Nel 1972, Ray Scott – il primo Coach of the Year afroamericano dell’NBA – era un giovane assistente catapultato verso il ruolo di capo allenatore. Joe Mazzulla, ai Boston Celtics, sta raccogliendo la sua eredità.

Questo contenuto è tratto da un articolo di William C. Rhoden per Andscape, tradotto in italiano da Fabrizio Riposati per Around the Game.
La bizzarra stagione da montagne russe dei Boston Celtics è finita. Non ci sarà nessuna presenza in back-to-back alle Finals, nessun 18esimo banner. E nei giorni che verranno, Brad Stevens, il President of Basketball Operations dei Celtics, annuncerà una decisione su Joe Mazzulla, colui che è diventato head coach fisso dopo un periodo da coach ad interim, in cui ha rilevato la posizione di Ime Udoka.
La scorsa settimana, Stevens aveva fatto sapere che avrebbe aspettato fine stagione per esprimersi sul futuro di Mazzulla. Personalmente, credevo che la decisione fosse stata presa già a febbraio, quando Stevens tolse l’etichetta di “coach ad interim” attaccata addosso a Mazzulla; ma sono successe diverse cose da allora.
Mazzulla ha guidato i Celtics a 57 vittorie stagionali. Nei Playoffs, però, Boston ha superato Atlanta in 6 partite e Philadelpia in 7. Serie in cui i bianco-verdi non sono stati esenti da critiche, a partire proprio dall’allenatore. I giudizi negativi sono proseguiti quando Boston si trovava sotto 0-3 contro Miami; poi, i fischi sono diventati urli di gioia mentre i Celtics pareggiavano la serie sul 3-3, portando Gara 7 a Boston con la possibilità di fare la storia. Nessuna squadra NBA aveva mai vinto rimontando da 0-3, e alla fine non ce l’hanno fatta nemmeno i Celtics. A fare la storia è stata Miami, diventando solo la seconda squadra ad entrare in post-season con l’ottavo seed ad avanzare fino alle Finals.
Prevedibilmente, tutti hanno chiesto la testa di Mazzulla, di nuovo. All’interno dell’universo dei social media si trovano migliaia di meme che si riferiscono a Mazzulla come “Mafoola” o “Joe Nomoola”, ma l’organizzazione sembra ancora convinta del proprio allenatore.
In un’atmosfera dove la pazienza è divorata dalla gratificazione istantanea, Stevens dovrebbe convincere la dirigenza dei Celtics a ignorare la sete di sangue dei fan e tenere Mazzulla come capo allenatore. Mazzulla merita di essere confermato da una franchigia con un inizio stagionale complicato come quello dei Celtics, scosso dallo scandalo dell’ex coach Udoka, sospeso a settembre per aver violato le regole sulle relazioni sentimentali all’interno dell’organizzazione con un’impiegata.
Pochi giorni prima che la stagione iniziasse, il 34enne Mazzulla è stato nominato allenatore ad interim della squadra. Scelta coerente per un’immagine consapevole della franchigia: cattolico devoto, uomo di famiglia con moglie e tre figli, Mazzulla è uno assolutamente rispettabile, anche prima di scendere nel dettaglio del suo valore come coach.
“Credo che Joe abbia fatto un grande lavoro,” ha detto Jayson Tatum dopo la sconfitta di lunedì sera. E Jaylen Brown, che ha giocato un’inguardabile Gara 7, ha dichiarato: ”Joe ha tutto il mio rispetto, e ha dovuto gestire una situazione non semplice, ma l’ha affrontata con coraggio.”
Un’altra persona che ha guardato da fuori e ha tifato per Mazzulla è l‘85enne Ray Scott, pioniere NBA ed ex coach. Nel 1972, Scott – come Mazzulla – era un 34enne alla prima esperienza nella lega; assistente all’epoca, sostituì Earl Lloyd come allenatore dei Detroit Pistons dopo 7 gare dall’inizio della stagione, quando il general manager dei Pistons, Ed Coil, chiamò i due nella sua suite. Come ricorda Scott nel suo libro “l’NBA in bianco e nero”, Coil si è girato verso Lloyd e disse, “Earl, sei fuori”. Poi si girò verso Scott e disse: “Ray, tu sei dentro”. Nel suo libro, Scott dice che “Earl è stato licenziato come se fosse stato un autista”.
