L’ Hall of Famer ci parla di come ha cambiato l’NBA, giocando in più “ere”, dell’impatto di John Thompson, della salute mentale e tanto altro.

 

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Edoardo Bertocchi per Around the Game.


Michael Jordan o LeBron James: chi è il più grande di tutti i tempi? L’ex star dell’NBA, Allen Iverson, ha avuto modo di giocare contro entrambi. A “The Answer” non piace rispondere a questa domanda, per quanto possa esserci un certo legame affettivo con Jordan, il suo idolo da bambino.


“La odio perché voglio troppo bene ad entrambi, così come entrambi hanno fatto tantissimo per questo gioco”, ha detto Iverson ad Andscape nel corso di un’intervista organizzata sabato mattina dalla National Basketball Retired Players Association. “Penso che LeBron sia il migliore di sempre. Nel vocabolario, alla voce “giocatore di basket”, troverai una sua foto. Ma nel mio caso è diverso perché Mike era tutto per me: mi ha dato una visione ed ha fatto si che mi dessi alla pallacanestro. Volevo davvero essere come lui, tipo la pubblicità «Be like Mike». Sono tuttora ammaliato e nervoso ogni volta che lo vedo. È il mio preferito e nessuno mai lo supererà nella mia lista. Ma LeBron è l’apoteosi del giocatore di basket: non gli manca nulla, è un dono di Dio al mondo della palla a spicchi”.

Questa intervista si è tenuta nel lounge della NBRPA in occasione dell’NBA All-Star Weekend. L’Hall of Famer è stato, a pieno titolo, una superstar: 11 volte All-Star, per quattro volte miglior realizzatore del campionato ed MVP della stagione regolare nel 2001, nonché “trendsetter” con il suo stile hip hop e le treccine.

L’ormai 47enne ci ha raccontato di com’è ora la vita da uno degli atleti più conosciuti al mondo, i suoi ricordi da All-Star, della morte del leggendario ex coach della squadra di basket di Georgetown, John Thompson, di salute mentale ed altro ancora. 

  • Come stai ora? Ogni tanto riappari e poi scompari di nuovo. Che combini nella tua vita?

Semplicemente felice, anche per il fatto, come hai appena detto, di riuscire a  “comparire” e “scomparire” a mio piacimento. È stato un fattore determinante col mio ritiro: ero stanco di tutto, non ce la facevo più, perciò era il momento giusto. Dicono di quanto sia difficile “appendere le scarpe al chiodo” , ma, fortunatamente, per me è stato come se Dio mi avesse preparato per tutta la vita a quel momento.

  • Hai ricevuto un premio per la moda da GQ, ma se guardi, agli inizi, eri più da hip hop (con le treccine e tutto) che non da rap. Eri solo te stesso, ma cosa pensi dell’influenza che hai avuto in quel campo?

Lo adoro, ha una sorta di sapore agrodolce. Chiaro, l’ho già detto milioni di volte prima, perché ho davvero preso una frustata per quello. Ma ormai siamo già nel 2023, questi ragazzi sono pienamente liberi di esprimersi e mostrare la loro personalità attraverso il loro abbigliamento. Penso di aver dato un grosso contributo al riguardo ed è molto bello. Ovviamente, se rivoluziono in toto lo stile nel mondo della NBA, pensi che sia una brutta cosa, ma poi vieni (addirittura) premiato da GQ. Dal canto mio, sapevo che in realtà fosse la cosa giusta e che stessi facendo quello che mi faceva stare bene, sentire in pace con me stesso.

  • Cosa pensi dell’ultimo dress code applicato da David Stern? Ora vedi ragazzi indossare di tutto quando sono in panchina. So che la tua prima reazione è: “Siete seri?”?

Hai già detto tutto, è esattamente come mi sento. Ma vedi, il mio era semplicemente troppo diverso. Uno stile che nessuno aveva mai provato prima e che la gente vedeva nella maniera sbagliata, al posto di entrare nei panni di chi, come me, voleva solo vestire a modo suo e sentirsi a suo agio così. Erano tutti troppo abituati ai giocatori che si presentavano in giacca e cravatta, io invece non ho mai indossato un abito né per andare alla partita né (tantomeno) al playground. Per me, bisognava indossarlo solo per andare in chiesa o ad un funerale, e giovane come ero all’età di 21 anni, probabilmente dopo la partita sarei andato in discoteca o comunque a divertirmi. Quindi perché avrei dovuto mettermi elegante? Non era altro che un pregiudizio. Lo interpretavano nella maniera sbagliata e venivo guardato male. Oggi invece, come dicevo, la situazione è alquanto cambiata e penso proprio di aver avuto un ruolo in questo.

