Una carriera che lasciava presagire uno sviluppo glorioso. Troppi anni incastrato in un sistema datato, oltre che troppo orgoglio e arroganza, ne hanno smorzato l’impatto. Lo strano percorso NBA di AK-47.

Nonostante uno dei nickname più clamorosi nella storia della NBA, il ricordo di Andrej Kirilenko sembra essersi affievolito molto velocemente nella mente dei tifosi, da quando ha lasciato il professionismo nell’estate del 2015.

È assai complicato delineare l’eredità di AK-47, un’atleta che all’inizio del nuovo millennio ha alternato momenti da superstar al completo oblio, prestazioni da uomo franchigia a lunghi periodi di mediocrità, nel senso latino del termine.

Un giocatore che ha guadagnato oltre 100 milioni di dollari in carriera, ma che non ha mai davvero raggiunto lo status che i suoi contratti suggerivano; autore sì di alcune –  una soprattutto – stagioni di semi-dominio ma che non è riuscito a trovare un posto solido nell’immaginario collettivo.


L’impressione è che la sua carriera americana, durata più di 12 anni, sia passata quasi del tutto inosservata; come del resto è stato sottotraccia il suo approdo nella NBA, ormai due decenni fa.

La notte del Draft 1999 viene presentato in contumacia da Stern – che sbaglia il numero della sua chiamata –  senza neanche una fotografia, accompagnato da uno scouting report che lascia trasparire chiaramente come pochissimi l’abbiano visto giocare davvero.

Il leggendario Rick Majerus, non si sa bene basato su quali fonti, segnala come in Russia Kirilenko sarebbe soprannominato il “Dr. J bianco” e come sia un “promising young player”; Hubie Brown incalza dicendo che il ragazzo ha “sicuramente delle doti atletiche”.

Insomma, l’equivalente Draft night della supercazzola del conte Mascetti.

Kirilenko ha 18 anni quando viene selezionato verso la fine del primo giro dagli Utah Jazz, è un airone dalle braccia lunghissime che ha segnato una manciata di punti nelle file del CSKA campione di Russia: non certo una sorpresa, visto che dalla caduta dell’Unione Sovietica e la nascita della nuova lega il CSKA dominerà i primi 9 campionati disputati.

È proprio nel 1991, anno del primo campionato post sovietico, che il piccolo Andrej prende in mano la palla da basket, non perché attratto dalla magia del gioco o mosso da una passione sconfinata: è un ragazzino alto e questo è quello che si fa fare ai ragazzini alti in quel di Iževsk.

La pallacanestro che gli viene insegnata non è certo quella che attrae i suoi coetanei dall’altra parte dell’oceano, quella legata alla figura di MJ, di una Lega che sta diventando sempre più uno spettacolo d’arte varia ogni sera.

Quello che cercavano di instillarci da subito era il concetto di squadra, cosa significasse giocare in un sistema, giocare assieme. Fin da piccoli eravamo abituati a eseguire giocate, seguire schemi, cercare e trovare tiri aperti.

Per carità, il sistema va benissimo, ma Kirilenko va a un’altra velocità rispetto ai suoi coetanei: lo notano tutti, compreso lo Spartak San Pietroburgo che decide di farlo debuttare in prima squadra a 16 anni compiuti da nemmeno un mese, il più giovane di sempre.

Già dalla prima gara da professionista mostra i marchi di fabbrica che diventeranno i suoi standard: difesa, atletismo, agonismo. In una memorabile sequenza, stoppa il top scorer della squadra avversaria, andando in coast to coast dopo aver recuperato la palla, guadagnandosi fallo e canestro.

Da lì la sua ascesa è vertiginosa, passando al glorioso CSKA dove vince due titoli consecutivi, partecipa all’All-Star Game, vince la gara delle schiacciate sbarcando, poi, in NBA.

O meglio, non sbarca proprio subito.

Nei due anni in cui resta parcheggiato a Mosca cresce ulteriormente: del resto i Jazz non sembrano avere bisogno di lui, con il duo Stockton-Malone che sarà pure agli sgoccioli ma che ha registrato il miglior record NBA nella stagione del Lockout.

Nel 2001, dopo moltissimi riconoscimenti in patria, arriva a Salt Lake City e la transizione da una metropoli stimolante come Mosca alla Città del Lago Salato – dove l’unica presenza più incombente delle Montagne Rocciose è quella del Tempio Mormone – non è affatto semplice.

Le prime settimane in attesa di cominciare il training camp sono uno choc, e Andrej le trascorre per lo più rinchiuso nella sua camera d’albergo.

Non c’era niente da fare, nessun posto dove andare la sera… Mi cominciò a salire l’ansia: insomma, avevo appena firmato un contratto di quattro anni per stare lì!

