FOTO: NBA.com

Questo articolo, scritto da Brand Jefferson per The Basketball Writers e tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game, è stato pubblicato in data 23 aprile 2020.


Praticamente ogni giocatore, in un qualunque roster NBA, è più forte del resto dei giocatori di basket in giro per il mondo: anche quelli che giocano a malapena potrebbero essere superstar in quasi tutte le altre leghe (e alcuni di essi scelgono in effetti questa strada, piuttosto di stare in panchina).


Il più delle volte, ovviamente, i giocatori più amati dai tifosi sono i migliori della squadra; è normale preferire il giocatore che fa più punti, visto che di solito è quello che aiuta maggiormente la squadra a vincere.

Jason “White Chocolate” Williams non ha mai raggiunto lo status di superstar, ma ha giocato un basket molto divertente ed è diventato subito un beniamino dei tifosi, a prescindere dalla loro squadra preferita.

Scelto alla numero 7 dai Sacramento Kings al Draft NBA del 1998, Williams aveva la tendenza di rendere stravaganti anche le giocate semplici. Un normale passaggio diventava un invece un no look dietro la schiena, un palleggio diventava una skip move… ogni volta che toccava la palla poteva arrivare una giocata da highlight.

E in quel momento la Lega era alla disperata ricerca di highlight.

Dopo le Finali del 1998, c’era un vuoto da colmare nell’NBA: un vuoto delle dimensioni di Michael Jordan. Il più grande di sempre aveva appena annunciato il suo ritiro (per la seconda volta), e i protagonisti dell’egemonia dei Chicago Bulls negli anni ’90 avevano preso strade diverse: Scottie Pippen aveva firmato con gli Houston Rockets, Dennis Rodman con i Los Angeles Lakers e Phil Jackson si era preso un anno di riposo.

La Lega aveva anche avuto a che fare con uno sciopero che aveva portato a una stagione 1998/99 accorciata, iniziata a gennaio. E alla fine a vincere il titolo furono i San Antonio Spurs, una squadra solida ma poco spettacolare.

Sentivo la mancanza di quella magia che Jordan portava sul campo in ogni occasione. Aveva la capacità di chiudere le giocate in modi che nessuno aveva mai visto prima, o che si credevano impossibili per un essere umano. Gli Spurs, guidati da Tim Duncan e David Robinson, giocavano un grande basket, certo; ma era basato sulla loro bravura nei fondamentali, piuttosto che su giocate entusiasmanti.

Allo stesso tempo, una marca poco conosciuta di abbigliamento da basket, la AND1, stava cercando di farsi un nome. Firmarono un contratto con Rafer Alston da Fresno State, e nell’estate del ’99, attraverso una partnership con la catena di negozi Footaction, distribuirono gratuitamente più di 200’000 VHS in tre settimane.

Era l’alba degli “AND1 Mixtape”.

Iniziò ad andare di moda un modo eccentrico di gestire la palla e i passaggi. Per me e i miei amici, AND1 era il massimo. Supplicai i miei genitori di comprarmi le loro t-shirt, caratterizzate da tipiche frasi da trash talking.

Cercavamo tutti di riprodurre le giocate che avevamo visto fare a “Skip to My Lou” (il soprannome di Alston), allenandoci nei garage e negli scantinati, oltre che sui campetti all’aperto, nella speranza di stupire amici e avversari alla prossima partitella.

Tuttavia, sembrava che lo streetball e il basket professionistico fossero destinati a restare su due percorsi diversi. Alston era la star di AND1, ma questo non lo portò al successo in NBA. Così, quando i Kings iniziarono a emergere nella Western Conference, resero Williams e il suo inconfondibile stile ancora più popolari.

Tentava giocate da campetto contro i migliori giocatori del mondo, anche in momenti decisivi. E, la maggior parte delle volte, ci riusciva.

