La premessa è sempre la stessa: spendere bene i propri soldi, e farlo nel momento giusto, è tanto importante quanto difficile per una franchigia NBA. Commentare, giudicare le scelte dei General Manager col senno di poi, invece, è fin troppo facile e per certi versi ingiusto. 

 

Comunque. Prima ancora dei 10 sfortunati (ma neanche troppo) protagonisti di questo articolo, sono obbligato a partire dall’indimenticabile estate 2016. E dalle altrettanto indimenticabili cifre figlie di quei mesi di più-o-meno-lucida follia.

 

In seguito all’importante aumento del salary cap – accresciuto dal 2015/16 al 2016/17 di ben 24 milioni di dollari (da $69M a $93M) – i front office dell’NBA si sono ritrovati in quella free agency a misurarsi con un’improvvisa ed ampia disponibilità salariale di tutte o quasi le fanchigie, con nuovi “parametri” nel rapporto tra valore tecnico ed economico dei giocatori; e, dunque, ad assecondare richieste completamente sproporzionate da parte di alcuni fortunati free agent. Non è un caso, del resto, che la maggior parte dei contratti presenti nella graduatoria siano stati stipulati proprio in quei mesi.

 

Di seguito, dunque, la Top 10 – o forse dovrei dire Flop 10 – dei contratti attualmente in essere (dunque non scaduti nè “risolti”) che, per motivazioni differenti, potremmo etichettare come pessimi affari, almeno in relazione a quanto visto sul campo di gioco. Prima di entrare nella classifica, però, alcune menzioni doverose – ovvero gli “esclusi speciali”, ma non escludibili del tutto, dalle prime dieci posizioni.

 

Tra questi non può mancare, purtroppo, il “nostro” Danilo Gallinari, che nella sua carriera NBA – al netto dei 21 milioni di dollari percepiti annualmente dall’estate 2017 in avanti – ha saltato per infortuni di vario tipo ed entità più della metà (58%) delle partite di Regular Season, scendendo in campo solo per 21 gare nella scorsa stagione.

 

Come non citare, poi, Allen Crabbe, a cui proprio nel 2016 i Brooklyn Nets (la “regina” di quell’estate, come vedremo) hanno allungato una offer sheet da 75 milioni in quattro anni – reputata fuori mercato da tutti… tranne che dai Blazers, che hanno deciso di pareggiarla.

 

Oppure Harrison Barnes, che nelle prime quattro annate in NBA con i Warriors ha messo in mostra interessanti qualità e margini di miglioramento, ma forse non abbastanza per meritare un quadriennale da $94M fino al 2020 (quindi sì, ovviamente sottoscritto a luglio 2016).

 

Ed infine una menzione per Chris Emens (tranquillo Chris, torneremo!), agente di Solomon Hill – che nelle prime tre stagioni nella Lega ad Indianapolis ha saltato un terzo delle partite e totalizzato meno di 5ppg, ma chiuso relativamente bene il contract year: abbastanza per strappare un accordo da 50 milioni di dollari in quattro anni. 

 

 

10. Tyler Johnson

 

Ebbene, abbiamo parlato dell’estate 2016 e dei Nets. E da qui si parte, ovvero da una offer sheet di Brooklyn, poi pareggiata dagli Heat (!), che sta garantendo quest’anno a Tyler Johnson e gli garantirà anche per il prossimo – sì, potete scommetterci che firmerà la player option! – non meno di 19 milioni di dollari. Una cifra che gli consente, in questo momento, di essere uno dei 50 giocatori più pagati della Lega. Tyler Johnson.

 

50 milioni che hanno fatto molto discutere, anche in quella “torrida” free agency. D’altronde, prendendo in prestito le parole che avrebbe pronunciato il compagno di squadra Chris Bosh: “Shit, fifty?!”.

 

Tantissimo per uno che in precedenza aveva totalizzato in due stagioni appena 68 presenze (con una stat line non impressionante), di cui soltanto 7 partendo nello starting five; e che da allora non ha affatto compiuto il salto di qualità che Miami, evidentemente, si aspettava.

 

 

La situazione salariale degli Heat non è oggi propriamente flessibile e se avete la sensazione che Whiteside, Tyler Johnson, Dragic, James Johnson, Waiters e Olynyk, a ben pensarci, non formino un nucleo in cui riporreste tutti i progetti della vostra organizzazione, per intenderci 102 milioni di dollari… non siete i soli.