Il salto è particolarmente difficile anche per la recente sposa di Andrej, Masha Lopatova,  figlia di un bronzo olimpico di basket per l’URSS e soprattutto la Britney Spears di Russia, come veniva chiamata. Ha studiato in una prestigiosa scuola d’arte a Londra per poi iniziare una carriera come popstar. Quando il suo brano Saharniy diventa uno dei video più trasmessi da MTV Russia, i Kirilenko sono già a Salt Lake e il primo figlio è in arrivo.

In ogni relazione bisogna fare dei sacrifici. Io ne ho fatti un po’ di più di lui. Ero su tutte le riviste, Bazaar, Vogue…Ma non penso più a quelle cose, adoro la mia famiglia e la mia nuova vita.

Per fortuna l’inizio della stagione e la volontà di stupire gli Американцы affievoliscono la mancanza di mondanità, per concentrarsi unicamente sul basket giocato, e già dalla stagione da rookie Kirilenko comincia a far parlare di sé.

Soprattutto dopo 90 memorabili secondi di difesa su Kobe Bryant.

È impressionante! È lunghissimo, pieno di energie e in più velocissimo. Ostacola e stoppa dei tiri ai quali un essere umano normale non avrebbe alcuna possibilità nemmeno di avvicinarsi.

(Greg Ostertag)

È proprio così. Nella squadra che è ancora del Muto e del Postino è grazie alla difesa e alla energia che Andrej si fa notare, comparendo dal nulla quando meno te lo aspetti, rubando palloni grazie al suo intuito e alle sue braccia lunghissime – Danny Ainge lo soprannominò Ispettore Gadget.

A questa dimensione si aggiunga una aggressività che lo porta spesso a finire al ferro nel traffico e un’insospettabile visione di gioco, con assist illuminanti che risolvono azioni che sembrano finite in un cul de sac.

Utah ha trovato il suo Swiss Army Man, e anche le statistiche confermano la sua clamorosa duttilità.

Alla fine della stagione 2002-2003 ha già fatto registrare due partite da 5×5 – cinque voci statistiche oltre le 5 unità, roba che nella storia della NBA ha fatto più di lui solo Hakeem Olajuwon.

In estate, John Stockton lascia la pallacanestro e Malone per superare il trauma va a cercar fortuna in quel di Los Angeles: per i Jazz, dopo 18 anni di stagioni dal record positivo se ne prospetta una di completo rebuilding.

Il quintetto è il seguente: Carlos Arroyo, Deshawn Stevenson, Matt Harpring, Andrej Kirilenko, Greg Ostertag. Jerry Sloan comincia preventivamente con il training autogeno per sopportare ciò che lo aspetta.

E invece…

Andrej capisce che in quella squadra ha licenza di uccidere; per la verità ha la licenza di tutto perché è un roster a cui manca praticamente tutto. Ma Kirilenko, come detto, è uno dei pochi giocatori che può darti realmente tutto, qualunque cosa di cui la tua squadra abbia bisogno, trascinando con sé tutti i compagni, senza schiacciarli ma innalzandoli.

Chiude la stagione 2003-2004 con dei numeri da capogiro: è leader della squadra in 12 voci statistiche, tra cui ovviamente punti, rimbalzi, rubate e stoppate, ma sono le statistiche sommerse, più specifiche a dare il quadro del suo impatto sul gioco dei Jazz.

Partiamo dai numeri più evidenti: 16.5 punti, 8.1 rimbalzi, 3.1 assist, 1.9 rubate, 2.8 stoppate.

A un primo colpo d’occhio potrebbero non sorprendere, nonostante siano così ad ampio spettro. Aggiungeteci però che sono stati fatti registrare in una delle squadre dal ritmo più lento, quindi con meno possessi, della Lega – 12° più lenta della storia, in effetti: proiettato su 100 possessi, il suo dominio si avvicina a quello di un supereroe.

Quando è in campo, fa registrare un plus minus di +8, secondo solo a Garnett e Duncan nella Lega: senza di lui Utah ha un plus minus di -11, ottava prestazione peggiore nella storia (!!).
Nelle uniche 4 partite saltate da AK-47 durante la stagione, i Jazz le perdono tutte e 4 con uno scarto medio di 17 punti.

Nonostante ciò, trascinati dal russo, i Mormoni finisco la stagione con un altro – il 19esimo consecutivo – record positivo di 42-40, a una gara dall’ottavo posto in una Western Conference mai come allora competitiva: basti pensare che con lo stesso record, ad Est, i Jazz avrebbero avuto il fattore campo nei Playoffs…

Nel frattempo, la vita a Salt Lake City comincia a piacere sempre di più alla famiglia Kirilenko: pace, tranquillità, il clima ideale per crescere una famiglia in espansione.

