Il percorso del tiro da tre punti in NBA, nato come puro elemento di spettacolo e divenuto carburante indispensabile per l’attacco nella pallacanestro moderna.

Quando il pallone lasciò le mani di Jerry Harkness in direzione del canestro a quasi 27 metri di distanza, nessuna delle 2000 persone in piedi sugli spalti del Dallas Coliseum aveva la benché minima idea di come quel tiro avrebbe lasciato un segno nella storia della pallacanestro. Jerry stesso ammise successivamente di aver “lanciato una preghiera” (to throw a hail mary in inglese). 

Quando la sfera a spicchi bianchi, rossi e blu iniziò la discesa da quel lungo volo, il giocatore degli Indiana Pacers si rese conto che con un pizzico di fortuna avrebbe potuto regalare l’overtime alla sua squadra, in svantaggio di due punti. La palla rimbalzò sul tabellone ed entrò nel canestro: prima ci fu il silenzio dell’incredulità; erano tutti in attesa della decisione degli arbitri che dovevano consultarsi sull’effettiva validità del canestro. Poi ci furono le grida di gioia dei tifosi, e i sospiri di sollievo dei giocatori di Indiana mentre si preparavano per il tempo supplementare.

In tutto quel trambusto nessuno si era accorto che gli ufficiali di gara, oltre ad aver confermato l’avvenuto miracolo prima della sirena di fine partita, avevano alzato tre dita al cielo. Non stavano invocando la trinità, ma segnalando il valore di punti ottenuti dal tiro stesso: tre punti che avevano di fatto regalato la vittoria ai Pacers. Com’è possibile che in quel momento nessuno si fosse accorto di una cosa che diamo tutti per scontata?


Va considerato che il “momento” in questione avvenne il 13 novembre 1967, pochi mesi dopo l’introduzione ufficiale del tiro da tre punti nel regolamento della pionieristica American Basketball Association. Come avete forse avuto già modo di sapere, la ABA era la lega rivale della NBA che, per pochi folgoranti anni (1967 – 1976), trasformò la pallacanestro da sport a show, guadagnandosi l’amore dei tifosi e il disprezzo di numerosi “addetti ai lavori” che la reputavano un circo.

Eppure, molte delle iniziative intraprese dalla ABA per regalare spettacolo (la gara delle schiacciate, le cheerleader, il pallone a strisce USA e l’introduzione del tiro da tre punti) finirono per essere le carte vincenti del futuro della NBA, dentro e fuori dal campo.

Fu quindi così che Jerry Harkness vinse la partita per i suoi Pacers, infilando “the longest game-winning buzzer beater in the history of professional basketball”, che suona decisamente meglio de “il canestro vincente allo scadere del tempo tirato dalla maggior distanza di sempre in una lega professionistica di pallacanestro”.

Un record che ancora oggi svetta sui suoi rivali negli Stati Uniti con uno scarto di quasi 10 metri.

Ci è arrivato vicino Devonte Graham a Dicembre.

A rimanere scolpita nella memoria dei presenti fu la distanza dalla quale venne effettuato il tiro, non il suo valore. Quello era “the icing on the cake”, ovvero la ciliegina sulla torta: quel frutto candito di cui solo pochi estimatori apprezzano il gusto, mentre tutti gli altri preferiscono rivolgere la loro attenzione al dolce. Ci vorranno ancora diversi anni prima che quegli estimatori si espongano coraggiosamente nel loro supporto per la “tripla”: una ricetta che avrebbe cambiato radicalmente la pallacanestro stessa, deliziando alcuni e amareggiando altri.

Passarono altri 13 anni prima che la NBA adottasse a sua volta il tiro da tre punti: una scelta che per grazia divina coincise con l’esordio di Magic Johnson e Larry Bird nella lega dei più grandi, nel 1979. Riuscite ad immaginare Larry Legend senza triple?

