La carriera di Danilo Gallinari descritta attraverso 26 parole. Tra talento cristallino ed episodi fondamentali o esilaranti, passando per i punti di riferimento di uno dei giocatori italiani più forti di sempre.
Parlare di Danilo Gallinari toccando soltanto questo o quell’argomento rappresenterebbe un affresco ingeneroso per uno dei talenti più complessi e sfumati con cui il basket NBA – ma soprattutto italiano – siano mai venuti in contatto.
Per questo ci è parso opportuno toccare l’argomento declinandolo in 26 parole. Nel tentativo di raccontare chi sia il Gallo, dalla A alla Z.
Azzurro
“Non permetto a nessuno di mettere in dubbio il mio attaccamento alla maglia Azzurra.”
L’Italia è parte integrante del cuore di Danilo. E sicuramente vincere almeno una medaglia con la maglia della Nazionale è un suo grande obiettivo, perché ormai è da quello storico argento olimpico di Atene 2004 che l’Italia è rimasta ferma. Ma finora la maglia azzurra gli ha dato forse più sofferenze che gioie. Certo, ci sono state partite stratosferiche, come l’esordio nel 2006 in doppia cifra o l’incredibile sfida contro la Turchia ad Eurobasket 2015, quando il Gallo siglò 33 punti.
Un rapporto complicato, dunque, fatto sì di prestazioni memorabili – e ne parleremo – ma anche di infortuni più o meno fortuiti e cocenti delusioni, oltre che una sempre maggiore difficoltà nel conciliare gli impegni in azzurro con le richieste fisiche e mentali di una stagione NBA.
Nella Lega le franchigie spesso hanno spinto i propri tesserati internazionali a rinunciare agli impegni con la propria Nazionale, seguendo una logica – condivisibile, per certi versi – volta a preservare un investimento di milioni di dollari. Considerata anche la non brillante idea della FIBA di inserire le qualificazioni ai mondiali nel pieno delle stagioni europee e americane, ecco che numerose stelle continentali hanno dovuto rifiutare la chiamata. Un discorso valido non solo per Gallinari – oltre che Datome e Belinelli – ma anche per superstar come Jokic o Antentokounmpo. Il problema è che in Italia, a differenza degli altri paesi europei, la questione scalda gli animi…
Ai Mondiali 2019, comunque, il Gallo sarà presente. E si è detto ” molto carico” per un’esperienza che nella Nazionale di quest’anno solo Marco Belinelli ha già vissuto in passato.
“Possiamo essere la sorpresa del torneo. Puntiamo a una medaglia”.
BUZZER BEATERS
Un marchio di fabbrica del ragazzo. Decisivo nei singulti finali di quarto o di partita. Nell’ultimo minuto di gara la mano di Danilo è particolarmente calda.
13 marzo 2012. Atlanta 104 Denver 102. Rimessa dello stesso Gallo a 9 secondi spaccati dalla sirena. Scambio con un compagno: a 5.3 secondi ha lui il pallone del +1. Si alza una parabola infinita e ciuf: la palla entra. 104-105.
23 febbraio 2018. Golden State: Gallinari fa partire un tiro da centrocampo, all’ultimo sospiro del secondo quarto, segnando un canestro sensazionale.
Altro canestro importantissimo – anche se non sulla sirena, sempre sul filo del rasoio – è stato quello del 76 pari nella sfida tra Italia e Germania ad Eurobasket 2015. A meno tre secondi dalla fine del quarto periodo, si alza un urlo: “Gallinariiiii!!!”
Insomma, in una parola: clutch.
CASALPURSTERLENGO
O meglio, “Casalpi”. È la squadra, nota anche come Assigeco, in cui Danilo ha giocato in B1. Lì si è formato come giocatore, lì ha trovato gli amici della vita. Al liceo “Novello” di Codogno, nell’ultima fila della seconda e terza classe, lui, Mitchell Poletti e Pietro Aradori hanno infatti creato un trio inossidabile, rafforzato da ore e ore di allenamenti, decine di partite al Casalpusterlengo e la ricerca di ogni strategia per superare gli ostacoli scolastici.
Per non parlare di qualche fuga notturna per ballare fino alle 5 di mattina a Piacenza.
Mitch è rimasto l’amico di sempre, accanto a lui anche in occasione del Draft 2008.