FOTO: ymc.ca

Vogliamo altri figli, voglio una bella famiglia numerosa com’è tipico di queste zone. La mancanza di una vita mondana ha smesso di tormentarci: passiamo 7 mesi qui in cui ci concentriamo su lavoro e famiglia e per il resto dell’anno possiamo lasciarci andare da altre parti del mondo. È perfetto.

E non è tutto.

In quei sette mesi Andrej è, come ogni atleta NBA, spesso lontano da casa, il che comporta diverse problematiche coniugali. Che la moglie Masha ha deciso di prendere di petto.

Gli atleti in questo paese sono come delle divinità. Sono attraenti fisicamente e per il loro status, vengono inseguiti dalle donne. È difficile resistere, lo so che è nella loro natura avere queste tentazioni.

Ragion per cui AK riceve il permesso dalla compagna di avere una scappatella all’anno: non relazioni, solo ed esclusivamente sesso occasionale, per calmare i bollenti spiriti.

Ovviamente sono rimasto scioccato quando me l’ha detto, ma lasciandomi questa libertà ha ottenuto l’effetto opposto. Quando una cosa è proibita ne sei tentato, quando non lo è più ti passa di mente.

La sua stagione successiva è interrotta bruscamente, proprio a metà, alla 41° gara contro i Washington Wizards per una brutta frattura al polso. Come unica soddisfazione, quella di aver raccolto abbastanza stoppate da terminare l’annata come primo in NBA per stoppate a partita (3.3), unico nella storia della NBA a farlo dall’altezza di “soli” 206 cm.

Quelle che seguono sono anni cruciali per AK-47, in cui la sua carriera prende una brutta piega, tra qualche infortunio di troppo e qualche “mal di pancia” calcistico che non hanno giovato né a lui né alla sua squadra. 

Le esaltanti premesse delle sue prime stagioni americane vengono fortemente ridimensionate.

Il russo funge da traghettatore per i Jazz della nuova era, fatta di giocatori più giovani, assemblati con sapienza attraverso Draft e mercato: nel nuovo roster, Deron Williams, Carlos Boozer e Mehmet Okur sono le pietre più preziose.

In tutto questo entusiasmo per i nuovi giocatori, che rendono alla grande, Kirilenko perde terreno nelle gerarchie di Jerry Sloan

Il suo minutaggio crolla di 10 minuti a gara, dal go-to-guy che era diventato nelle ultime annate torna ad essere uno specialista difensivo e poco più, come all’inizio della sua carriera: una cosa che AK non può tollerare.

Il basket “sovietico” di Sloan paradossalmente sta troppo stretto all’unico che l’Unione Sovietica l’ha conosciuta veramente: giochi chiamati pedissequamente, tagli e blocchi, ricerca di tiri aperti, pochissime possibilità di uscire dal piano partita e muoversi con una certa libertà.

D-Will e Boozer diventano degli alter ego di Stockton e Malone, in alternativa si cerca di liberare gli esterni per un tiro dal midrange o anche da tre punti, fondamentale su cui probabilmente Kirilenko avrebbe dovuto lavorare un po’ di più per aumentare le sue chance di stare in campo.

Ma il problema ormai non è più solo tecnico-tattico: la fiducia è saltata, con Sloan si produce una frattura di principio che sembra intaccare il resto della sua carriera NBA.

Nelle interviste Andrej si lascia andare sempre con più frequenza, manifestando tutto il suo nervosismo. Prima su giornali russi, poi anche con la stampa statunitense, lascia filtrare il messaggio – un vero e proprio ultimatum – per cui o riceverà un miglior trattamento o richiederà la trade con sempre più insistenza.

Kirilenko è sostanzialmente in trappola: sente di non essere sfruttato come e quanto vorrebbe, ma al tempo stesso sa anche che Sloan, per le troppe cose utili che fa su un campo da basket, non lo lascerà mai andar via.

Non do nessuna colpa al coach, so che è fatto così. Credo che per lui sia difficile comprendere e gestire un giocatore come me, lo capisco. Il suo stile funziona con la maggior parte dei giocatori, non con me. Ma so che vuole solo il bene della squadra. Io semplicemente non voglio essere né un peso né un fantasma. Voglio tornare ad avere la scintilla negli occhi quando gioco a basket, perché a oggi l’ho persa completamente.

La sua frustrazione culmina durante la sconfitta in Gara 1 al primo turno di Playoffs contro Houston, partita in cui Andrej gioca solo 15 minuti e viene beccato dalle telecamere a piangere, nascosto da un asciugamano, in fondo alla panchina.

