FOTO: The Cats’ Pause

Questo articolo, scritto da Marc J. Spears per The Undefeated e tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game, è stato pubblicato in data 9 luglio 2021.


Qualche tempo fa Devin Booker, mentre era a bordo di un’auto, ha mandato una foto a suo padre che raffigurava il display riprodurre la canzone “Mr. Carter”. E quando Melvin Booker II ha visto il messaggio ha subito ripensato al 2008, anno in cui suo figlio, allora dodicenne, cantava alcuni versi di questo brano, dal significato speciale:


“As I share mic time with my heir Young Carter, go farther, go further, go harder / Is that not why we came? / And if not, then why bother,”(Jay-Z, Lil Wayne)

Così come narrano i due rapper, papà Melvin ha sempre motivato il figlio a spingere ed andare più lontano.

“Stava ascoltando quella canzone andando ad una partita. Gli ho risposto proprio ‘Go further, go farther’. È ciò che gli ho sempre detto” , ha raccontato Melvin a The Undefeated. “Si ricordava che glielo ripetevo sempre. Ascoltare quel pezzo ora mi emoziona molto”.

Ad oggi il figlio sembra aver rispettato questi insegnamenti: il due volte All-Star sta guidando i Suns alle NBA Finals, dove Phoenix conduce 2-0 contro Milwaukee. Booker sta viaggiando a 27.2 punti, 5.5 rimbalzi e 4.9 assist in 28 partite di Playoffs, e una volta terminata la stagione NBA si unirà a Team USA per disputare le Olimpiadi a Tokyo.

“Vederlo giocare sui palcoscenici più ambiziosi significa moltissimo per me. Sono questi i momenti di cui abbiamo sempre parlato, per cui si è allenato infinitamente. Sono elettrizzato e ansioso di vederlo giocare ancora.”(Melvin Booker)

Devin è nato e cresciuto in Michigan, ma Melvin è del Mississippi, precisamente di Moss Point, una piccola città di circa 13.000 abitanti. Suo padre, Booker Sr., giocò a pallacanestro in tornei locali ed era conosciuto per essere un ottimo tiratore. Il basket era visto come un modo di istruire il figlio e non solo:

“Mio padre c’è sempre stato per me. Non giocò mai a livello professionistico, ma mi portava sempre con lui durante le partite locali: fu così che mi innamorai del Gioco, correndo nelle palestre assieme a lui. Era un piccolo tiratore, e in famiglia ci stiamo ancora passando questa caratteristica. Lui non ha avuto una carriera professionistica, io ho giocato al college ed in NBA, e ora Devin si sta elevando più di tutti”.

Nella stagione 1989/90 Melvin segnò ben 28.0 punti di media giocando per la Moss Point High School, per poi trasferirsi a Columbia, direzione University of Missouri. Qui, con 18.1 punti e 4.5 assist a gara venne nominato Big Eight Player of the Year e Associated Press second-team All-American nel 1993/94, suo anno da senior.


FOTO: Allsport

I premi, tuttavia, non gli valsero una chiamata al Draft 1994: le squadre NBA cercavano altro dalle guardie, a differenza di oggi. Così, Melvin e famiglia vissero “una delle peggiori notti di sempre” mentre, dal Mississippi, attendevano invano di sentire Stern pronunciare il suo nome.

“Giocassi oggi mi chiamerebbero entro la 10, ma al tempo le squadre cercavano point guard pure o guardie più alte di me.”

Questo portò Melvin ad iniziare la sua carriera professionistica nella Continental Basketball Association, dove giocò per gli Hartford Hellcats, i Pittsburgh Piranhas e i Grand Rapids Mackers. E fu proprio a Grand Rapids che incontrò e si innamorò – pur senza mai sposarla – di Veronica Gutierrez, da cui, nel 1996, nacque Devin Armani Booker.

Dopo Grand Rapids, nel 1995/96 ecco la chiamata NBA: Melvin giocò per gli Houston Rockets, allora campioni in carica, per poi passare ai Denver Nuggets e chiudere ai Golden State Warriors nel 1997.

Dal 1999 al 2008 si fece vedere in Italia, Turchia e Russia, per poi ritirarsi in modo da trascorrere più tempo con i figli. Devin assistette a qualche gara del padre in Europa, ma l’amore per il Gioco germogliava principalmente d’estate, quando Melvin aveva più tempo libero.