  • Quali sono i ricordi a cui sei più legato quando ripensi agli All-Star Weekend ai quali hai partecipato?

Anche solo il fatto di ritrovarmi in mezzo a giocatori che ho affrontato in mille battaglie, con la possibilità di poterli conoscere meglio, stare con loro, giocare con loro ed avere gli stessi impegni. Vivere l’amore che ricevi da persone di ogni estrazione sociale e che arrivano, amano il nostro gioco, lo rispettano, così come rispettano noi atleti. Un’atmosfera incredibile.

FOTO: CBS News
  • Quando ti sei ritirato, penso che avresti potuto fare molti soldi in Cina, se avessi voluto. Allo stesso tempo, sono altrettanto sicuro che, sempre se fossi stato dell’idea, anche qualcun altro ti avrebbe accolto a braccia aperte. Perché allora hai pensato che andasse bene così, che fosse finita? Ritenevi di non avere alcuna possibilità in una squadra NBA? Visto che poi hai trascorso un brevissimo periodo oltreoceano, in Turchia, giusto?

Si, in quel momento volevo solo giocare. Ero arrivato ad un punto in cui tutti gli istinti da “prima donna” erano scivolati via ed ero consapevole che, pur volendo giocare nella più importante lega del mondo, non avessi opportunità in quella direzione. Ma, in quel momento della mia vita, l’amore per il gioco era ancora là, tutta la voglia di salire sulla pista da ballo e lasciarmi trasportare. Quindi ho approfittato di quell’occasione, niente però a che vedere col caso di Muhammad Alì: non mi ci sono neanche mai avvicinato a quella sensazione.

  • Correggimi se sbaglio: il campionato è finito, ti sei preso una pausa. Quando è iniziato il training camp, hai cambiato idea e ti sei preso letteralmente tutta l’estate libera. Hai mai pensato: “Amico, se mi fossi chiuso in palestra”, quanto questo avrebbe prolungato la tua carriera?

Hai tutti questi pensieri. È una gran bella domanda. Guardo a chi ero allora, a quello che ho fatto nella Lega e l’impatto che ho avuto. Non sono mai stato quello che agiva nel modo giusto, che si allenava tanto quanto si aspettassero da me o nel modo in cui potesse pensare chi non è nemmeno mai stato nominato Hall of Famer. Tutti ritengono di sapere cosa avrebbero fatto e cosa sarebbe successo se fossero stati Allen Iverson. Ma voi non siete me, Dio non vi ha dato il talento che ha donato a me, perciò potete sognare tutto quello che volete. Sarei potuto diventare più forte, essere un bodybuilder senza però essere capace di raggiungere niente di quello che ho fatto.

Perciò, non mi guardo indietro, né ho alcun tipo di rimpianto, a parte non essere riuscito a raggiungere quei livelli di “critica costruttiva” che coach (Larry) Brown mi ha insegnato agli inizi. Oltre a ciò, sono contento di essere un Hall Of Famer nel basket. Avrei potuto fare le cose in maniera più razionale e migliore? Sono le basi della vita, Ci sono un sacco di cose che puoi sfruttare nella vita, ma non mi punisco per questo.

Il mio obiettivo era quello di essere draftato e quando l’ho raggiunto, è stato il momento più bello e memorabile della mia vita, specialmente dopo tutto quello che ho passato e da dove vengo. Ed ho finito per entrare nella Hall Of Fame. Quindi in base a cosa dovrei rivolgermi a Dio e chiedergli: “Perché? Perché non sarebbe potuta andare in questo modo o nell’altro?”. Amico, sono fortunato per il modo in cui le cose stanno ora. Se penso a come sarei potuto essere se mi fossi dedicato maggiormente a diventare più forte o altro? La verità è che si, lo faccio, ma non è un pensiero che mi disturbi.

  • La salute mentale è un tema molto importante nell’NBA di oggi. Ogni squadra ha qualcuno che si occupa dei giocatori da questo punto di vista. Cosa avrebbe voluto dire per te avere questa possibilità in qualsiasi momento della tua carriera? Come affronti ora il tuo disturbo da stress post-traumatico?

