I Toronto Raptors hanno cominciato la stagione con buoni propositi e grandi aspettative, ma le cose non stanno andando nella giusta direzione per la franchigia canadese.

I Toronto Raptors dopo la sconfitta con Milwaukee
FOTO: RAPTORS HQ

Se a questo punto della stagione il più grande traguardo dei Toronto Raptors è la vittoria di VanVleet nella sua personalissima battaglia contro l’arbitro Ben Taylor, vuol dire che ci sono problemi molto seri. L’inizio del campionato ha trasmesso buone sensazioni all’ambiente canadese ma poco a poco i risultati, e soprattutto le prestazioni, hanno dovuto dare torto a chi vedeva (me compreso, mea culpa) in Toronto una potenziale spina nel fianco ai Playoffs.

Il quasi totale immobilismo in fase di mercato ha portato ulteriori disagi all’interno della franchigia che dovrà fare presto i conti con i contratti in scadenza di quattro dei suoi pezzi più pregiati: Fred VanVleet e Gary Trent Jr saranno free agent in estate, Pascal Siakam e OG Anunoby il prossimo anno. Masai Ujiri ha pensato che reclutare un giocatore gradito a spogliatoio e pubblico come Jakob Poeltl fosse abbastanza per mettere una pezza ad una barca in procinto di affondare ma, anche qui, l’errore di calcolo è apparso evidente dopo poco tempo.

Le sconfitte pesanti contro squadre ben al di sotto della soglia di sopravvivenza non hanno avuto risposta da parte della squadra, sia in sala stampa che, specialmente, in campo. Nick Nurse non sembra voler fare maggiore affidamento su una panchina già di per sé poco fiduciosa in sé stessa, spremendo i titolari oltremodo ma senza dare particolari svolte tattiche. Nessuno vorrebbe mai trovarsi nella posizione di dover scegliere il tanking come soluzione, ma forse un esame più attento delle effettive possibilità dei Raptors sarebbe stato necessario, sempre per il bene della squadra.

Toronto Raptors 4.0

Il roster con cui Ujiri ha voluto portare avanti la campagna per i Playoffs è il quarto rimaneggiamento dalla vittoria del titolo. Titolo che rimane un grandissimo onore per Toronto e tutto il Canada, certo, ma un passato recente indubbiamente pesante da sostenere con tutte le aspettative che comporta. Sia chiaro, pochi si aspettano di vedere un altro anello in Canada, ma passare dalle alte sfere ai bassifondi è uno sbalzo troppo profondo.

Il core formato da VanVleet e Siakam è croce e delizia di questa squadra: il talento dei due è innegabile, ma la convivenza sembra sempre più forzata; Anunoby pare sempre pronto a fare il salto di qualità, sempre in bilico tra l’essere un role player o un potenziale All-Star, cosa difficile da fare però quando i primi due violini hanno il quasi totale monopolio dei possessi. Scottie Barnes, fresco vincitore del Rookie Of The Year, è più o meno nella stessa situazione, con però meno esperienza e sicuramente meno self confidence.

Poeltl in tutto ciò si trova ad esser visto come il salvatore della patria, il pezzo mancante per far passare i Raptors dalla mediocrità a playoff team. Incolpevolmente, le sue prestazioni non sono sufficienti perché questa visione si avveri, per quanto abbia dato ai canadesi quel rim protector che tanto mancava.

E i sostituti? Trent Jr ha abbracciato il ruolo da sesto uomo di lusso alla perfezione e sembra essere al momento uno dei pochi in grado di garantire un impatto positivo; Christian Koloko, scelto quest’anno al Draft per mettere centimetri sotto canestro, ha fatto la spola tra starting lineup, panchina e G League; Flynn, Banton e Dowtin, tutte giovani promesse, raccolgono i pochi minuti rimasti a disposizione. Ultimo ma non ultimo, Chris Boucher è un role player esemplare per attitudine e utilità, e come Trent Jr ha abbracciato il suo ruolo senza grosse sbavature.

Già, avendo parlato di mercato ho dimenticato un nome: Will Barton, arrivato come potenziale arma offensiva extra a disposizione di Nurse. Giocatore che ha viaggiato a più di 11 punti di media nelle ultime sette stagioni, ma che al momento sta registrando la bellezza di 2.2 punti, 1.4 rimbalzi e 0.9 assist tirando col 25% dal campo e il 19% dall’arco.

Cosa non funziona

Ora, il quadro che esce dalla presentazione del roster è tutto fuorché lusinghiero, ma il problema non si ferma lì. Tante squadre che non vantano nomi altisonanti hanno trovato o stanno trovando il modo di far coesistere profili diversi e costruire un gioco funzionale e potenzialmente vincente, possibilmente dando spazio ai giovani così da avere anche più soluzioni dalla panchina.

I Raptors al momento sfruttano Siakam 37.5 minuti a partita, leader NBA per minutaggio, con VanVleet quarto a stretto giro con 37.06. Se andiamo appena più in giù, troviamo Anunoby quindicesimo (35.75) e fino a poco tempo fa avremmo trovato anche Barnes entro la top-20, ma i piccoli infortuni e il conseguente recupero hanno ridotto il suo utilizzo. Il minutaggio della second unit, esclusi Boucher e Trent Jr, è a malapena oltre i dieci minuti per Flynn, Koloko e Barton.

Tutto ciò esclusivamente per mostrare le difficoltà di Toronto nell’utilizzare e quindi al contempo valorizzare i propri comprimari, creando degli scompensi piuttosto gravi e importanti nella manovra nei momenti chiave della partita.

E veniamo proprio alle partite in sé. I risultati ottenuti fino ad ora sono stati estremamente altalenanti, complici anche gli infortuni a rotazione dei titolarissimi. Questo ovviamente si ricollega al problema precedente: se un giocatore dalla panchina è chiamato a sostituire un titolare e assorbire parte dei suoi minuti, si suppone sia pronto e perfettamente in grado di farlo. Siamo d’accordo che questa è una lega costruita sulle opportunità, ma non è comunque facile trovare la condizione e la fiducia quando generalmente rimani seduto nove volte su dieci.

Delle trentotto sconfitte stagionali, dodici sono arrivate di stretta misura contro squadre con un record peggiore. Che sia per aver sottovalutato gli avversari, che sia per non aver trovato la quadra e aver forzato troppo la giocata sbagliata, quelle dodici sconfitte hanno un peso specifico troppo grande nella corsa ai Playoffs. O nel caso dei Raptors, al Play-In.

Delusione e sconforto, insomma, sono ormai di casa alla Scotiabank Arena, che sta piano piano perdendo quello smalto che tanto spesso ha fatto la differenza. Molti avversari hanno confermato quanto fosse difficile giocare in quella bolgia così atipica per la rinomata cortesia canadese, ma adesso anche i giocatori si accorgono della differenza. Lo stesso VanVleet lo ha confermato:

Quando giochiamo male, l’atmosfera è una me***. Il pubblico e la città diventano il riflesso di quello che facciamo noi in campo. Quando siamo in grado di esprimere il nostro basket cambia tutto, possiamo dare il nostro entusiasmo alla gente sugli spalti. Alle volte va al contrario, il pubblico è molto ansioso.