Con Kyrie Irving sul piede di guerra e Kevin Durant sull’attenti, Sean Marks dovrà ponderare le scelte per non sfasciare totalmente la squadra.

FOTO: Yahoo! Sports

I Brooklyn Nets sembrano a un passo dal definitivo smantellamento di quello che, circa un anno e mezzo fa, si proponeva come l’assemblaggio di un superteam, una minaccia che all’interno di tutta la NBA risuonava al ritmo dello “scary hours” proferito da James Harden al suo arrivo in città.

Ad oggi, quel che resta di quella legacy – se così si può definire – è una sequenza infinita di infortuni e un paio di uscite premature dai Playoffs, con lo stesso Barba che è approdato in quel di Philadelphia alla corte di Daryl Morey. Se c’è qualcosa che Harden ha lasciato, però, è la consapevolezza che l’ambiente a Brooklyn fosse tutt’altro che equilibrato, nonostante non sia mai esploso nulla di eclatante riguardo la situazione interna.


Situazione che, ad ora, appare più confusionaria che mai. Procediamo con ordine.

Kyrie Irving

Partendo dal presente, le difficoltà che stanno rendendo “stagnanti” le trattative tra Kyrie Irving e i Brooklyn Nets consisterebbero principalmente in alcune remore da parte di Sean Marks e del front office riguardo all’offerta di un pesante contratto pluriennale al giocatore (le dichiarazioni QUI).

Stando agli ultimi aggiornamenti, Kristian Winfield ha riportato una fonte anonima di maggio che avrebbe spifferato la richiesta avanzata dalla dirigenza a Irving di accettare la player option per dimostrare a stagione in corso di meritare l’estensione pluriennale, mentre uno degli ultimi report di Adrian Wojnarowski avrebbe accennato a un’offerta “misera” di $48 milioni in due anni.

Analizziamo un attimo la questione. Come scritto nel dettaglio QUI, la diatriba tra Irving e il front office dei Brooklyn Nets è sviluppabile secondo numerose opzioni, che racchiuderemo brevemente in questo schema:

  • opt-in e basta: Kyrie accetta la player option da circa $37 milioni e resta a Brooklyn per un altro anno, ma con enormi controindicazioni per giocatore e front office:
    • giocatore: l’opt-in garantisce a Irving “solo” 37 milioni di dollari, a differenza degli oltre 42 che potrebbe ottenere al primo anno di un’estensione; inoltre, sebbene a fine 2023 si ritroverà comunque con i Full Bird Rights e potrà richiedere ottime cifre nel corso di tutta la prossima stagione (196×4), non avrebbe tuttavia la garanzia di poter far leva su un full max extension come quella per cui sarebbe eleggibile quest’anno (246×5) in caso di eventuali infortuni, considerando inoltre che entrerà nel range dei 30 anni;
    • front office: Kyrie, accettando la player option, resterebbe probabilmente controvoglia, avendo compiuto la scelta meno remunerativa; questo esporrebbe alla necessità di scendere obbligatoriamente a patti entro la fine del 2023, con il rischio di perdere il giocatore – unrestricted free agent – in cambio di niente, dopo una stagione di divorzio annunciato.
  • opt-out: questo significherebbe o un accordo fra le parti per l’estensione, o una definitiva separazione, con Irving che potrebbe firmare fino al massimo di un 182×4 in una squadra con cap space.
  • opt-in&trade: scenario più caotico in assoluto, che aprirebbe a infinite speculazioni sulle squadra che Kyrie Irving ha elencato come mete “preferite”, non per questo necessariamente interessate.