 

 

9. Evan Turner

 

Situazione salariale bloccata, dicevamo? Allora parliamo dei Trail Blazers, che non saranno propriamente entusiasti degli $11M/anno che destinano a Meyers Leonard, ma soprattutto del quadriennale da 70 milioni di dollari che hanno elargito ad Evan Turner due estati fa. 

 

Dopo aver giocato probabilmente il miglior basket della propria carriera nel 2013/14 in maglia Sixers (17.4 ppg, 6 rpg, 3.7 apg in 35 minuti) ed essersi parzialmente confermato nelle due annate successive, uscendo dalla panchina dei Celtics, ecco l’offerta da 17.5 milioni di dollari all’anno, che non si può rifiutare, da parte di Portland. Niente male per un giocatore che non arrivava ai 10 ppg, per una guardia che non raggiungeva neanche il 30% da tre punti nelle tre stagioni prima; e che da quando è in Oregon ha una media di 8.5 punti a partita, un deprimente 28% dall’arco e due serie Playoffs all’attivo tutt’altro che entusiasmanti.

 

Oltretutto, a 27 anni e con le caratteristiche (fisiche e tecniche) di Turner, era lecito attendersi, nel 2016, grandi miglioramenti da parte sua? Per legittimare l’investimento, più che un cambio di marcia, era necessario un “salto nell’iperspazio”…

 

 

8. Otto Porter

 

La stagione 2016/17 è qualcosa che Otto ricorderà sempre con piacere. Il tipico quarto anno per un giocatore NBA, il primo contract year in vista della prima free agency. Ebbene, l’ala di Washington in quella Regular Season ha concluso con il 52% dal campo, il 43% da tre punti (che ha addirittura migliorato nella stagione dopo) e l’83% dalla linea del tiro libero: se ne facciamo una questione di percentuali…

 

Il prodotto di Georgetown, oltretutto, aveva messo in mostra le doti fisiche e potenzialità nella metà campo difensiva che conosciamo. In un periodo in cui le ali in grado di difendere in modo efficace su giocatori di diversa taglia, e allo stesso tempo di aprire il campo in attacco con il tiro da fuori, erano (e sono) merce molto richiesta.

 

Tutto questo ha fatto drizzare le antenne a diversi General Manager e schizzare alle stelle il suo valore di mercato. Ed ecco, puntuale, la offer sheet dei Brooklyn Nets: 106 milioni di dollari in quattro anni. I Wizards decidono di pareggiare, garantendo a Porter più di quello che allora guadagnavano sia John Wall che Bradley Beal. 

 

Un giocatore atipico e interessante. Un “ragazzo fantastico”, come ha sottolineato coach Brooks dopo l’estensione salariale di luglio 2017. “Non bisogna giudicarlo dalle statistiche, fa tantissime cose su un campo da basket. Si butta su ogni palla vagante, porta buoni blocchi, trova i compagni negli angoli con gli extra-pass, prende dei rimbalzi in attacco”.

 

Tutto vero, ma parliamo pur sempre di un giocatore da 8.4 FGA a partita in carriera, di un ragazzo di 25 anni che non sembra vicino ad essere un All Star… e di 27 milioni di dollari all’anno! Nella classifica dei giocatori NBA attualmente più pagati, Porter occupa la 17esima posizione – e guardando dopo di lui, troviamo in ordine Embiid, Antetokounmpo, Anthony David, Jokic…

 

 

 

7. Timofey Mozgov

 

Credo che ogni mattina Timo si svegli e pensi a quelle 20 partite nei Playoffs 2015. A quella serie di NBA Finals (persa, ma non ditelo al russo!) contro Golden State. A quella Gara 4 da 28 punti e 10 rimbalzi. E che renda grazia, a sè stesso e a quella manciata di partite che gli ha letteralmente cambiato la vita – se non la cambiano 64 milioni in 4 anni, la vita…

Mozgov è stato firmato dai Los Angeles Lakers a cifre difficili da giustificare per un centro di 30 anni che aveva raggiunto la doppia cifra per punti segnati in una sola RS in carriera, e che aveva chiuso 6 stagioni su 8 nella Lega con meno di 45 partite disputate (causa infortuni). 

Nel disastro combinato dal front office dei gialloviola, si può comunque vedere un lato positivo. Mozgov è infatti stato ceduto ai Brooklyn Nets nella trade che ha coinvolto anche D’Angelo Russel, in cambio della 27esima scelta al Draft 2017. Ebbene, D-Lo ancora non è stato protagonista di quella “breakout season” tanto attesa… e la #27 è stata spesa piuttosto bene, per un certo Kyle Kuzma.