Scott era scioccato ma Lloyd, il primo afro-americano a giocare in NBA, disse a Scott: “Ray, devi fartene carico tu”. A quel tempo, Ray era uno dei soli due head coach neri in NBA, e un paio di stagioni dopo ha fatto la storia diventando il primo allenatore afro-americano premiato come Coach of the Year.
Più di 50 anni dopo, Scott ha dichiarato di tifare per Mazzulla:
“Assolutamente. Perché è un giovane allenatore e perché è un fratello. Conosco le acque in cui sta nuotando. Ci sono acque ed acque, soprattutto per noi allenatori neri. Si trova in quelle situazioni in cui non si può perdere. Sta nuotando in acque dove ogni decisione che prende è contestata. Se chiama un timeout, non va bene. Se non chiama un timeout, non va bene lo stesso. Non può sbagliare.”
Scott e Mazzulla hanno entrambi ricevuto un battesimo di fuoco, ma le circostanze sono differenti. Mazzulla ha avuto una solida carriera a West Virginia, ma non ha mai giocato in NBA. È stato assistente per 11 anni prima di unirsi ai Celtics nel 2022. Scott invece ha giocato tra i professionisti per 14 stagioni prima di iniziare a lavorare nel coaching staff dei Pistons. Quando divenne head coach, non aveva nessuna esperienza in merito.
“Quando successe, la mia intera filosofia da allenatore iniziò a vacillare, perchè semplicemente non ne avevo una, in quanto solo e soltanto giocatore.”
Le squadre che hanno ereditato e le aspettative intorno, anche, sono enormemente diverse. I Pistons erano perenni perdenti e lontani dal poter contendere, mentre Mazzulla ha ereditato una Rolls Royce. Già dall’inizio della stagione, Boston aveva aspettative alte di tornare alle Finals.
Scott dice che quello che non è cambiato sull’essere un allenatore tra la sua era e quella di Mazzulla è che i giocatori vincono le partite, ma i grandi giocatori vincono i titoli. E che il termine “allenare”, a volte, è improprio.
“Nel baseball lo avevano capito prima di tutti. Quando sono in panchina, non sono un allenatore, sono un manager. Gestisco il tempo, i minutaggi, i giocatori e le giocate.”
L’aspetto più difficile di essere un giovane allenatore in NBA è riuscire a dare suggerimenti e indicazioni che le stelle della squadra accetteranno.
Nonostante la sconfitta di lunedì sera e le incessanti richieste del pubblico della testa di Mazzulla, Scott ha detto che il giovane coach, secondo lui, sta andando nella giusta direzione. E il suo pensiero è diventato una certezza dopo i commenti di Jaylen Brown in seguito alla miracolosa vittoria di Gara 6 a Miami. Quando gli è stato chiesto in che modo Mazzulla avesse sostenuto la squadra dopo essere andati sotto 0-3, tra le critiche di tutto il mondo NBA, ha risposto:
“A dire il vero, Joe è sembrato calmo. Si è preso tutte le colpe, ha tirato verso di sè le responsabilità, ma la realtà è che c’eravamo dentro tutti quanti e tutti abbiamo dovuto fare degli aggiustamenti. Io stesso ho dovuto correggere qualcosa.”
Brown ha detto, inoltre, che Mazzulla lo ha preso da parte e gli ha detto che avrebbe avuto bisogno del suo impatto in altri aspetti oltre ai punti segnati, “che siano i rimbalzi o la presenza difensiva”.
Scott è rimasto impressionato da quello che le giovani stelle dei Celtics, Tatum e Brown, hanno detto del loro allenatore. “Con quale coraggio vai da un tuo giocatore che ne mette 20, 25 a partita e gli dici di fare anche altre cose?”, ha detto Scott. “Questa è stata la dimostrazione che Joe è uno con le palle. È un duro. Sapevo che Joe fosse un duro, ma sentirlo pubblicamente è stato una cosa importante.”
Nel lungo termine, Mazzulla potrebbe essere la voce fresca e resiliente di cui i Celtcs hanno bisogno. Era il suo primo anno da head coach NBA, è giovanissimo, il roster nelle sue mani ha qualche difetto e la stagione non è iniziata nel modo più tranquillo possibile: anche dopo un’annata deludente, ci sono buoni motivi per credere ancora nelle sue capacità.