Mi baso sulle cose belle, positive che accadono nella mia vita, con la consapevolezza di essere fortunato per il fatto di essere ancora qui, andare avanti ogni giorno all’età di 47 anni e di avere dei bambini ed una famiglia che mi amano, come io amo loro. Non mi soffermo su niente di negativo, sono fortunato e non vedo l’ora di alzarmi dal letto alla mattina. Sapere di essere fortunato ed avere persone intorno a te che ti amano è in assoluto la cosa più bella.

Conosco un sacco di persone che hanno a che fare con problemi di salute mentale, ma non sono né qualificato, né informato abbastanza sull’argomento da poterne parlare: non posso dare un’opinione su qualcosa che non so. Per cui me ne sto in disparte e lascio che siano gli esperti a dire la loro.

  • Ma pensi che sarebbe potuta essere una soluzione utile per te se l’avessi avuta a disposizione quando giocavi?

L’ho avuta.

  • Davvero?

Sì, magari non avevano alcun titolo o qualifica, ma ho potuto contare per qualsiasi cosa avessi bisogno sulla mia famiglia, gli amici e le persone all’interno dell’organizzazione (Lega, franchigie..). Non penso che non ci siano scusanti per tutte quelle persone in questa lega se mancassero i mezzi e le risorse di cui abbiamo bisogno per essere aiutati. Ma ci sono, e l’NBA fa un lavoro eccellente nel garantircele.

  • Di recente, LeBron James ha reso una dichiarazione dove diceva che gli sarebbe piaciuto andare da Starbucks, prendere un caffè e scriverci il suo nome sopra.

Sono proprio come lui, non lascerei mai che mi intralci. Capisco da dove viene perché lo affronto ogni giorno, ogni volta.

  • Perché eri grosso tanto quanto, più grosso di lui?

È quello che sto attraversando attualmente. Ogni giorno, quando esco di casa, per me è una lotta. Ma adoro andare da Publix o da Walmart, è una sensazione così bella, e non lascerò che qualcuno me la porti via. Adoro essere Allen Iverson: se morissi oggi, vorrei tornare indietro ed essere me stesso un’altra volta. Amo il modo in cui le persone mi accolgono, mi trattano e mi lasciano essere ciò che sono. Un sacco di volte, quando sono al ristorante, capita che qualcuno mi approcci chiedendo: “Beh, che cosa ci fai qui?” ed io non posso che rispondere: “M***a, per fare quello che fai tu: mangiare”.

Non permetterò che qualcuno mi rubi momenti così. So di essere protetto da Dio, ho piena fiducia in lui, credo in lui e non lo metto (mai) in discussione. Qualunque cosa succeda, va bene così, vivo la mia vita. Non ho bisogno di andare in giro con l’entourage o simili. Mi piace fare cose con le mie figlie, andare fuori e godermi tutto l’affetto dei tifosi, della gente che mi sta intorno, cose di questo tipo. Farò in modo che la mia fama non mi tolga la libertà di essere chi voglio e di vivere a modo mio.

  • Ma tu ami anche l’amore?

Si, amo l’amore.

  • Perché è cosi ogni giorno, indipendentemente da dove tu vada?

Amo il fatto che le persone mi amino perché è un onore ed un dono a coloro che mi aiutano ad essere me. Perché non puoi essere Allen Iverson e non puoi raggiungere i risultati che ho raggiunto nella mia vita senza aiuti. È una cosa, che, nel mio caso, ha coinvolto un sacco di gente. Spesso si parla di compagni di squadra, allenatori, tifosi, etc., ma non si fa mai riferimento allo staff medico, i preparatori atletici, le pubbliche relazioni, a tutti quelli che pure ti danno una mano a diventare..  Ed è per questo che il mio discorso in occasione dell’ingresso nella Hall Of Fame è stato così lungo.

  • E nessuno ti ha messo fretta.

E sarebbe dovuto essere ancora più lungo, perché ho dimenticato di menzionarne parecchi che mi hanno aiutato, ed è una cosa per la quale ci sono rimasto male. È un aspetto molto importante nel nostro gioco: una volta che diventi Hall Of Famer, sei il meglio del meglio, ma ciò non è possibile senza un mucchio di tuoi predecessori che hanno fatto sì che potessi raggiungere quel livello. Non si tratta solo di persone che hanno dato un apporto positivo, ma anche di quelle che, al contrario, lo hanno dato in negativo. Mi riferisco a tutti quelli che mi hanno permesso, nel lungo percorso verso la Hall Of Fame, di essere in grado di tagliare l’erba del giardino, pulire la casa e di sbarazzarmi di molte persone sul mio cammino.