DENVER
In una super trade di otto giocatori che vede volare a New York Carmelo Anthony, il Gallo finisce nella cornice del Colorado. A Denver. L’esordio coi Nuggets è di 19 minuti, con 2 soli punti ma ben 3 stoppate. Nella seconda partita si capisce subito l’importanza che il lodigiano avrà nella franchigia: gioca 42 minuti, con 30 punti e 9 assist. Disputa, quindi, la seconda metà di stagione da 19 partite totali, tra cui cinque ai Playoffs, dove realizza 12 punti di media e 18 in G1 nella serie persa contro OKC.
La montuosa Denver è un’altra città rispetto la futuristica New York, Danilo la racconta così: «Denver è una città, ma in realtà è come un paesino. Un po’ come passare da Milano a Lodi».
La stagione 2011-2012 rappresenta uno dei punti più alti della sua carriera: potendo lavorare sin dal training camp con lui, scopre in George Karl un faro per la sua crescita tecnica ed attitudinaria. Il rapporto col coach si fonda su un reciproco rispetto, viste anche le qualità e il carattere dell’italiano perfettamente complementari con il tipo di pallacanestro prediletta da Karl.
Gallinari gioca 43 partite, partendo per 40 volte tra i primi cinque. Con quasi 32 minuti a gara sul parquet, si rivela vero ago della bilancia di un gruppo amalgamato con giovani esuberanti – Faried e McGee tra tutti – e veterani del calibro di Andre Miller. Denver si qualifica ai PO con la sesta piazza, trovandosi di fronte i Lakers che li elimineranno in 7 gare. Di una serie disputata a discrete cifre – 13.4 punti, 5.1 rimbalzi e 2.4 assist in 31.7 minuti di impiego da titolare – resterà una bruttissima Gara 7 da 3 punti con 1/9 al tiro e 4 palle perse.
Una delusione che non potrà essere riparata la stagione successiva. Perché, dopo 71 partite scandite da una pallacanestro di primo livello – con i Nuggets in rampa di lancio grazie anche all’aggiunta in roster di Andre Iguodala – il ginocchio sinistro improvvisamente fa crac.
La stagione 2013-2014 la passa in borghese, perdendo il mentore Karl, rimpiazzato per il biennio ’13-‘15 da Brian Shaw. Di lì in poi il progetto Denver si trasforma da breve a lungo termine: con l’arrivo di Mike Malone Danilo torna ad esprimersi ad ottimi livelli – 19.5 e 18.2 punti nelle stagioni 2015-2016 e 2016-2017. Tuttavia Denver, pur mettendo in campo una discreta pallacanestro, resta piuttosto lontana dalla post season.
La scelta di Nikola Jokic ed Emmanuel Mudiay poi spingono la squadra verso una linea verde che mal si sposa con la voglia di vincere subito del Gallo ormai 28enne.
Nei sette anni con la maglia della squadra del Colorado Danilo raccoglie dunque l’opportunità di crescere e diventare un top player, oltrechè un uomo-franchigia, rappresentando uno snodo fondamentale per la sua carriera.
EUROBASKET2015
Danilo si presenta agli Europei come leader indiscusso della ”Nazionale più forte di sempre”, almeno così si diceva prima dell’inizio del torneo. Una squadra con però qualche incertezza soprattutto difensiva, a differenza dell’attacco che rappresenta – molto grazie al Gallo coadiuvato da Marco Belinelli – il vero punto di forza del collettivo.
L’Italia passa un girone non semplicissimo, composto da Serbia, Germania, Turchia, Islanda e la favorita Spagna, che si laureerà poi Campione d’Europa.
Negli scontri diretti con Spagna e Germania Gallinari si esalta: 29 son i punti contro gli Iberici, in una vittoria indimenticabile.
E contro i tedeschi tutti ricordano il «Danilo Step back! Danilo step back!» di Flavio Tranquillo, quando il Gallo all’over-time ci porta sull’ 82 pari. Partita che poi la Nazionale vincerà grazie a una prova di coraggio da parte di tutti, ma soprattutto di un super Belinelli.
Nelle fasi finali del torneo. Italia-Israele è quasi una passeggiata per i “nostri”: 51 a 82 e un Gallo un po’ spento a livello realizzativo – solo 6 punti – ma sempre con la sua carica d’agonismo.
Il sogno azzurro s’infrange ai quarti contro la Lituania, all’over-time. Il Gallo ne mette 17, con 6 rimbalzi e 3 stoppate. Purtroppo non sufficienti a passare il turno.
FISCHI
26 giugno 2008. Ore 20.02 locali. The Theater at Madison Square Garden.
