Quale lezione abbiamo imparato dagli ultimi giorni di mercato NBA e, soprattutto, dalla trade di John Collins tra Hawks e Jazz?

Dopo mesi, anzi anni, di voci di mercato a cui non è mai seguita una concretizzazione, John Collins è stato finalmente scambiato dagli Atlanta Hawks.

Pur anticipata in tutte le salse, la trade (sulla quale trovate tutti i dettagli qui) ha comunque scaturito reazioni di sorpresa, e il motivo è semplice: il prezzo. Dopo una trattativa che immaginiamo estenuante, Danny Ainge e gli Utah Jazz sono riusciti ad acquisire Collins cedendo solamente Rudy Gay e una futura scelta al secondo giro.

Prima Jordan Poole scaricato a Washington, poi Collins sostanzialmente regalato ai Jazz: se solitamente sarebbero necessari tre indizi per fare una prova, in questo caso potrebbero bastarcene due.

Il mercato NBA ci sta dando un segnale molto chiaro, e tutte le altre franchigie sono avvisate. Quando il trade value di un giocatore scende in modo eccessivo, sia per ragioni prestazionali che contrattuali, come nel caso di Collins e Poole, non esiste più modo di trovare uno scambio anche solo vagamente vantaggioso in cui infilarlo.

Se il timore era che la celebre trade di Rudy Gobert potesse finire per bloccare anche questo tipo di operazioni inflazionando il valore dei giocatori, ciò non è successo. Se una franchigia vuole liberarsi di un elemento diventato in qualche modo scomodo, e tutto il resto della lega lo sa, l’unica via per raggiungere l’obiettivo è accettare briciole in cambio.

Non è poi un caso che due trade di questo tipo si siano concretizzate nel giro di qualche giorno. Con l’entrata in vigore imminente del nuovo CBA, che prevede limitazioni sempre più stringenti per le franchigie che vanno oltre il salary cap, i vari front office si vedono costretti ad essere maggiormente disposti a fare enormi sacrifici per sbarazzarsi dei contratti troppo pesanti.

Certo, le situazioni di Collins e Poole erano abbastanza particolari per situazioni ambientali e prestazioni recenti dei due, ma non è difficile immaginare lo svilupparsi di determinate tendenze da ora in avanti nel mercato NBA: meno leggerezza nel concedere contratti lunghi ed onerosi ai giocatori, più leggerezza nel muovere, a costo di ottenere poco o nulla in cambio, quelli già concessi in passato, soprattutto se non c’è la garanzia di poter competere per il titolo nel breve periodo.