“Quando andavo in palestra mi guardava mentre mi allenavo. A volte facevo partitelle coi miei amici, e Devin se ne stava attorno al campo a palleggiare, finché non crebbe abbastanza per poter giocare con noi”.

Fu anche la madre ad avere un ruolo importante per il suo sviluppo cestistico, dato che fu lei a dare l’ok per far tornare Devin a Moss Point, da Michigan – dove stava frequentando il secondo anno di High School – per farlo allenare con il padre.

“Quando mi trasferii, mi allenai davvero in ogni modo. Ho sempre amato e studiato il basket, ma fino a quel punto non ero consapevole del lavoro che dovevo compiere. Mio padre mi ha spinto oltre i limiti come mai prima di quel momento, voleva rendermi migliore ogni giorno”.

Grazie a questi allenamenti il suo gioco iniziò a brillare per davvero, e il rapporto col padre si solidificò ulteriormente.

“Per noi fu un’opportunità per recuperare il tempo perso. Entrambi amiamo il Gioco, dunque passammo davvero ogni giorno insieme ad allenarci, mangiare e guardare partite. Il tutto ripetuto per tre anni. Recuperai davvero molto tempo, considerando che non potei vederlo quasi mai per tre anni a causa degli impegni lavorativi. Probabilmente quelli furono i nostri anni migliori, perché il legame si rafforzò molto – ovviamente, grazie alla pallacanestro”.

Devin frequentò poi la prestigiosa University of Kentucky, dove segnò 10 punti di media tirando con il 41% dall’arco, per poi essere nominato SEC Sixth Man of the Year nel 2015, al suo primo anno. Poco dopo, ecco il grande salto in NBA: Draft 2015, tredicesima chiamata, direzione Phoenix Suns.


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Booker è diventato in pochi anni il volto dei Suns e uno dei i migliori scorer della Lega. Tuttavia, le sue prime cinque stagioni sono state fallimentari: nessuna partecipazione ai Playoffs e tante delusioni. Fino all’8-0 nelle seeding games di Orlando.

Il 7 agosto 2020, Draymond Green disse queste parole sulla situazione di Booker: “Fate sì che se ne vada da Phoenix! Non gli fa bene stare lì, non fa bene alla sua carriera. C’è bisogno che si trasferisca in squadre capaci di giocare una pallacanestro vincente”.

Tra i tanti a non essere d’accordo, c’era anche Melvin:

“Sapevo che Devin amava Phoenix. Ovviamente, non era bello perdere, lui ha una mentalità vincente, ma gli ho consigliato di avere pazienza. Oggi le carriere durano tanti anni, e si ha tempo di imparare dalle sconfitte. Quando si vince, poi, non si vuole più smettere, ed ora lo sta dimostrando”.

Devin non ha mai chiesto di essere scambiato:

“Dico sempre che Phoenix è la mia terza casa: mi hanno cresciuto, è qui che ho lavorato e faticato per diventare chi sono”.


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Dopo le grandi aggiunte di Chris Paul e Jae Crowder, i Suns sono definitivamente esplosi. Per Melvin, i Playoffs 2021 erano il momento giusto per entrare definitivamente nell’élite NBA… e quale miglior modo per iniziare, se non quello di battere i campioni in carica? Ed ecco 47 punti ai Lakers nella decisiva Gara 6 del primo turno.

Booker ha poi viaggiato a 25.3 punti di media nella serie contro i Nuggets al secondo turno, che si è conclusa con un pesante sweep, e a 25.5 contro i Clippers, battuti 4-2 nelle Western Conference Finals. Proprio dopo la fine di quest’ultima serie, Devin ha fatto pubblicamente arrivare un messaggio alla sua famiglia:

“Ne abbiamo passate tante, e loro mi hanno sempre sostenuto. Il fatto che loro mi abbiano accettato e capito mi guida ogni giorno. Sono riuscito a farli sorridere e a prendermi cura di loro, e non c’è nessuna sensazione migliore di questa. È questo che mi spinge a migliorare ogni giorno”.

Papà Melvin gioca ancora a pallacanestro tre volte a settimana, con lo scopo di mantenersi in forma – “e nel caso Devin avesse bisogno di allenarsi ancora con lui…”

Insomma, i Booker hanno avuto la pallacanestro nel proprio DNA, generazione dopo generazione. Ora, il prossimo grande passo sarebbe vincere il titolo NBA. Il primo per i Booker e per i Suns.

“Il mio obiettivo era allenarlo per far sì che diventasse più forte di me. Voglio che il cognome Booker vada il più lontano possibile.”