 

 

6. Ryan Anderson

 

Ryno, Ryno. Quante volte ho pensato che fossi un talento “underrated”, anche malgrado l’MPI nel 2012. Quante volte ho pensato che le tue qualità non venissero del tutto riconosciute – parliamo di uno che nel 2013/14, a New Orleans, ha concluso la Regular Season con 19.8 pgg, 6.5 rpg, il 41% da tre punti e il 95% in lunetta.

 

Poi – ovviamente nel 2016! – la firma con Houston. 80 milioni per quattro anni. Chapeau, Chris Emens – l’agente (lo stesso di Solomon Hill, di cui abbiamo parlato) – uno che nel proprio “curriculum” ha anche il contratto di Jordan Clarkson e che, in vista delle prossime estati, sta già schiarendo la voce: state certi che le richieste di OG Anunoby saranno importanti.

 

20 milioni all’anno sono una cifra che ha pesato e non poco nel monte salari dei Rockets e nei progetti di Daryl Morey. Soprattutto se consideriamo che nei Playoffs 2018 (8.6 mpg), e soprattutto nelle Western Conference Finals con i Warriors (28 minuti in totale nella serie), Anderson è stato praticamente uno spettatore non pagante.

 

 

I due anni in Texas sono stati a livello realizzativo i meno produttivi della sua carriera e le evienti carenze difensive lo hanno reso, nelle partite che contavano, un anello debole da attaccare. Un bersaglio da colpire. Una presenza dannosa per D’Antoni e un peso per Morey, che sono riusciti a “liberarsene” via trade (destinazione Phoenix) nell’estate appena conclusa. 

 

 

5. Tristan Thompson

 

Se l’ultima generazione di lunghi (o presunti tali) arrivati in NBA rappresenta la cosiddetta “era degli Unicorni”, Double T è un dinosauro sopravvissuto all’estinzione. E sopravvissuto niente male, visto che oltre ai 111 kili di peso, porta a spasso anche 82 milioni di dollari (per 5 anni di contratto), elargiti in un periodo in cui i big man “classici” avevano ancora quell’appeal in free agency.

 

Un giocatore lodevole e unico, Tristan, per come interpreta il Gioco. Un lungo in grado di mettere in campo un’intensità e un’energia come pochi altri. Un rimbalzista offensivo straordinario. Il problema… è che sta tutto qui. Le sue abilità difensive, soprattutto nel basket moderno, si sono ridimensionate negli anni – di certo non parliamo di un rim protector (0.7 stoppate a partita in carriera); e offensivamente c’è davvero poco, pochissimo da aggiungere. Anzi, potrei dire che c’è da detrarre.

 

La presenza di LeBron James ha sostanzialmente mascherato, o comunque dato un senso a tante cose in questi anni. Tra queste, le enormi carenze tecniche di Thompson, innanzitutto, e il peso del suo contratto nel salary cap. Adesso, nel momento della ricostruzione della Cleveland del futuro, la sua presenza è decisamente ingombrante – e ha più le sembianze di un ostacolo nella corsa di Koby Altman, piuttosto che di un protettore insuperabile del canestro dei Cavs.

 

 

4. Bismack Biyombo

 

Come (con)cause dei precedenti contratti abbiamo detto, dunque: la folle estate del 2016, prestazioni eroiche nei Playoffs, la ricerca dei big man in free agency. I 72 milioni di dollari in quattro anni strappati dal centro congolese sono l’unione di tutto ciò. 

 

Considerando il gioco offensivo di Biyombo e i pressoché inesistenti margini di maglioramento messi in mostra nei suoi primi cinque anni in NBA, è difficile comprendere perché gli Orlando Magic abbiano deciso in quella free agency di investire tanto (senza rendersi bene conto di quanto, quel “tanto”, fosse – come moltri altri front office NBA) nel centro ex Charlotte e Toronto. Sicuramente non era passata inosservata quella prestazione in Gara 3 nella serie contro Cleveland, quei 26 rimbalzi (di cui 8 offensivi).

 

 

Dal momento della firma in avanti, le cifre di Biyombo sono in netto e costante calo, tanto nella produzione offensiva quanto nel rating difensivo. In maglia Magic ha mantenuto un impiego medio intorno ai 20 minuti (6 ppg, 6 rpg) e nei due anni trascorsi in Florida non ha mai dato l’impressione di essere minimamente migliorato nella metà campo offensiva.