Già, il giocatore più pagato della squadra che piange seduto in panchina…

Nonostante la situazione spinosa con Kirilenko, nei Playoffs del 2007 i Jazz, in modo piuttosto rocambolesco, arrivano fino alle Western Conference Finals, perse contro i futuri campioni degli Spurs: l’idea che l’opinione pubblica si fa della faccenda, ed è difficile darle torto, è che Sloan aveva ragione e che AK-47 si sia comportato come una star bizzosa e infantile.

Un’estate di relax, lontana dalla pallacanestro sarebbe la reazione comune a un’annata fatta di tensioni e nervosismo come quella appena trascorsa.

Non per Kirilenko, che ha una missione: arrivare preparato per EuroBasket 2007, dove vuole mostrare al continente, ma forse al mondo intero, che giocatore può essere.

Giocare per il proprio paese restituisce a AK quella scintilla, quella voglia di basket che tanto gli era mancata nelle ultime stagioni nello Utah. Alla manifestazione spagnola torna ad essere il faro di una squadra che non parte certo con i favori del pronostico ma che, soprattutto grazie all’inserimento di JR Holden come playmaker, si mostra competitiva con tutte le squadre.

La Russia arriva fino alla finale, superando uno scoglio che mai era riuscita a superare da quando l’URSS si è sciolta.  Di fronte trova i padroni di casa, che già le hanno rifilato una sonora sconfitta nei gironi: ma in finale è tutto diverso.

A meno di due minuti dalla fine gli iberici sono sopra di 5 lunghezze e sembrano essere in controllo: da lì non segneranno più e grazie a Kirilenko e all’incredibile buzzer beater di Holden la Russia si laurea campione d’Europa, davanti a un ammutolito Palacio de Deportes di Madrid.

Qualche istante dopo aver ricevuto il premio di MVP della competizione, cominciano a farsi di nuovo insistenti le voci sulla volontà di Kirilenko di lasciare i Jazz, via trade o anche attraverso una rescissione del contratto.

Come già le esperienze pregresse avrebbero dovuto suggerirgli però è difficile vincere un braccio di ferro contro Jerry Sloan, uomo dai principi incrollabili e un carattere tendente alla veemenza, a voler usare un eufemismo.

Non se ne parla, neanche stavolta. 

Ma in questo caso la reazione di Kirilenko è ben più propositiva: decide di sua spontanea volontà di mettersi al lavoro individuale con la leggenda dei Jazz Jeff Hornacek per migliorare il suo tiro da fuori, che migliora nelle percentuali dal campo e ancor più nettamente dalla lunga distanza, che passa dal misero 21% al suo career-high 38% nel 2008.

Quelle che seguono però sono stagioni mediocri, appunto, nel senso latino del termine. 

Un giocatore medio, che decide di non lottare più contro il suo destino fatto di minutaggio contingentato e un ruolo da rincalzo. L’unico momento di brillantezza è di nuovo lontano dal Lago Salato, nell’anno del secondo Lockout quando, tornato a vestire la maglia del CSKA, vincerà il premio di MVP dell’Eurolega, arrivando a un’incredibile prodezza di Printezis dalla vittoria finale. 

La tanto agognata volontà di lasciare lo Utah si concretizza solo nel 2012, al rientro dalla seconda esperienza moscovita, scaduto l’interminabile contratto coi Jazz. Si accasa a Minnesota dove non ha più la forza, né probabilmente la voglia, di mettersi in gioco davvero, soprattutto in una squadra estremamente mediocre. 

Dopo solo un anno esce dal contratto, accettandone uno ben più povero – scelta che portò a quasi comiche teorie complottiste – in quel di Brooklyn, nella speranza che la strana accozzaglia di talenti messi insieme dal suo conterraneo Mikhail Prokhorov potesse portarlo vicino al Titolo. Sogno che prontamente non si avvera.

Nel 2015, dopo un altro anno vincente in quel di Mosca, Kirilenko lascia il basket giocato per diventare il presidente della Federazione cestistica russa, ruolo che ricopre tuttora.

Molti hanno avuto a dire che il russo fosse sbarcato troppo presto nella NBA, che fosse “ahead of his time” come dicono spesso gli americani. La realtà è che si è semplicemente trovato di fronte a un allenatore vecchio stile, poco incline al cambiamento per gestirlo al meglio, e la sua mancanza di volontà nel reagire alla situazione ha portato a un chiaro decadimento delle prestazioni.

Alla fine del 2004, il suo anno migliore, Kirilenko aveva solo 23 anni: il tempo era tutto dalla sua parte, eppure non è successo granché da allora, almeno nella dimensione NBA della sua carriera.

Non è sempre detto che un singolo abbia la forza per invertire il proprio destino e la storia della Lega è piena di giocatori finiti nei sistemi sbagliati, che ne hanno minato la potenza di fuoco. 

Questa è stata la carriera NBA di AK-47: un’arma letale, che ha sparato a salve per troppo tempo.