«Il mio agente mi aveva avvisato che sarebbero arrivati, non è una sorpresa.»
Tanti fischi e frasi tipo: «You suck!» o «You ain’t shit» contro uno sconosciuto di 20 anni, proveniente da un comune di 2600 abitanti in provincia di Lodi, sesta scelta assoluta al Draft NBA 2008. Eppure «quei fischi finiscono solo per gasarmi ancora di più. Quale migliore soddisfazione che fargli cambiare idea con i fatti?» Ecco, Danilo è così: tanto duro mentalmente che le critiche diventano uno stimolo per dare il meglio di sé.
GRAFFIGNANA (E OLTRE)
«Io sono graffignano purosangue, come il grande pilota Giuseppe Campari, il bomber Alessandro Matri e il mitico Giacomo Devecchi. E alla mia Graffignanità ci tengo non poco».
Eppure, il Gallo è nato a Sant’Angelo Lodigiano. Perchè dunque tutta quest’affezione per un piccolo comune di poco più di 2500 abitanti? Gli amatissimi nonni erano di lì, e i primi anni scolastici li ha trascorsi a Graffignana, per poi andare a Lodi, Pavia e Milano.
Proprio a Pavia va in scena un singolare episodio della vita del Gallo.
«Era il primo giorno di scuola. Arrivo in cortile e mi sento già una centinaia di occhi puntati addosso. Affretto il passo verso la mia nuova classe. Entrata garibaldina, e riparo trovato. Le lezioni inizialmente scorrono placide, fino all’entrata di una bidella che mi dice di andare subito dal preside. Penso già di aver combinato un casino. Vengo scortato nei meandri della scuola, per poi trovarmi a tu per tu con il numero uno, che mi attende in un piccolo teatrino gremito da 300 persone. E tanto per mettermi a mio agio, si esibisce al microfono in una presentazione degna dello speaker del Forum di Assago: “Abbiamo tra noi un’autentica star di Pavia. Il suo nome è Danilooooooo Gallllllinariiiiii!”»
HIGHLIGHTS
Per molti vale l’equazione NBA = spettacolo. E Gallinari, in questo senso, ha più volte dimostrato di sentirsi a suo agio nel contesto.
Uno di quegli assist che si possono provare e riprovare migliaia di volte, con scarsi risultati.
Il 7 marzo 2012, sul parquet di Denver c’è un contropiede per i Nuggets avanti di 10 contro i Boston Celtics: il Gallo riceve un brutto passaggio lungo; costretto a defilarsi, “mette in mezzo” un pallone no-look dietro la schiena per Faried a cui basta appoggiare la palla per fare canestro.
Memphis-Denver, 14 dicembre 2012
Contro Milwaukee: “The shot of the century!!”
Si scrive “Danilo Gallinari”, si legge “Circus Shot”.
INFORTUNI
La sfortuna ha segnato a tratti la carriera del Gallo.
A New York va subito male: nella sua prima stagione dopo sole due partite Gallinari è costretto a fermarsi per problemi alla schiena. Il rientro è fissato a Gennaio 2009.
Il 5 aprile 2013, nella sfida tra Nuggets e Dallas Mavericks, dopo aver battuto dal palleggio Nowitzki con notevole sapienza nell’uso del corpo, compie un arresto di potenza al centro dell’area. Il ginocchio sinistro cede di schianto: il crociato anteriore è appena andato in frantumi. Rimarrà fuori dal campo per 573 interminabili giorni, tornando solo il 29 ottobre 2014.
La stagione 2014/15 lo vede ancora in borghese per diversi match: un infortunio di quella gravità comporta per forza di cose delle conseguenze.
Se i suoi 208 cm x 102 Kg continuano a creargli grattacapi fisici, le due stagioni successive di contro lo confermano come uno scorer di alto livello, chiudendole rispettivamente a 19.5 e 18.3 punti di media.
Capitolo Clippers. Nel 2017/18 altra sequela di infortuni e Danilo gioca solo 21 partite su 82. La definisce come la stagione più sfortunata della sua carriera, dallo strappo al gluteo sinistro all’infortunio a una grave fattura alla mano destra.
Ma quell’anno una prima frattura alla stessa mano se la procura in maglia azzurra. È l’ultima – e forse la più triste – partita disputata da Danilo in Nazionale.