 

Ora, a Charlotte, ha iniziato la stagione dal fondo delle rotazioni. Eppure ha 34 milioni di dollari garantiti da qui a luglio 2020.

 

 

3. Omer Asik

 

Il rapporto dollari spesi/prestazioni del turco è qualcosa di unico. Dopo aver firmato nell’estate 2015 un interminabile contratto, che scadrà tra due anni, ecco le sue cifre nelle stagioni successive:

 

2015/16 (68 partite, 64 starter): 17 mpg, 4.0 ppg, 6.1 rpg, 53% FG

 

2016/17 (31 partite, 19 starter): 15 mpg, 2.7 ppg, 5.3 rpg, 47% FG

 

2017/18 (14 partite, 0 starter): 8 mpg, 1.3 ppg, 2.6 rpg, 43% FG

 

Ben fatto, Pels! Forse quei 12 milioni di dollari all’anno sarebbero potuti essere spesi meglio per costruire qualcosa di importante intorno ad Anthony Davis e poi DeMarcus Cousins? Fortunatamente per New Orleans, dopo tre esaltanti stagioni del turco in Louisiana, la trade con i Bulls per Nikola Mirotic è stata una buonissima “via d’uscita”. Che comunque è costata una prima scelta al Draft.

 

 

2. Ian Mahinmi

 

Quello che mi viene da pensare è che di Hibbert, evidentemente, non ne è bastato uno.

 

Dopo l’addio di Roy ai Pacers nel 2015 (destinazione Lakers, e sappiamo tutti com’è stata la sua carriera da quel momento in avanti), Mahinmi ha giocato nel proprio contract year 71 partite nello starting five di Indiana, che ha concluso la Regular Season con 57 vittorie. Ha fatto registrare i career high in minuti giocati (25 a gara), punti (9.3) e rimbalzi (7.1). Ed ecco sopraggiungere l’estate dei balocchi: 64 milioni in quattro anni dai Washington Wizards. 

 

Il discorso, qui, è un po’ lo stesso fatto per Thompson e Biyombo. Offensivamente parliamo di un giocatore tecnicamente carente e con limitati margini di miglioramento (ai tempi – oggi nulli). Del resto, 3.6 FGA e 5.1 ppg in carriera, in 11 anni di NBA, sono dati abbastanza eloquenti. E se quelli menzionati in precedenza sono rimasti career high, è perché il suo impatto nella squadra di Wall e Beal non è mai stato neanche lontanemente significativo.

 

Washington negli ultimi anni ha potuto contare su una delle coppie di guardie migliori della Lega, ma mai su un supporting cast adeguato. Con 16 milioni liberi quest’anno, e 16 il prossimo, ovvero senza Mahinmi, le cose sarebbe decisamente più semplici. Invece Ian e il suo contratto sono sempre lì.

 

E – ciligina sulla torta – quella di giovedì scorso contro i Miami Heat è stata per il centro la prima partita in quintetto (in campo, poi, 12 minuti) in più di due anni a Washington.

 

 

1. Chandler Parsons

 

Abbiamo parlato, onestamente, di giocatori “peggiori” di Parson in questo articolo. Ma c’è una serie di motivi per cui è lui la mia numero 1 in questa classifica.

 

Innanzitutto perché è l’incarnazione vivente di una considerazione a cui, detto tutto quello che ho detto, è doveroso dare voce. Ovvero che a volte le cose possono andare male, male davvero, oltre ogni pessimistica previsione. Ed è proprio il caso di Parsons, le cui statistiche in carriera – e soprattutto prima e dopo il 2016 – sono il manifesto del “perdere una scommessa” in questa Lega (e della difficoltà delle Basketball Operations).

 

E’ il mio numero uno soprattutto perché guadagna 24 milioni di dollari all’anno (94/4 in scadenza a luglio 2020) e detiene quindi, rispetto a tutti gli altri proposti,  il contratto più “dannoso” per la franchigia che l’ha sottoscritto, in questo caso i Memphis Grizzlies.

Forse il giocatore rappresentato da Mark Bartelstein (lo stesso agente di Gordon Hayward, Breadley Beal, Jabari Parker e altri giocatori che potete consultare in questa pagina) non è quello che meno ha legittimato delle aspettative. Anzi, fin dall’annata da rookie ha mantenuto buonissime cifre. Ha messo in mostra qualità offensive interessanti e creato delle aspettative di crescita.

Prima che tutto, ma proprio tutto, andasse storto. Da un punto di vista fisico, tecnico e psicologico.