Eppure, nonostante venga ricordato anche per la sua natura di tiratore (campione della gara del tiro da tre punti per tre edizioni consecutive), Larry non superò mai la soglia delle 100 triple segnate a stagione (Playoffs esclusi). Per fare un paragone, Stephen Curry non ne ha mai segnate meno di 150 in 13 anni di carriera (infortuni a parte), raggiungendo l’apice nella stagione 2015/16 con 402. 

Distante 7 metri e 25 centimetri dal canestro sin dai suoi albori, la linea del tiro da tre punti attese pazientemente per decadi prima che qualcuno iniziasse davvero a sfruttarne il valore. Solo per una breve parentesi di tre anni la NBA fece il tentativo di ingolosire le squadre accorciandone la distanza da canestro di una cinquantina di centimetri: occasione di cui approfittarono solamente alcuni dei prominenti “cecchini” della lega, uno su tutti Dell Curry, il padre del miglior tiratore di sempre. Ma l’esperimento non convinse e nel 1998 si tornò alla normalità: l’anno del famoso ultimo ballo dei tori rossi, la stagione in cui Michael Jordan vinse il suo ultimo Titolo con i Chicago Bulls, segnando solo 30 triple in 82 partite. La lega intera non ne mise più di 6.500.

Nel 2008, quindi dieci anni dopo, si avrà la prima stagione con più di 15.000 triple segnate: l’anno che vide trionfare un’altra storica franchigia NBA, i Boston Celtics di Garnett, Pierce e, anche qui non a caso, Ray Allen, il secondo miglior tiratore di sempre.

Nella passata stagione regolare si è superata la soglia dei 30.000 tentativi: negli ultimi 15 anni infatti il numero di triple tentate e segnate è cresciuto vertiginosamente, nonostante le percentuale di riuscita delle stesse sia rimasta pressoché invariata da 25 anni a questa parte (35.4% quest’anno). 

Cosa o chi ha spinto le squadre NBA a investire sempre di più nel tiro da tre punti?

Tanti vedono nei Golden State Warriors di coach Steve Kerr e della coppia Curry-Thompson i principali indiziati di questa particolare indagine: del resto hanno fatto di una pallacanestro con ampie spaziature e di giocatori versatili in tutte e cinque le posizioni sul campo la loro fortuna. Una fortuna che ha portato Curry a diventare il giocatore con il maggior numero di triple segnate di sempre, oltre che campione NBA per ben quattro volte in sette anni.

Eppure, a tirare più triple di loro già nell’anno del primo Titolo c’era un’altra squadra: gli Houston Rockets di James Harden (quarto in classifica per maggior numero di triple segnate in carriera) e del General Manager Daryl Morey, il protagonista di questo capitolo.

Con una laurea in informatica e un master in amministrazione aziendale, Morey venne assunto dai Celtics come vice presidente del team amministrativo della franchigia nel 2002. Nel 2007 divenne General Manager dei Rockets, assumendo di fatto le redini della squadra e di quello che da quel momento sarebbe stata la sua identità sul campo. Era la prima volta che nella NBA veniva affidato un ruolo così importante a una persona con relativa esperienza nel mondo della pallacanestro: l’allora proprietario della squadra di Houston, Leslie Lee Alexander, era infatti convinto che una figura dalla chiara expertise nel mondo della matematica e della statistica avrebbe interpretato il gioco in maniera innovativa e vincente. 

La sua era una fiducia alimentata dal recente successo degli Oakland Athletics, la squadra di baseball che grazie alle impavide scelte basate sulle statistiche avanzate del General Manager Billy Beane riuscì a competere al livello di squadre dal budget economico quattro volte superiore al loro (un altro grande esempio di epica sportiva americana, raccontata nel film Moneyball del 2011, con Brad Pitt e Jonah Hill)..

Gli esperimenti di Daryl Morey iniziarono con i Rio Grande Valley Vipers, la franchigia affiliata ai Rockets della lega di sviluppo della NBA. La sua filosofia prevedeva di sostituire i cosiddetti “mid-rangers”, ovvero i tiri da due punti dalla media distanza, con le triple.