È il 30 luglio 2017, Italia-Olanda rappresenta una delle tappe di avvicinamento agli Europei. Liberi per l’Italia. Nella lotta a rimbalzo, Danilo reagisce male a una manata di Kok, strattonandolo. L’olandese cerca violentemente di divincolarsi con gesti plateali. Gallinari è fuori di sé per quello che è un atteggiamento non più agonistico ma antisportivo e totalmente fuori contesto. Sferra un pugno violento, colpendo Kok al volto. Ma se per l’Oranje le conseguenze sono pressochè nulla, lo stesso non può dirsi del metacarpo del numero 8. Frattura e conseguente – drammatica – defezione dalla spedizione azzurra all’Europeo.
Se la voce della solidarietà aveva accompagnato gli altri precedenti pit-stop in infermeria, questa volta un coro di autentica indignazione si alza contro di lui. Ma come? Un Top NBA che si fa male azzuffandosi come un ragazzino con un olandese semi sconosciuto? Mancando per di più il fondamentale appuntamento con la Nazionale?
C’è chi dice che da quel pugno l’opinione sul Gallo sia in parte mutata. Ci è voluto del tempo perché fosse compreso – se mai sia effettivamente possibile farlo al 100% – perché un’Italia orfana della sua guida per una fesseria gratuita di tale entità è un sasso difficile da digerire per una tifoseria così appassionata e viscerale come quella azzurra.
Le critiche piovute nel periodo successivo hanno contribuito a far crescere il carattere di quello che sembrava un professionista formato a 360 gradi, aiutandolo a crescere e a migliorare come giocatore e come uomo. Facendo riemergere – anche grazie a questa stagione entusiasmante – l’amore nei suoi confronti.
JAMES
Che Danilo Gallinari faccia parte di una certa cerchia all’interno della Lega lo si capisce quando uno dei suoi massimi esponenti lo prende in disparte e gli parla all’orecchio.
Il 7 novembre 2009 un gigantesco Lebron James parla a un Gallo appena 21enne, al termine di una partita tra Cleveland Cavaliers e New York Knicks. La superstar di Akron con il semisconosciuto di Graffignana. L’episodio ha un peso specifico molto importante: se il giocatore più forte della NBA mostra quel genere di rispetto riservato a pochi forse è arrivato il momento di iniziare a vedere le cose da un’altra prospettiva.
(minuto 8:30)
Non sarà l’unica volta. Anche in altre occasioni il Re ha dimostrato di nutrire grande stima nei confronti di Danilo.
KNICKS
L’inizio è tra i più complicati: come detto si fa male alla schiena ed è costretto a fermarsi. Non riuscendo immediatamente a guadagnarsi l’amore di quel pubblico che qualche mese prima lo aveva sbeffeggiato in sede Draft.
Torna solo il 17 gennaio 2009 contro Philadelphia: 6 punti a referto. Una stagione di ambientamento, utile a capire la dimensione sia tecnica che emotiva legata alla NBA. La stagione successiva salta solamente una partita e viene convocato all’All-Star Week End nella Gara del Tiro da 3 Punti. Raddoppia il minutaggio in campo – passando da appena 14.7 minuti a quasi 34 a gara – così come la produzione offensiva, aggiornando i circa 6 punti ad uscita con un 15.6 piuttosto incoraggiante.
D’Antoni esplora anno dopo anno il suo potenziale formandolo e cambiandogli progressivamente ruolo: l’anno da rookie è schierato da 2, per poi passare a 3 al secondo anno ed infine da 4 in quello successivo. Con evidenti frutti, perché Danilo si dimostra in grado di evolversi e migliorarsi costantemente, recependo richieste ed insegnamenti dello zio Mike.
New York è la squadra giusta per lui, se lo sente. Ed infatti il ruolo del Gallo al suo interno diventa sempre più di primo piano. È “simile” a Milano, casa sua per anni, e avere una conoscenza come D’Antoni a fargli da guida è come detto fonte di stabilità e stimolo. Ma quando sembra pronto a decollare e spiccare definitivamente il volo, l’aereo prende un’altra direzione: si va in Colorado.
LOS ANGELES
Dopo Denver, la Città degli Angeli.
L’Azzurro arriva a Los Angeles, alla corte di Doc Rivers dopo una trade a tre, che ha portato Paul Millsap ai Nuggets e Jamal Crawford, Diamond Stone e la prima scelta dei Clippers 2018 agli Atlanta Hawks. Arriva a Los Angeles alla corte di Doc Rivers.
