FOTO: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


L’impatto e l’importanza di un atleta all’interno dell’ambiente e della cultura di un preciso sport sono spesso determinati dagli eventi che la mente di ogni appassionato ricorda una volta sentito il nome di quel determinato atleta. Per quel che concerne il mondo della palla a spicchi, i nomi più accreditati sono Michael Jordan, Kobe Bryant, Allen Iverson, Kareem Abdul-Jabbar e altri cestisti di questo livello. Nella storia dei Los Angeles Clippers è indubbiamente scritto a chiare lettere il nome di Blake Griffin, che ha annunciato il suo ritiro dal mondo del basket lo scorso martedì, dopo ben 14 anni. Come detto, anche nel caso di Griffin ricorrono tantissime immagini ed eventi al solo udire o leggere il suo nome: la Lob City Era, la Slam-dunk saltando una Kia, The Blake face, la schiacciata su Kendrick Perkins contro i Boston Celtics, o la tanto famigerata quanto triste vicenda legata a Donald Sterling, ex patron dei Clippers.


La Sterling-saga è stata rivelata al pubblico nell’aprile del 2014, quando fu intercettato al telefono mentre si diceva seccato del fatto che la sua donna portasse persone di origine afro-americane alle “sue partite”, ed è un evento molto importante nella carriera di Griffin. È stato selezionato dai Clippers con la pick numero 1 al Draft del 2009, successivamente ha vinto il Rookie of the Year e nelle 7 stagioni disputate in California ha raggiunto i Playoffs per ben 6 volte. Ma la protesta messa in atto da lui ed i suoi compagni di squadra prima di un’edizione di Gara 4 della serie di Playoffs contro i Golden State Warriors, contro i commenti e le parole pronunciate dal loro proprietario, è probabilmente il più grande traguardo raggiunto nel corso della sua brillante carriera.  

Il duo All-Star composto da Griffin e Chris Paul nel ruolo di Guardia ha messo i Los Angeles Clippers finalmente sotto i riflettori, ma soprattutto li ha resi interessanti e belli da osservare. Nel periodo intercorso tra il momento in cui i Clippers si sono spostati a Los Angeles e il debutto di Griffin in California, la franchigia era riuscita ad arrivare ai Playoffs soltanto 4 volte, non superando mai le 50 vittorie stagionali. Dalla Stagione 2010/11 alla Stagione 2016/17, la sua ultima con la canotta dei Clippers, la squadra ha superato 5 volte la soglia di 50 vittorie annuali. Il successo della Lob City Era ha legittimato tanto la franchigia da portarla a due conseguenze epocali: il record, fino a quel momento, per la cessione di una franchigia nella storia della NBA, con il passaggio obbligatorio a Steve Ballmer (CEO della Microsoft) nel maggio 2014 per $2 miliardi. La seconda, è che i Clippers hanno finalmente raggiunto l’appeal per giocatori All-Star del calibro di Paul George, Kawhi Leonard e James Harden

FOTO: Andscape.com

“Noi eravamo i vecchi Clippers: eravamo uno scherzo, una squadra da deridere agli occhi dei media in quel periodo. Volevano solo venirci a vedere per poter parlare male di noi e schernirci.”

Blake Griffin – The Players Tribune (2014)

Per quanto si possa mettere in dubbio la sua introduzione alla Hall of Fame, Blake Griffin è un pezzo importante della storia della NBA. Ha contribuito alla creazione di una cultura a Los Angeles, di un modo di essere e di pensare che ha influenzato tutta la città, dagli artisti alla gente comune: chiamarla Dunk City non suonerebbe più lo stesso oggi..

Con lo svilupparsi della sua carriera – oltre che dell’età e del numero d’infortuni subiti agli arti inferiori – lo ha fatto anche il livello del gioco di Griffin. Nel 2009, anno del suo debutto, la NBA era una lega di titani, e Donkey Kong confidava soprattutto nel suo atletismo per competere con i migliori sotto il ferro. Competere in salto contro Blake Griffin era l’equivalente di lanciare una palla a Barry Bonds o scontrarsi con Derrick Herny sulla linea di scrimmage: un obiettivo impossibile da portare a termine. Ma quando è stato scambiato, finendo ai Detroit Pistons nel 2018, non era rimasta più molta benzina nel suo serbatoio. Perciò, come la tendenza generale della lega negli ultimi anni, Griffin ha iniziato a basare il suo gioco sul tiro da oltre l’arco. In 7 stagioni ai Clippers ha tirato col 29.9% su 0.6 tentativi a partita dalla linea da 3 punti, mentre dalla Stagione 2017/18 in poi ha raggiunto il 33.4% su 4.7 tentativi a partita. Chiaramente non il livello di Stephen Curry o Klay Thompson, ma si è trasformato in uno giocatore stretch-four capace di colpire da oltre l’arco. Molti Big Man non sono sopravvissuti alla spinta generale della NBA verso la linea da 3 punti. Griffin sì.