Come si può notare, le squadre rimaste in corsa sarebbero Los Angeles Lakers e Miami Heat. È importante chiarire una cosa: nessuna delle due – Lakers in particolare – ha alcun tipo di potere di acquisto per poter arrivare al giocatore. L’unico scenario in cui due squadre simili possano diventare landing spot realistici è quello in cui Irving comprometta a livelli inimmaginabili il proprio rapporto con i Brooklyn Nets e rifiuti una possibile firma pluriennale del valore di centinaia di milioni di dollari altrove, o anche solo i 37 milioni di player option, per accontentarsi di una misera Mid-Level exception ($6.3 milioni nel caso dei Lakers, $10.3 milioni nel caso di Miami). Il tutto, dopo aver perso circa 17 milioni di dollari in multe la passata stagione. Ipotesi piuttosto surreale, forse troppo anche per un personaggio che si propone di essere – citando un suo Tweet – “different”, quale Kyrie.

L’alternativa sarebbe una opt-in&trade, con una eventuale complicazione nel salary matching – come riportato da Yossi Gozlan di HoopsHype – dovuta al trade bonus previsto da contratto, variabile in base al momento in cui avvenga la trade, se prima o durante la Free Agency. Per semplificare il tutto, Gozlan spiega che le cifre necessarie per pareggiare gli stipendi in una trade sarebbero di minimo $30.4 milioni per uno scambio prima della Free Agency, $33.9 milioni per uno scambio durante.

A Los Angeles servirebbe così necessariamente includere un terzo team, dato che lo stipendio di Russell Westbrook ($47M), unico asset spendibile a disposizione, e le scelte del 2027 e del 2029 si prestano male ad una trade del genere, diminuendo le chance di successo di un eventuale scambio al minimo percentile.

Per Miami, invece, le cose sarebbero più semplici, dato che potrebbero arrivare a Irving sia tramite sign&trade, con un pacchetto inclusivo di Tyler Herro, Kyle Lowry e qualche filler, sia tramite opt-in&trade, includendo magari Duncan Robinson e risparmiando uno dei due nomi citati prima, salvando anche la Mid-Level exception necessaria a firmare un profilo quale potrebbe essere quello di PJ Tucker.

Infine, c’è un’ultima e più che improbabile opzione. Poniamo che i Nets decidano di chiudere i battenti con questo core e si trovino in emergenza a dover ripulire il monte ingaggi. Irving, dopo l’opt-in, potrebbe essere ceduto ad una squadra con tanto spazio salariale, la quale possa esercitare un salary dump tagliando o offrendo un buyout a Kyrie, mettendolo di fatto nella posizione di firmare al minimo ovunque. Questo scenario è praticamente illogico e irrealizzabile, visto che non si parla di un giocatore a fine carriera o nocivo, ma di un asset molto più prezioso per un’organizzazione in rebuilding. Così come illogico sarebbe anche pensare che i Nets possano ottenere qualcosa di remunerativo in uno scambio con una non contender che miri a salire di livello per i Playoffs – una squadra nel range dei New York Knicks, per intendersi, dal momento che il giocatore proverebbe immediatamente a forzare la trade nella nuova organizzazione.

In poche parole, tutta la situazione Irving è piuttosto complicata e – citando Adrian Wojnarowski – si sta facendo piuttosto “acrimoniosa” a causa delle trattative stagnanti, ma non ci si aspetti che basti schioccare le dita per mettere termine a tutto questo. Soprattutto se la squadra predefinita sono quei Los Angeles Lakers, per il momento, completamente fuori dai giochi. Ma passiamo all’altro pilastro traballante.

Kevin Durant

Senza lasciarsi distogliere troppo da quelle che sono nient’altro che mosse da social media piuttosto grezze e sfacciate, che verranno punite per tampering, sembra piuttosto ovvio che Kevin Durant stia osservando la situazione con particolare attenzione, soprattutto dopo aver firmato un quadriennale da 198 milioni di dollari che inizierà la prossima stagione.

I segnali di allarme sono da ricercare più nelle dichiarazioni di Logan Murdock, rilasciate in un podcast con Kevin O’Connor, membro di The Ringer che ha seguito da vicino KD in uno studio sulle sue pratiche Zen, che non nei Tweet di Jusuf Nurkic o nelle storie Instagram di Damian Lillard.