La prima stagione non è incredibile, anzi. Danilo la definisce la più sfortunata della sua carriera. È costretto a giocare solo 21 partite per una sequenza impressionante d’infortuni. I suoi Clippers hanno chiuso decimi nella spietata Western Conference con un record comunque positivo di 42 vinte e 40 perse. Per il numero 8 15.3 punti e 4.8 rimbalzi in oltre 30 minuti di utilizzo.
La stagione 2018/19 deve essere quella del suo riscatto. Sarà la migliore della sua carriera, probabilmente. Con una media di 19.8 punti a partita, il 43.3% da tre, il 46.3% dal campo e il 90.4% ai liberi, Gallinari si è letteralmente caricato sulle spalle i Clippers orfani di Tobias Harris (approdato a Philadelphia alla trade deadline) nella rincorsa ai Playoffs, obiettivo centrato – a sorpresa – a discapito dei “cugini” giallo-viola.
Danilo diventa un idolo della tifoseria Clips, degno di divenire protagonista di un mini-documentario sulla sua vita.
Nei Playoffs Danilo e i suoi Clippers danno seguito alle ottime cose messe in mostra durante la stagione regolare. La squadra di Doc Rivers viene eliminata al primo turno, ma per mano dei Warriors e dopo 6 (da molti inattese) partite. Per Danilo ancora quasi 20 punti a sera (19.8), con percentuali altalenanti al tiro ma anche momenti di grande impatto. Contro la miglior squadra della Lega (quantomeno della corrente decade).
Finita la stagione, il front office dei Clippers si trova davanti all’occasione attesa (e costruita) per tanti anni. Quella di attirare un top free agent, ovvero l’MVP delle ultime NBA Finals, quel Kawhi Leonard che ha lasciato a bocca aperta il mondo intero e scomodato paragoni importanti (anzi, IL paragone) durante l’ultima post season con i Raptors.
Insieme a Leonard, arriva a LA in una blockbuster trade con i Thunder anche Paul George, che infrange i sogni di Danilo (che a luglio 2020 sarà free agent) di rimanere in California e di arrivare alla scadenza naturale del contratto con la squadra – e certo, nella città – dove ha dichiarato più volte di voler restare.
Per il Gallo inizia una nuova avventura nell’Oklahoma.
MIKE D’ANTONI
Michael Andrew D’Antoni, meglio conosciuto come “Mike”. Compagno di spogliatoio di Vittorio Gallinari per oltre 10 anni all’Olimpia. Inizia forse proprio ai tempi delle Scarpette Rosse il grande affetto tra l’attuale coach dei Rockets e il Gallo. Che si tramuterà in un autentico imprinting nella Lega.
D’Antoni lo accoglie in quel di New York. Lo coccola, quasi come fosse un secondo padre, ma lungi dall’avanzare qualunque ipotesi di nepotismo:
“Dire che Mike mi abbia scelto per amicizia con mio padre non ha senso. Se li avessero visti giocare assieme, battere avversari nettamente più talentuosi, dando al concetto “squadra” un senso pieno, saprebbero che una cosa del genere non si potrebbe neppure concepire.”
Il teorizzatore dei “7 seconds or less” allena una squadra in piena rifondazione, cogliendo l’occasione di poter lavorare coi giovani ed investendo grandi energie nella crescita di Danilo. Ed è ad Arsenio Lupin che Danilo deve molto della prima educazione ricevuta nell’ambiente dei Pro.
NUMERI
8/08/’88. Gli dei del basket avevano già deciso anche che numero avrebbero sostenuto le larghe spalle del Gallo: l’8. A Pavia, Milano, New York, Denver, Los Angeles e nella Nazionale sempre un unico numero. Omaggio anche al mentore D’Antoni;
4. Gli anni che aveva quando sentì per la prima volta il profumo di un parquet;
208 cm x 102 kg. misure che abbinate al talento ne fanno un giocatore di straordinaria duttilità ed efficacia;
147. I punti siglati in più del suo “vecchio” in sole 71 partite in serie A, contro le 17 stagioni di papà Vittorio;
47. Il massimo di punti in NBA, in una partita che considererà la più bella e fortunata della sua carriera, contro i Dallas Mavericks l’11 aprile 2015;
18. Il massimo di rimbalzi catturati nel 2015 contro i Clippers;
46.3%. La percentuale dal campo nella stagione in corso, con oltre 13 tentativi a gara (massimo in carriera);
43.3%. La percentuale da 3 punti sempre durante la stagione attuale, con 5.5 tentativi a gara (massimo in carriera);
OLIMPIA
A chi gli chiede quanto giocherà ancora in NBA Danilo risponde “4/5 anni”:
«Il mio sogno è vincere in America, entrare nella Hall of Fame dei più forti e poi, se le gambe reggono, chiudere la carriera nella mia Olimpia.»