Ma la maggior parte dei risultati e delle storiche giocate ed eventi, Griffin li ha vissuti quando i Clippers erano in mano a Sterling, le cui squadre sono spesso state rinomate per il poco appeal nella lega. Sterling è noto per aver utilizzato epiteti razziali e discriminazione razziale nei confronti di afro-americani, tra cui i suoi impiegati domestici – pesantemente appellati in modo che riteniamo fin troppo offensivo da riportare. L’ex GM e Hall of Famer, Elgin Baylor, lo ha denunciato e portato in tribunale assumendo che Sterling gli abbia detto di “costruire un roster fatto da poveri ragazzi neri del Sud e un coach bianco.” Tuttavia, la giuria non ha dato ragione a Baylor in quel caso. Dopo aver selezionato Griffin al Draft, Sterling lo sfoggiava in giro come fosse il suo nuovo stallone da corsa, costringendo le sue impiegate ad ascoltare e parlare delle sue prestazioni sessuali. 

Griffin ha affermato di sentirsi impotente e non poter fare nulla in quel periodo, essendo ancora ventenne e avendo a che fare con il suo datore di lavoro. L’esercizio del proprio potere induce spesso al silenzio, ed è ciò che ha permesso a Sterling di portare avanti comportamenti scorretti e razzisti negli anni. Sei mesi dopo la pubblicazione delle conversazioni di Sterling, Griffin ha rilasciato un’intervista a The Players Tribune, in cui ne ha parlato.

“Quel tipo era il mio datore di lavoro. Bisognerebbe chiedersi come si potrebbe reagire se il proprio datore di lavoro si comportasse in quel modo con noi stessi.. come vi comportereste?”

Blake Griffin
FOTO: LosAngelesTimes.com

Subito dopo la pubblicazione delle parole di Sterling nel 2014, nel bel mezzo della serie contro i Golden State Warriors, Griffin e i suoi compagni di squadra hanno sentito il peso del mondo sulle loro spalle. Il proprietario della loro squadra è stato colto a parlare pronunciando frasi razziste, e nonostante ciò la pressione era tutta su di loro. Sentivano di doverlo boicottare, di dover chiedere la sua dipartita dalla presidenza della squadra e goderne insieme ai tifosi. Ma anziché rifiutare di scendere in campo per Gara 4, i giocatori hanno deciso di coprire il logo della franchigia e gettare le maglie al centro del campo durante lo shoot-around pre-gara – non proprio una mossa grande quanto boicottare la partita, ma comunque un messaggio forte. Griffin ha rivelato di esser stato uno dei promotori del boicottaggio. Si è trattato di uno dei rari eventi in cui i giocatori si sono schierati contro la propria franchigia. Sterling non sarebbe sopravvissuto alla presidenza, tuttavia c’erano dei rischi nel tentare una mossa tanto clamorosa.

Cinque anni prima la pubblicazione delle intercettazioni, Griffin era troppo impaurito per poter dire al suo datore di lavoro di smettere di esporlo, tastarlo e palparlo nel corso dei suoi party esclusivi per uomini bianchi. Inoltre, era spesso insieme ai suoi compagni, che si trovavano nella stessa situazione di disagio. 

“In quel momento si doveva decidere cosa fare e l’idea generale era che dovessimo boicottare la partita. Ma poi abbiamo pensato che noi non scendevamo in campo prima per lui che per altri. Non eravamo mai andati in campo gridando ‘Donald Sterling al 3! Uno, due, tre!’ prima dell’inizio delle partite.”

Blake Griffin – ESPN (2019)

La dimostrazione messa in atto dai Clippers ha seguito la scelta dei Miami Heat di indossare dei cappucci nel 2012, dopo l’omicidio del teenager Trayvon Martin in Florida, dimostrando che, quando i giocatori NBA comunicano qualcosa, la gente deve ascoltare. La reazione dei giocatori dei Clippers non solo ha causato la rimozione di Sterling dalla presidenza, ma ha anche dimostrato quanto potere abbiano i cestisti NBA: 8 anni dopo, quando sono stati scoperti i commenti razzisti e sessisti dell’allora proprietario dei Phoenix Suns, Robert Sarver, giocatori come LeBron James“Non c’è spazio per misoginia, sessismo e razzismo in nessun posto di lavoro.” – e Chris Paul – “Sono stato e sono disgustato e orripilato da ciò che ho letto e sentito.” – hanno fatto sentire la loro voce, portando alla cessione della franchigia da parte di Sarver nel 2022. 

“Bisognava lottare per il rispetto degli esseri umani e dei loro diritti, è solo questo di cui si trattava: rispetto per l’uomo. Si è trattato di un brutto, spiacevole incidente che ha raffreddato l’entusiasmo generale nel corso di un evento tanto importante, e che ci ha portato a riflettere.”

“Penso che si debba essere una persona colta e meditativa per essere capaci di avere un pensiero e non lasciarsi coinvolgere da esso.”

Blake Griffin – ESPN (2019)