Murdock ha posto l’attenzione sul fatto che, dopo l’esperienza Warriors, KD fosse andato a Brooklyn per costruire anche dei legami sereni in un ambiente familiare, facendo leva sul grande rapporto di amicizia con Kyrie Irving. Questo non solo non ha funzionato ma, sebbene Durant abbia dichiarato che non si possa far altro che “controllare quello che si può controllare”, le conseguenze starebbero iniziando a farsi sentire.

Non solo non ha celato il fatto che l’ambiente sia instabile, a partire dalla situazione di Irving fino all’indisponibilità di Ben Simmons, in un podcast con Eddie Gonzalez, ma – riporta Murdock – non starebbe nemmeno parlando con nessuno dentro l’organizzazione, rinunciando anche ad adoperarsi nel solito recruiting:

Kevin Durant non ha parlato con la squadra per settimane, non credo che abbia confidenza con il front office ora come ora. Non so se stia lasciando la squadra ma c’è inquietudine anche dalla sponda di KD.
[…] Al momento non vuole reclutare, non è nella posizione di farlo o comunque sente di non esserci.
[…] La sua grande opposizione è che il front office non sia maturato abbastanza da capire Kyrie. Credo che KD pensi ‘Hey, voi non lo avete compreso, non avete provato a capire da dove venisse lui, tutto questo
‘.”

– Logan Murdock

Ignorare passivamente la questione Irving e non parlare con la dirigenza è indice di una situazione piuttosto preoccupante. Tornando per un ultima volta alle parole di Murdock, a peggiorare il tutto ci sarebbe anche l’allontanamento di Adam Harrington, ex-assistant coach e director of development di Brooklyn, grande amico di Durant e suo shooting coach ai tempi di OKC.

Stando così le cose, l’ambiente “sereno” ricercato da KD starebbe andando totalmente allo sfascio, e la data del 29 giugno – deadline per la player option di Kyrie – potrebbe rivelarsi fondamentale per il futuro dei Brooklyn Nets e di Kevin Durant. Ma cosa accadrebbe in caso Irving partisse?

In questo caso, citando Wojnarowski, qualcosa di storico. Durant ha appena rinnovato ed è ancora una superstar assoluta, e la contropartita dovrebbe quindi includere qualcosa di estremamente remunerativo per Brooklyn. Giusto per intenderci, il tampering di Lillard e soci potrebbe rivelarsi totalmente nullo, dato che spesso gli asset citati, riguardanti una somma di giocatori come Eric Bledsoe, Anfernee Simons, Shaedon Sharpe e altri giovani a roster, in unione a una certa mole di Draft picks future, potrebbero benissimo non essere sufficienti a convincere i Nets.

Le offerenti, comunque, non mancheranno.

In parole povere, quella che sta colpendo i Brooklyn Nets è, senza mezzi termini, un’implosione dall’interno. Ma con un certo qual numero di limiti pratici. Per quanto raro il metodo di assemblaggio di questo roster, includendo anche la presenza di Harden fino a qualche mese fa, ancor più raro sarebbe assistere a un front office che bruci totalmente la propria Championship window, perdendo tre superstar nel raggio di pochi mesi – e, per giunta, dopo aver esteso il proprio miglior giocatore.

Quello che deve apparire cristallino è che, sebbene ad ora la pressione mediatica imponga enormi dubbi sulla tenuta a lungo termine di questo core, la questione sarà molto più complicata del previsto. La lista di squadre appetibili per un Kyrie Irving in uscita è ridotta all’osso, e una superstar del calibro di Kevin Durant difficilmente arriverà a muoversi senza prima aver montato una complicata blockbuster trade, come fu – per l’appunto, prendendola come esempio – quella di Harden da Houston.

L’implosione dei Brooklyn Nets si manifesterebbe come un evento talmente improvviso e inusuale da potersi verificare nel raggio di una settimana, così come non prima di una stagione e mezza. E, proprio per questo, merita di essere monitorata, ma con occhio critico.