La squadra in cui suo papà Vittorio aveva giocato per dieci anni corrisponde per lui a un biennio (2006-2008) di autentico e viscerale amore. Tanto da scegliere di tornare per una manciata di partite nella stagione 2011-2012, con la Lega immobilizzata dalla serrata dei proprietari.
Il suo legame con le scarpette rosse resta inciso nel suo cuore e sulla sua pelle. Lo stesso nutrito nei suoi confronti dai tifosi, tanto da eleggerlo, durante le celebrazioni degli 80 anni dell’Olimpia Milano, miglior ala piccola dell’era moderna. Il che da’ un idea del segno che ha lasciato un appena 18enne Danilo nel club più blasonato d’Italia.
La sua carriera nell’Olimpia ha segnato davvero la sua ascesa. Nella semifinale di Coppa Italia 2007 persa a Bologna contro la Virtus, il neo maggiorenne Gallo segna 29 punti. L’ Armani Jeans arriva in semifinale anche in campionato perdendo 3-1 sempre contro la Virtus, con Gallinari che in quella stagione segnò 11.0 punti di media.
L’anno seguente, in Eurolega, l’Olimpia esce alla prima fase e in campionato Gallo passa a 17.6 punti di media con il 40.5% nel tiro dalla lunga distanza e 5.9 rimbalzi.
Dalla stagione 2007-2008 Danilo si porta a casa un trofeo di MVP, una semifinale scudetto persa contro l’invincibile Siena e soprattutto l’indimenticabile ed emozionante standing ovation del pubblico del Forum alla sua ultima gara in casa.
PERDERE
“Mi sono rotto le palle di perdere.”
La bruciante delusione esplode con queste parole, al capolinea dell’avventura azzurra ad Eurobasket 2015. Parole tanto crude e dirette quanto vere.
“Rivendico tutte le scelte, ma ora voglio vincere.”
In tutta la carriera al Gallo è mancata solo una cosa: i trofei. Soprattutto se si considera che l’unico titolo di squadra ottenuto in carriera è un bronzo agli Europei Under 18 del 2005 in Serbia e Montenegro. Poi solo trofei personali, come due Miglior Giocatore Under-22 della serie A, un MVP della Serie A 2008.
Un palmares vuoto, che spera di riuscire a rinvigorire nella piena maturità dei 30 anni.
QI
Cestistico e non. Il segreto sta tutto nel suo equilibrio mentale, nella sua capacità emotiva di affrontare anche le situazioni più complicate. Sul campo come fuori da esso. Per questo l’episodio con Kook rappresenta una stridente eccezione a quello che è sempre stato un punto di massima forza nel corso della sua carriera.
Anche Doc Rivers, suo coach ai Clippers, ha recentemente parlato di questa forza psicologica. A chi gli chiedeva se secondo lui Gallo si sarebbe emozionato ritornando al Pepsi Center di Denver, ha risposto: «Sarebbe la prima emozione che vedo da parte sua. Danilo è il giocatore più impassibile che abbia mai visto. Ma gioca sempre con il fuoco dentro».
A constatare la grandezza di questa peculiarità fu prima di tutti un certo Dan Peterson:«Ha sicurezza a bizzeffe. Forse l’unico giocatore in Italia capace di giocare in tutti i cinque ruoli. Pivot, playmaker… Tutti»
E Andrea Fedini, amico della famiglia Gallinari nonchè attuale talent scout NBA, racconta l’esatto risvolto pratico del talento del Gallo quando, pochi giorni prima del Draft, erano stati insieme nella villa dell’agente Tallem e avevano provato a giocare a football americano: «Ci spiegano come si lancia e come si riceve, sfidandoci a imitarli. Io e Vittorio (Gallinari, ndr) ci arrendiamo subito. Danilo, invece, s’impegna, osserva la palla e dopo un quarto d’ora riesce a fare dei lanci addirittura di 30/40 yards. E allora io penso che questo il talento ce l’ha nel sangue».