La shot chart dei Timberwolves di quest’anno (primi in classifica per triple tirate) è un ottimo esempio: i tiri dalla media vengono convertiti con percentuali simili, se non inferiori, alle triple. (FONTE: NBA.com/Stats)

Questo perché in termini statistici di punti prodotti da un canestro, tirare con il 33.3% da tre punti equivale a tirare con il 50% da due: se i tiri vicino a canestro rimangono quindi una scommessa sicura perché garantiscono due punti con un’alta percentuale di successo, i tiri dalla media distanza invece perdono valore poiché vengono tirati con percentuali poco superiori alla tripla, che di punti invece ne garantisce tre. Aggiungiamo a questa equazione il tiro da tre punti dall’angolo, che risulta più vicino a canestro di quasi 50 centimetri, ed ecco che abbiamo una chiara idea di come questi “mid-rangers” perdano valore a favore della tripla. 

Esemplare è la discussione avvenuta con Duncan Robinson sul podcast di JJ Redick, su come gli allenatori stessi “puniscano” i tiratori che si accontentano del tiro dalla media.

È dal 2011 infatti che i Vipers primeggiano nella G League per numero di tiri da tre punti tentati a partita (fatta eccezione per una manciata di stagioni in cui risultano comunque sul podio). Una tattica che ha fruttato loro tre titoli (’13, ’19, ’22) e che ha tracciato la strada per l’ascesa di James Harden, l’allora sesto uomo d’oro dei giovani Thunder di Durant e Westbrook, che nel 2012 è diventato il protagonista principale del piano di Morey, assumendo il ruolo di stella degli Houston Rockets, che dal suo arrivo domineranno la classifica dei tiri da tre punti tentati a partita per quasi un decennio.

In 13 anni di carriera a Houston, i Rockets di Morey accumularono il secondo maggior numero totale di vittorie in Regular Season nella NBA, raggiungendo i Playoffs 10 volte e arrivando molto vicini a sconfiggere la dinastia dei Warriors nella Gara 7 delle Finali di Conference del 2018. Quel castello di triple che li aveva portati così vicini al successo, in vantaggio sui Warriors di 13 punti all’intervallo, crollò nel momento meno opportuno: i Rockets segnarono una sola tripla nel resto della partita, mancando il bersaglio per ben 27 volte consecutive.

https://www.youtube.com/watch?v=sWP4Ldy-hVs
Grinnell College è l’esempio forse più estremo di questa filosofia di pallacanestro (seppur a livello collegiale). Jack Taylor, uno dei protagonisti della squadra, segnò 138 punti in una singola partita tirando 71 triple (e 108 tiri in totale) nel 2012.

Quella di Morey fu una visione che, pur non avendogli garantito un titolo in NBA, lo elevò tra i guru della Lega stessa, cambiando radicalmente il modo in cui la pallacanestro professionistica viene giocata e concepita oggi. Lo confermano, ancora, i numeri: nel 2022 una squadra NBA tenta mediamente 35.6 triple ogni 100 possessi in Regular Season, mentre nel 2015 la league average era 23.7; andando indietro, nel 2010 era 19.4 e nel 2005 appena 17.2, meno della metà rispetto ad oggi.

E se è vero che i primi ad incitare alla rivoluzione poi spesso si pentono delle impreviste conseguenze, oggi Morey, GM in carica dei Philadelphia 76ers (ai quali ha recentemente fatto approdare il suo Harden), parla spesso di come il tiro da tre punti si sia rivelata un’arma fin troppo efficace, spingendo la stragrande maggioranza delle squadre ad adottare la stessa strategia offensiva. 

Daryl, dall’atteggiamento amichevole e molto informale, è solito discuterne apertamente nei vari podcast che lo vedono ospite negli Stati Uniti, proponendo cambiamenti quali l’allontanamento della linea da tre punti in modo da eliminare del tutto le triple dall’angolo, un allargamento della linea stessa o addirittura un depotenziamento della tripla a tiro da 2.5 punti.

Chissà, magari tra qualche anno saremo noi a rimanere increduli dopo un tiro per la vittoria da metà campo, mentre osserviamo gli arbitri che rivolgono quattro dita al cielo…