  • L’ultimo ex capo allenatore della (squadra di basket della) Georgetown, John Thompson, è venuto a mancare un paio d’anni fa e tu, naturalmente, sei andato al funerale. Hai avuto alcune perdite nella tua vita, ma con quella di Thompson.. com’è andata?

È solo un altro ostacolo che devi affrontare nella vita e credo che tutto torni alla fede al Dio che io amo ed in cui credo. Essere cosciente del fatto che era scritto che sarebbe accaduto ed in quel modo. Allo stesso modo, io sono chiamato ad incassare ed affrontare con coraggio un evento come quello, capirlo, non dubitare di Dio e credere che John sia con lui. È in un posto migliore ed andrà tutto bene. Veglierà ancora su di me.

  • Quali sono i migliori insegnamenti che coach Thompson ti ha lasciato e che metti in pratica ancora oggi?   

Solo lui, penso sia lui. In poche parole: mi faceva sapere di essere soddisfatto di chi sono. Indipendentemente da quello che pensa il resto del mondo, concentrati sull’opinione che hanno di te le persone che ami. Se non ci fosse nessuno là fuori che ti critica e giudica, non saresti chi sei ora. Nessuno può essere in grado di instaurare una conversazione stimolante su una “nullità”. Quindi ha solo stretto un rapporto con me. Essere in pace col colore della propria pelle è bello, così come lo è essere sé stessi. Il mio rapporto con il coach… Ci sono ancora momenti in cui parlo con lui, ma non ho alcuna risposta. Non sto più ad ascoltare un linguaggio scurrile. Sento come se stesse ancora guardando giù verso di me, perché so che avrà sempre un occhio di riguardo per il suo piccolo “MF”.

FOTO: NBC Sports
  • Segui il modo in cui si gioca e si segna oggi in NBA? Se Allen Iverson nel suo “prime” potesse volare nell’NBA moderna, cosa sarebbe in grado di fare?

Non lo so, amico, non la vedo in questo modo, ma piuttosto che rispetto questi giocatori ed amo così tanto il gioco da non avere una risposta definitiva alla domanda. Non ho davvero idea di cosa farei.

  • Non ci pensi quando guardi le partite?

No, perché vedo solo pallacanestro. Conoscendomi, mi adatterei al tuo stile di gioco, a tutto quello che è necessario per vincere o per avere successo su un campo da basket. Per quelle che possono essere le mie conoscenze del gioco, le letture delle vari situazioni… so che sarei in grado di farlo.

  • Ma hai realizzato 30 punti di media in un periodo non particolarmente prospero (della Lega)...

È quello che sto dicendo, però vedi.. tu sai come la pensa molta gente. Credo che i peggiori feedback per un analista o altri come lui siano quelli provenienti da una persona che non ha mai giocato, ma vale solo nel caso di quest’ultimo. E allora?

Se guardi… potresti vedere Mike Tyson e sai che lui mette KO gli avversari. È quello che sa fare ed è comprovato semplicemente guardando un suo incontro. Non hai bisogno di essere un boxer per saperlo. Non mi piace quando gli analisti di basket si fanno una cattiva reputazione perché non ci hanno mai giocato: questo infatti non vuol dire che non conoscano il gioco. Il succo del mio discorso è che posso guardare una partita di pallacanestro e dire che giocatori come Kevin Durant e Steph Curry facciano sembrare tutto facile, ma in realtà non è così.

E per me dire: “Ok, bene, ho avuto queste medie durante la mia carriera, mentre invece, se avessi giocato nell’NBA di oggi, sarebbe andata così e cosà..” sarebbe.. È difficile, nel mio caso, fare il modesto, ma non sentenzierei: “Ok, ne farei 40 a partita”, bensì che mi adatterei.. e lo farei in qualunque periodo si trattasse. Lascerei a tutti quelli che parlano di basket decidere cosa avrei potuto fare, in che modo, perché non lo sapremo mai. Siamo ancora qui a mettere a confronto Mike e Kobe (Bryant).