Talento e applicazione. Basti pensare a come ha riadattato il suo stile di gioco dopo il gravissimo infortunio al ginocchio: Gallinari ha saputo riconvertire l’esplosività persa con una maggiore oculatezza nell’uso del corpo sia in fase di possesso che di non possesso. Il che ha prodotto un giocatore forse meno elettrico ma non per questo meno mobile: ogni movimento ha un suo perché, sia nel posizionamento dei suoi 208 cm in ottica difensiva – rimbalzo, difesa sulla palla o lontano da essa, contenimento o body checks – che nell’uso sapiente in quella offensiva – il rallentamento fisiologico del suo gioco si è tramutato in maggiore potenza di massa e spinta, arrivando ad una sorta di “compartimentalizzazione” temporale dei movimenti secondo la quale ogni singolo atto è prodotto con una logica definita in funzione del miglior tiro possibile. Sia che si tratti di una penetrazione al ferro sia di una soluzione dai 3 punti dopo aver agito da bloccante in un pick and pop. Non trascurando un trattamento di palla e una pulizia in ogni gesto tecnico davvero con pochi eguali.
Un elevato QI si traduce in proficue capacità creative non solo per se stesso ma anche e soprattutto per i compagni di squadra, allargando il campo e rendendosi pericoloso sia come bloccante che come passatore, dimostrando in questo senso tatto e visione di altissimo livello.
Doti messe in mostra sin dagli albori della sua carriera, e che hanno contribuito in modo decisivo a farlo emergere giovanissimo prima in Europa e poi negli Stati Uniti.
ROOKIE
La prima stagione in America è quella della Matricola, la più complicata, soprattutto se sei uno “straniero”. Danilo la racconta con un episodio esilarante:
«Quando sei rookie devi fare alcuni lavori sporchi. Ad esempio ogni trasferta, a qualsiasi ora, che siano le quattro di pomeriggio, o le tre di notte, devi portare i borsoni per il giorno successivo davanti alla stanza di ogni giocatore. Ciascuna con ogni probabilità su piani diversi. La mia prima volta pensavo di dover bussare e poi consegnare la borsa, mentre in realtà doveva essere semplicemente appoggiata fuori. Quindi busso. Nessuno risponde. Busso di nuovo e ancora niente. Busso ancora e finalmente un giocatore apre insultandomi in Slang. E vedo che non era da solo…»
A rincarare la dose ci si mise Nate Robinson. Trovando intollerabile che il Gallo indossasse gli slip – denominati in slang “speedo”, ossia “costumino” – al quarto allenamento gli fece trovare appeso al suo armadietto un intero set di mutandine griffate Superman. Obbligandolo ad indossare solo queste per tutta la stagione.
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Ai tempi dell’Olimpia, a 19 anni, un giornalista gli chiese: «Ha un milione di euro: come li ripartisce?». Lui rispose: «Metto il gruzzolo sul tavolo di casa, davanti ai genitori e a mio fratello: assieme si decide che cosa fare».
Chissà che davvero non faccia così anche adesso che il malloppo è divenuto molto più consistente: dal 2017, approdando a Los Angeles, Danilo è diventato lo sportivo italiano più pagato al mondo con un’offerta da 65 milioni di dollari in tre anni. Cifre importanti, che diventano impressionanti se si pensa ai 114.2 milioni di dollari messi in saccoccia nel corso delle 11 stagioni in NBA. Guadagni gestiti in maniera più che oculata, se è vero anche che qualche mese fa, andando a cena con il cantante Pupo, invece di pagare il conto per tutti ha equamente diviso l’importo “alla romana”…
Dopo la stagione a OKC – che, da questo punto di vista, potrebbe essere una buona occasione – sarà il momento di testare nuovamente la free agency. Che tipo di contratto, di squadra e di esperienza cercherà, Danilo? Lo scopriremo tra 12 mesi.
TIRI LIBERI
2007/08: 96%; 2009/10: 82%; 2010/11: 86%; 2011/12: 87%; 2012/13: 82%; 2014/15: 89,5%; 2015/16: 87%; 2016/17: 90%; 2017/18: 93%; 2018/19: 90%; e un totale del 90%, come Curry e meglio di Irving, Lebron, Durant e molti altri.
Una solidità impressionante, soprattutto considerando l’importanza che può avere un viaggio in lunetta in determinati frangenti di gara. Come i buzzer beaters, anche i tiri liberi sono un marchio di fabbrica per il Gallo: quasi infallibile.
UNDER
La prima volta che mette piede su un campo da Basket è all’età di quattro anni, nel Basket Livorno; mentre il “suo” tanto amato Milan vinceva il 13esimo titolo della propria storia e papà Vittorio giocava per la compagine toscana.