Durante la sua stagione da rookie, White Chocolate balzò alla ribalta dopo una giocata contro i Seattle SuperSonics di Gary Payton. Noto per le sue abilità difensive, Payton era effettivamente considerato il miglior difensore della Lega fra i playmaker.

Rivediamocela: Williams sta correndo in contropiede, e Payton sta per chiudere su di lui all’altezza della linea dei tre punti. Normalmente, senza un vantaggio numerico e con altri difensori in rientro, bisognerebbe rallentare e cercare di organizzare un attacco a metà campo.

Williams in effetti rallenta e fa un cambio in mezzo alle gambe, come se avesse intenzione di aspettare i compagni. Payton inizia ad alzarsi sulle gambe e a rilassarsi, perdendo un minimo di attenzione. Subito dopo, Williams combina un’esitazione in palleggio con un cambio di mano, che gli permette di superare Payton e di appoggiare – a modo suo – la palla al tabellone, beffando l’aiuto di Detlef Schrempf.

Guardate la reazione di Payton. Riconosce di essere stato battuto e non può fare a meno di sorridere di fronte alla faccia tosta e alla confidenza di quel rookie. Intanto, Chris Webber esalta la giocata di Williams mentre si prepara per l’azione difensiva.

La carriera di Williams fu costellata da giocate di questo tipo, soprattutto durante i primi anni con i Kings (avrebbe poi giocato anche con Memphis, Miami e Orlando).

Un altro momento memorabile giunse durante l’All-Star Weekend del 2000, quando Williams prese parte alla partita Rookie VS Sophomore.

White Chocolate sta conducendo la transizione con Lamar Odom in difesa su di lui (una difesa piuttosto scialba, vista l’occasione). Alla destra di Williams, Nowitzki sta sprintando pronto a ricevere la palla per due punti facili.

Odom lo nota e inizia a spostarsi leggermente alla sua sinistra per cercare di rubare la palla.

Williams raccoglie il palleggio e posiziona il corpo come se stesse per fare un passaggio schiacciato a terra per Nowitzki. Odom pensa di aver capito perfettamente le intenzioni di Williams e si sposta completamente verso Dirk. Ma a quel punto Wiliams prende la palla con la mano sinistra e la fa passare dietro la schiena. Intanto, muove indietro il braccio destro e colpisce la palla con il gomito, recapitandola a Raef LaFrentz, sul lato opposto rispetto a Nowitzki.

Quand’è stata l’ultima volta che avete visto una giocata così da un giocatore NBA contro altre star?

Io ho sempre giocato pensando prima al passaggio, preferendo favorire un compagno piuttosto che cercare un tiro difficile. La prima volta che riuscii a far cadere il difensore avversario, chiusi l’azione passando a un compagno in taglio (che segnò e subì fallo), invece di prendermi un jump shot con spazio.

Pochi giocatori incarnavano questo tipo di mentalità meglio di Williams, ed è forse per questo che lo amavo così tanto. Era uno dei pochi con cui si poteva creare un video di oltre 12 minuti in cui mostrare esclusivamente assist.

E non semplici assist: passaggi esaltanti che erano più spettacolari del canestro che generavano.

Ancora oggi, ogni volta che intravedo highlights, articoli o post relativi a White Chocolate, non posso evitare di guardarli, leggerli e condividerli. Ecco quanto era forte e importante per me. La sua combinazione di stile e abilità ha ispirato una generazione.

Nel 2006, dopo aver raggiunto l’apice della sua carriera, riuscì a far parte di una squadra da titolo unendosi ai Miami Heat, dove divise i minuti da playmaker proprio con Gary Payton.

Per quanto fosse entusiasmante vedere la realizzazione del potenziale di Dwayne Wade o assistere agli ultimi anni da superstar di Shaquille O’Neal, i miei migliori ricordi di quella squadra riguardavano Jason Williams che faceva le sue giocate, stando al massimo livello di pallacanestro possibile. Era la prova che anche le giocate eccentriche potevano portare alla vittoria.

White Chocolate.