeno Jordan Poole e Jonathan Kuminga, accompagnati da una manciata di scelte al primo giro spalmate negli anni a venire.
Poole e Kuminga sono in questo momento i due simboli del progetto degli Warriors: portare avanti due diverse timeline, tra la lotta al titolo presente e la voglia di rimanere competitivi nel tempo. Aggiungendo all’equazione Moses Moody, James Wiseman, i rookie 2023 e le scelte future, con la consapevolezza di avere i veterani giusti per plasmare i nuovi talenti nei primi anni di NBA, le possibilità di rimanere quantomeno nei pressi dei vertici anche al tramonto di Stephen Curry sono concrete (ne abbiamo parlato QUI).
Con un titolo appena vinto e una squadra ancora in grado di andare a caccia del bersaglio grosso nella prossima stagione, vale davvero la pena di buttare tutto il castello alle ortiche per Durant?
KD porterebbe indubbiamente un upgrade nell’immediato ma, con il successo già ottenuto nel recente passato dagli Warriors, il front office deve tenere in considerazione le prospettive nel lungo termine. Con il suo arrivo, tra circa quattro anni (al massimo) Golden State si troverebbe condannata ad un numero indeterminato di stagioni all’insegna della mediocrità.
Il proprietario, Joe Lacob, sembrerebbe essere il primo a essere contrario a uno scenario di questo tipo.
3 – Non sarebbe una vittoria certa
Non esistono vittorie sicure in NBA e nello sport in generale. Anche con a disposizione una squadra nettamente superiore alle concorrenti, ci sono sempre eventuali ostacoli che si possono porre in mezzo alla strada per l’anello. Detto ciò, gli Warriors 2017, poco dopo la firma di Durant, toccarono il livello più vicino possibile di sicurezza di successo.
Quest’anno non sarebbe così. Sono passati 6 anni; Curry, Durant, Thompson e Green hanno tutti oltrepassato da non poco la soglia dei 30 anni. E, con gli asset da spendere per completare la trade, ciò che resterebbe sarebbe un roster senza profondità.
Golden State sarebbe comunque la favorita, grazie a uno star-power di quel tipo, ma basterebbe un piccolo imprevisto (che in determinate condizioni sarebbe anche preventivabile) e il tutto si potrebbe gravemente complicare.
A quel punto, graverebbe ancora maggiormente il peso del fatto di aver ceduto tutta la futuribilità del core, come detto nel punto 2.
Con 4 titoli e 6 NBA Finals giocate negli ultimi 8 anni, i Golden State Warriors non hanno affatto bisogno di un all-in, specie se i rischi sono di questa portata.