Nel ’95, quando Gallinari Sr andava al Casalpusterlengo, Danilo “firmava” per il Borghetto Lodigiano. Dopo altre squadre del lodigiano e del milanese.
Il Gallo ha esordito nella stagione 2004-2005 a 16 anni in serie B con la maglia del “Casalpi”; per poi essere chiamato dalla sua squadra del cuore: l’Olimpia Milano. L’esordio arriverà con la maggiore età, dopo aver trascorso la stagione 2005-2006 a Pavia.
Gli dei del Basket hanno voluto che l’esordio in serie A avvenisse proprio contro la città della sua prima squadra: Livorno. L’allenatore del tempo era Sasha Djordjevic, pezzo di storia dei biancorossi – tutti i tifosi di Milano ricordano quella sua camminata verso i tabelloni nella finale di coppa Kovac del ’93. Sasha concesse al ragazzino addirittura 32 minuti sul parquet alla prima presenza. Un trend che successivamente non avrebbe più abbandonato. Spingendo professionisti nel pieno della propria maturità come Bulleri, Blair, Calabria o Schultze a coinvolgere in maniera frequente un ragazzino che sin dai suoi primi passi sul parquet del Forum aveva dimostrato di essere speciale.
VITTORIO
Danilo è effettivamente un figlio d’arte. Il papà ha dato al Gallo, oltre al cognome, la passione per la palla a spicchi, i centimetri e la difesa tenace, ma sicuramente non l’innata fluidità del tiro.
Vittorio era un atleta grintoso, che “menava di brutto ma non aveva mira”; Danilo, invece, un talento sopraffino dalla mano vellutata. Insomma: Gallo II, l’evoluzione.
Gallinari Senior ha giocato per l’Olimpia dei sogni tra il ’76 e l’87 con Mike D’Antoni, Meneghin e Dan Peterson. Personaggi leggendari. Del papà Danilo dice: «Senza quelle partite con lui nel campetto di casa, non sarei mai diventato così.»
WEBBER
«Galinaaaaaaaaaarii.»
Per favore, rileggete il cognome di Danilo con un italiano americanizzato e canticchiando stonatamente, cercando però di assomigliare ad un cantante Soul. Se volete una mano per raggiungere il vostro intento, date un’occhiata a questo fantastico siparietto tra un Danilo in collegamento con gli studi di NBA TV, e Chris Webber dopo una partita al Pepsi Center di Denver. Sì, Chris Webber, il cinque volte All-Star numero 4 ex Sacramento Kings.
X-FACTOR
Rimanendo in tema, lo stesso Gallinari si è ritrovato – leggasi “è stato costretto, in quanto rookie” – a cimentarsi in una prova canora sulle note di Halo, celebre successo di Beyoncè. Affiancato da un Al Harrington che mostra sul volto una slideshow che va dal divertito all’imbarazzato.
Pur restando evidente la grande applicazione del Gallo, complice anche qualche mossetta a ritmo con le note della Hit, l’educazione delle sue corde vocali resta piuttosto grezza. Come dimostrano falsetti affaticati e strofe biascicate. Con buona pace di X-Factor e affini.
YOGA
LeBron James, Kareem Abdul-Jabbar, Shaquille O’Neal per citare alcuni dei massimi esponenti del contesto dal quale proviene Danilo. Ma anche Maria Sharapova, la leggenda del Manchester United Ryan Giggs e il tennista Yannick Noah.
Il trait d’union di tutti questi grandissimi atleti è rappresentato dallo Yoga. Una pratica che connubia armoniosamente corpo e mente, contribuendo a rafforzare un equilibrio psico-fisico che si traduce in maggiore concentrazione in campo e in un sensibile benessere fisico.
Gallinari, che della mentalità e della concentrazione fa due dei principi base del suo gioco, pratica questa tecnica da molti anni, sottolineandone i benefici:
“In passato ho sofferto di protusione discale e mi sono sottoposto a una complessa operazione ma anche grazie allo yoga ho ritrovato in poco tempo l’elasticità perduta.
Mi sento più concentrato in campo forse perché lo yoga mi rende consapevole delle sensazioni che il corpo invia”.
ZONE
Abbiamo sviscerato abbondantemente la completezza offensiva del Gallo. Ma in termini pratici questo in cosa si traduce? Ecco una heatmap della carriera del Gallo (aggiornata fino alla stagione 2017/2018), che ben evidenzia non soltanto l’esteso range di tiro, ma anche una grande solidità in fatto di percentuali.